ALLE GHIAIE DI BONATE (1944 - 1995) Testimonianza di Claudio Romagialli
INTRODUZIONE
Questa storia di Bonate è forse troppo morta e troppo sepolta per tentare di rispolverarla? Si può trovare qualcuno oggi a cui possa interessare di conoscerla meglio?
Parlare di fatti lontani nel tempo, senza l'ausilio ed il corredo di documenti che in certo modo provino o anche contraddicano le proprie convinzioni e supposizioni, è possibile unicamente se si è in possesso di un’ottima memoria e non si intende, peraltro, asserire il falso.
Il rischio nel quale cado adoperando le mie sole forze nell'esporre queste poche note, è quello di incorrere in errori quali: sviste, imprecisione di dati, insufficienza di appoggi, mancanza di una corretta cronologia nella vicenda trattata.
Rischi che posso anche assorbire per diversi motivi, quali ad esempio: non ho nulla di speciale da raccontare; quello che narro qui, può benissimo lasciare il tempo che trova senza che io me ne dispiaccia; perché, se mai venisse a galla qualche verità nascosta fra le pieghe della mia storia, sarà difficile aspettarsi che qualcuno ne possa tener conto.
Gli argomenti qui trattati causarono molte sofferenze a quelle persone che ne furono investite, e su di esse ricaddero in abbondanza: odio, cattiverie di ogni genere, insulsaggini e prevaricazioni, il tutto nella più assoluta mancanza di carità cristiana.
Questi fatti riguardano le presunte apparizioni della Vergine alle Ghiaie di Bonate, e mi è parso opportuno, dopo tanti anni, riaprire la discussione, sfoltendola delle assurdità che l'hanno caratterizzata a suo tempo, per ricercarne la verità, che non deve per forza stare da una parte o dall'altra, bensì essere unicamente ritrovata in quel giorno in cui una fanciulla, cogliendo un fiore, si trovò investita da un mistero.
Desidero inoltre fare un appello all’Amministrazione comunale di Bonate perché, prima che tutti i testimoni di tale evento abbiano a scomparire, ricerchi anch’essa le sue prove per non perdere la memoria storica di questo avvenimento, certamente fra i più importanti fra quelli avvenuti in questo paese bergamasco.
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Un giorno ebbi modo di constatare e commentare con alcuni miei interlocutori, la bellezza straordinaria di un tramonto del sole, dopo una giornata cupa e piovosa. Persistendo ancora a bassa quota, una plumbea cappa di nubi sembrava quasi soffocare le case del borgo sottostante; più in alto il cielo si era aperto in un incantevole spettacolo di azzurro, di candide nubi, di fiocchi rosei e rossi di tutte le forme le più bizzarre. Un vero spettacolo della natura, fra i più belli che abbia mai visto, tale da estasiare anche i bimbi più distratti che pure manifestavano la propria meraviglia.
Il dì seguente, ancora scosso da quell’evento, ne parlai con una mia conoscente per commentarne l’accaduto e, a questo proposito, ella mi narrò la sua personale esperienza: “ Mi trovavo alle Ghiaie di Bonate. Eravamo qualche migliaio di persone in attesa, sotto la pioggia, di poter assistere alla Santa Messa nell’anniversario delle apparizioni. Il permesso di celebrarla doveva venire da Roma, perché finora non è mai stato concesso, in questo luogo, di praticare alcun rito religioso, non essendo stato riconosciuto il fatto miracoloso. Finalmente il permesso arrivò e tutti ne fummo profondamente commossi. Il cielo, fino ad allora nuvoloso e cupo, ad un tratto si aprì; un raggio di sole colpì la modesta cappella e, via via, l’astro riapparve nel suo splendore, cacciando la nuvolaglia scura. Alla nostra emozione, quasi a conferma delle nostre attese, ben presto anche l’arcobaleno si aggiunse meraviglioso, alto sulle nostre teste.” Come a Fatima?
Si trattava del trentacinquesimo anniversario delle presunte apparizioni della Beata Vergine Maria alla piccola Roncalli.
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Ed ecco un’aggiunta a due anni circa di questa prima stesura. Domenica 18 maggio 1997, quasi per caso mi trovai alle Ghiaie. Dentro di me avevo desiderato che qualcuno mi ci portasse quel giorno, ed ecco che ero lì. Trovammo degli amici, che in quel luogo abitano, e così seppi, erano le ore 18, che per tutto la giornata una gran folla aveva celebrato la ricorrenza delle apparizioni del 13 maggio 1944, terminata appunto in quella domenica 18.
Dopo la sosta alla cappelletta, guardandomi attorno, cercavo di vedere dove poteva esser situata la casa della veggente Adelaide; e nel mentre mi davo da fare per capire, giungo davanti ad un gruppo di vecchie case, poste da una parte e dall’altra della strada, e qui mi fermo, anche perché avevo veduto un’anziana signora seduta di fronte all’ingresso della sua abitazione, e mi era presa la voglia di informarmi proprio da lei. L’approccio con questa donna fu all’inizio difficile per una sorta di sospetto che insorge spesso nelle persone semplici al contatto con degli estranei. Ma io non vado per le lunghe e sono subito sull’argomento. Lei mi spiega che la casa della Roncalli è quella che sta proprio di fronte a me sull’altro lato della strada, con un lungo ballatoio a ringhiera e mi dice anche la signora, che era da lì che la fanciulla si mostrava alla gran folla accorsa alle apparizioni.
Salto di palo in frasca ma vado al sodo e cerco di carpire i suoi ricordi; faccio dei nomi, commento i fatti passati e giungo a Don Luigi Cortesi: “Ah! Quello lì…” mi fa la donna, e capisco anche quello che non dice. Io vado avanti: “Il vescovo?” E lei: “Tre giovani di Bonate in quei giorni di lotte pro e contro le apparizioni, sono andati su in Curia a Bergamo da Monsignor Bernareggi a pregarlo che non chiudesse. Li ricevette ed ascoltò e li cacciò poi in malo modo…” Ove per “non chiudesse”, quei giovani intendevano che non si vietasse il culto. A stare nel breve, l’impressione ricavata da questa visita alle Ghiaie mi confermò di più nei miei convincimenti. I semplici hanno capito quello che i dotti non hanno capito. E il vescovo Bernareggi, anche in quella occasione, si dimostrò quello che avevo conosciuto!
Ma se il caso di Bonate non fu accolto, non fu negato tuttavia nella maniera definitiva, poiché la formula adoperata “non consta”, lascia aperta la porta ad una possibile rivisitazione degli avvenimenti delle Ghiaie. Dopo la morte del Bernareggi, per la Curia di Bergamo si aprì, con l’elezione al Pontificato di Papa Roncalli, la fumosa, famosa, barbosa e cattiva storia del nuovo Seminario di Bergamo. Ogni limite fu sorpassato per far apparire meno cristiani di quel che dovevano essere, gran parte dei personaggi che di esso si interessarono. Da quell’enorme cumulo di spesa per le opere del Seminario, la Diocesi e la Curia furono sommerse per un lungo periodo dall’assillo dei soldi e la Storia di Bonate soggiacque, malgrado le pressanti ed incessanti sollecitazioni a riaprirla da parte dei favorevoli, vittima a sua volta di questo sommovimento in cui si vide la Curia in lotta con la Giunta municipale e il Sindaco vittima sacrificata all’altrui ragione, ma comunque, a mio dire, l’unico uscito dalla batosta con tutto il suo onore intatto.
Gli anni passati sono tanti, troppi. La Curia non dice più nulla, i Vescovi si susseguono senza dare segno apparente di interesse. Che brutta cosa questo tacere, questo non considerare, questa paura di dover accettare l’evidenza dei fatti, questo scordarsi, che, in definitiva, non è solo il Clero che fa la chiesa, ma i fedeli tutti. Sempre per il motivo che io, quando penso di essere nel vero, non guardo mai in faccia ad alcuno, un bel giorno feci avere all’attuale Vescovo una lettera, in origine a me diretta, ma che parlava di Don Cortesi (Monsignore), l’uomo che più di tutti aveva contribuito a far cadere l’ipotesi miracolosa dei fatti di Bonate. In quella lettera si diceva che, tanti anni dopo quell’evento, questo sacerdote, parlando con il suo interlocutore che lo aveva portato sull’argomento, ammetteva che quell’evento non fu accolto perché i tempi non erano propizi a comprenderlo. Si capisce bene l’importanza di questi fatti: proprio lui ammetteva, dopo tanti anni, che qualcosa non era andato per il verso giusto in questa faccenda e a me era parso che ciò dovesse saperlo anche l’attuale Vescovo. Non ebbi alcuna risposta!
Bisogna anche non dimenticare quanta riconoscenza deve la Città di Bergamo a quella sfortunata bambina di Bonate. Grazie a lei possiamo ancora ammirare i nostri bei monumenti; grazie a lei la nostra storia cittadina ha evitato un dolorosissimo ricordo quale sarebbe stato quello del bombardamento previsto per il 14 agosto del 1944, evitato proprio per suo merito. E questo solo considerando il fatto delle presunte apparizioni come un semplice imbroglio. Ma a ben osservare, come sarebbe stato possibile ritenerlo tale, visti i risultati che ne sono conseguiti per l’impatto che esso ha avuto in tutto il mondo di allora, pure a livello delle alte sfere militari interessate?
E’ considerando tutto questo che insisto ancora. La Curia di Bergamo ha tuttora una pesante colpa: quella di avere in special modo evitato di considerare tutto il bene, tutte le conversioni ed anche i miracoli di guarigioni che allora sono avvenuti. Non solo: il bene che poteva derivare in seguito, se non si fosse messo a tacere tutto. E di non aver tenuto in considerazione nemmeno il verdetto emesso da Padre Gemelli sulla Adelaide Roncalli dopo averla attentamente esaminata: quello di ritenerla incapace di mentire e soprattutto di inventare.
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MA QUALE APPARIZIONE?
Nell'aprile del 1944, una cartolina di precetto mi intimava di presentarmi a Trescore Balneario, presso il quartier generale della R.S.I., reparto autodrappello. Per la cronaca, in quel paese bergamasco erano alloggiati, in prestigiosi palazzi d'epoca, l'Intendenza di finanza e l'Archivio di Stato, interessando anche il vicino comune di Cenate. A Bergamo facevano inoltre capo altre sezioni dei comandi tedeschi e fascisti e questa città era perciò in pericolo di rappresaglie da parte degli Alleati.
Non ho, tuttavia, da presentare ad alcuno qualsiasi giustificazione per avere militato nelle file della R.S.I., né tanto meno voglio assorbirmi l'epiteto di repubblichino. Il mio intento è però quello di chiarire l'episodio che determinò la mia precettazione nelle file di quella "rimanenza" fascista. Dopo il disgraziato evento (dal punto di vista di noi soldati) dell' 8 settembre 1943, in cui i fanti del regio esercito vennero abbandonati a se stessi, imprigionati dai tedeschi, mandati in Germania fra mille traversie, se non passati per le armi, qualcuno come me pur tuttavia, col cavallo di S. Francesco, poté raggiungere le proprie case. Ripresa alla meno peggio, in mezzo a tanta miseria, la vita borghese, fu necessario regolare la mia posizione come civile e come ex militare, per poter esibire un idoneo documento d'identità alle SS tedesche, abituate a compiere retate di ogni genere.
Avevo ricominciato così a frequentare anche la mia parrocchia di Borgo Santa Caterina, in Bergamo, ed il suo oratorio; nelle feste religiose di maggior rilievo, era consuetudine che i nostri genitori ci mandassero a confessare, alimentando un po' le nostre scarse propensioni con la loro insistenza. In una di queste occasioni, mi trovai in confessionale a tu per tu con il compianto Don Giuseppe Rossi, più maschiaccio all'occorrenza che sacerdote (nel senso buono del termine, s'intende); coltissimo, ottimo predicatore, vivamente simpatico e facile a commuoversi sull'altare se, predicando, s'imbatteva in un ricordo per lui particolarmente sentito. Quel rude religioso mi teneva ancora in ginocchio dopo avermi confessato, che tutto ad un tratto, mi fece una domanda inaspettata: "E adesso che sei tornato, cosa intendi fare? Con chi hai deliberato di andare?". La mia risposta fu che non intendevo parteggiare per nessuno. "Bene! (proseguì Don Rossi) Sappi che io sono cappellano presso le Carceri del Lazzaretto e ti posso assicurare che lì torturano tuttora. Gli stessi strumenti di supplizio abbandonati dai fascisti in fuga, da loro adoperati per infierire sui loro avversari politici, ora li stanno adoperando i nuovi arrivati con la stessa insensata ferocia!" Ed aggiunse: "Né con l'uno, né con l'altro: sono della stessa risma!".
L'episodio che ho qui riportato, riferitomi da un sacerdote franco e leale, ben a conoscenza della brutta faccenda, non vuol da parte mia risuonare come condanna ad alcuno. Sono troppo piccolo di statura civica e morale per fare sponda a qualsiasi tipo di storia. Chi ha male operato, qualunque ideale l'abbia sostenuto, se non ha già pagato in questa vita terrena, se la vedrà da qualche altra parte! Ma pure, come detto, non parteggiando per nessuna delle due fazioni in lotta, per il semplice motivo che avevo segnalato la mia presenza al distretto militare, ecco che da lì partì la cartolina rosa che mi intimava di recarmi a Trescore Balneario. E fu in quel paese che incominciai a sentir parlare con insistenza delle presunte apparizioni della S. Vergine ad una fanciulla della famiglia Roncalli, alle Ghiaie di Bonate. Era l'anno 1944. Avendo, nella mia nuova divisa di soldato repubblicano, assunto l'incarico di controllore all'autodrappello del quartier generale fascista, tutti i passaggi degli automezzi erano da me registrati segnandone l'itinerario compiuto ed i complessivi chilometri percorsi. E proprio dagli autieri, che scorrazzavano avanti e indietro per la pianura padana, ebbi sentore delle colonne di pellegrini i quali, con ogni mezzo, si recavano a Bonate, attrattivi dalla loro fede e dal crescente fervore che si era sollevato in tutta l'alta Italia, tale da indurli a sopportare, oltre al viaggio, anche il pericolo dei mitragliamenti alleati.
In quel periodo vissi inoltre l'orrore del bombardamento alleato agli stabilimenti di Dalmine, dato che i nostri autieri ne furono coinvolti immediatamente in opere di soccorso. Vidi volare bassi su Trescore enormi bombardieri in formazione d'attacco e poco dopo sentii l'eco degli scoppi rimbombare nella mia postazione, riempiendomi di terrore e d'apprensione. Al loro ritorno, i soldati dovettero lavare dal sangue i loro automezzi e nei loro occhi lo sgomento era l'unico segno riscontrabile. Si può dire? Se i cittadini di ogni nazione usassero il loro numero come forza, in guerra sarebbe possibile mandare coloro che la guerra bramano per i loro falsi ideali: politici, galoppini, sostenitori, deputati, senatori, primi ministri e capi di Stato; tutti in guerra, loro che la cercano, e che si ammazzino tra di loro. Perché l'amor di patria non richiede che si debba morire per essa; ma che coloro che ci governano, questo sì, sentano il dovere di far vivere in pace il popolo che ha loro affidato l'incarico di governare!
Riprendendo il filo. Se dunque la mia conoscenza degli eventi di Bonate iniziò a Trescore, fu tuttavia a Bergamo, ritornandovi in occasione delle festività religiose, frequentando la parrocchia e l'oratorio, che avevo modo, di volta in volta, di aggiornarmi a tale riguardo. E, in particolare, fu durante le attese del nostro turno davanti al confessionale, che le nostre chiacchiere di giovani, non solleticati da altri argomenti, potevano accennare ai fatti delle Apparizioni, con l'A maiuscola, e sentire se c'erano delle novità. Perché, sì, il nostro interlocutore principale era proprio quel Don Luigi Cortesi che aveva avuto il fresco incarico di seguire il caso, e lui, in proposito, in quel primo tempo, era convinto dell'eccezionalità di esso, con nostra grande gioia. A causa di tale compito, ricevuto da Don Cortesi da parte dei suoi superiori, di seguire l'evento di Bonate, in seguito, per le sue conclusioni sfavorevoli, egli ebbe a pagare duramente l'aver condotto quell'inchiesta. Perché, più il tempo passava e più Don Cortesi se ne immedesimava, più andava perdendo la fiducia in quello che all'inizio poteva sembrare miracoloso. E ce lo disse senza mezzi termini, in una successiva occasione. Per mio conto, sul fatto, continuai a pensarla allo stesso modo: credevo nell'evento miracoloso. Non ritenevo possibile che la piccola Roncalli fosse un'esperta mentitrice, capace anche, nelle presunte estasi, di non sentire gli aghi che qualche buon intenzionato le introduceva nelle carni allo scopo di poterla smascherare. Non pensavo minimamente che la famiglia Roncalli avesse maturato un simile inganno e credo che la loro umile condizione non glielo consentisse nemmeno. Tuttavia, se a Don Cortesi fu in seguito fatta patire dai sostenitori del miracolo, ogni sorta di traversie, allora forse è vero che certi cristiani, quando esprimono ai propri avversari il loro odio, hanno una marcia in più da usare, invece della comprensione e della carità.
Diversi anni dopo, ritornato sull'argomento “Don Cortesi e i fatti di Bonate”, avendo come interlocutore Don Angelo Bonizzoni, non dimenticato rettore del Santuario di Borgo Santa Caterina in Bergamo, costui mi interruppe con una lapidaria risposta: “Se avessero fatto a me tutto il male che ha dovuto subire Don Cortesi per questa storia, sta pur certo che non avrei esitato un solo momento a buttare la tonaca alle ortiche!”. Dai contraccolpi di questa ingarbugliata faccenda, la famiglia Roncalli ne uscì distrutta. Ma la piccola presunta veggente, che fine aveva fatto? Ad opera di chi fu strappata dalla sua famiglia, plagiata e reclusa da qualche parte? Si è mai pensato a quali tormenti è stata condotta, da parte di chi era tenuto ad usarle comunque la carità piuttosto che la pressione psicologica e la coercizione più dura? Non aveva forse, questa povera creatura, un’anima da conservare limpida, anche considerata la sua giovanissima età, anziché essere spinta ad odiare i suoi persecutori? Sarebbe possibile oggi, da parte di chiunque, tenere in un paese civile un simile atteggiamento nei confronti di una minorenne la quale, forse a ragione, asseriva di aver visto in estasi la Santa Vergine? Ma non avendo compiuto alcuna azione criminosa tale da giustificare quello che le fu riservato, perché allora imporle forzatamente di rinnegare ciò che aveva detto con tanta genuina spontaneità? Per colpa di chi, la povera ragazzina, ebbe segnata dolorosamente la sua vita per sempre? Quel poco di più che so di lei e di quel tempo, mi proviene da un ricordo personale. Avevo conosciuto dopo la guerra, una ragazza che in gioventù aveva frequentato il Convento delle suore della “Sagesse”, in Città Alta, in via San Giacomo. Presente in quel sito, nello stesso periodo, v’era anche la Roncalli, tenutavi reclusa e plagiata, lontana ormai dal suo paese e dalla sua casa in conseguenza di quel disgraziato episodio che si doveva a tutti i costi dimenticare. Era palese ai frequentatori del mistico luogo, che esisteva il divieto di toccare l’argomento “apparizioni” con la poverina, che tuttavia se ne stava in disparte per conto suo. Ma la mia ragazza non aveva paura evidentemente di trasgredire perché, un giorno, avendo notato che la Roncalli si era ritirata nella cappella del convento, guardandosi in giro per vedere se fosse osservata, subitaneamente la raggiunse. Stava la giovinetta chiusa in preghiera e non si accorse nemmeno che quest’altra le si era messa accanto. E siccome quest’ultima era solo spinta dalla curiosità, di fatto partì con la sua domanda: ” Ma tu l’hai vista davvero la Madonna? “. “ Sì “, fu la concisa risposta. Come furtiva fu la sua entrata nella cappella, così fu l’uscita, a scanso di ramanzine. In seguito la Roncalli tentò più volte di farsi suora (come le cronache del tempo hanno asserito), ma tutte le volte, prima di ottenere i voti, era questo “Sì” che la rispediva a casa, perché, per i suoi superiori, questo monosillabo era la prova del suo persistere nell’impostura.
Io penso (e forse lo pensa anche qualcuno di voi con me!) che, trovandoci a quanto pare di fronte ad una giovane determinata e moralmente idonea a ricevere i voti, questo appiglio preso da chi di dovere per non consentirle di seguire la sua vocazione, era insufficiente oltre che disumano. Avesse pure da bambina commesso tutte le falsità che le furono attribuite, ora, ormai consapevole e maturata dal dolore, sarebbe stata davvero perversa continuando a mentire.
La Roncalli in seguito si sposò (anche questo è riportato dalle cronache del tempo), ma dovette prima promettere al suo futuro sposo di non parlare mai più di questa storia. Sottrattasi, fuori dalla sua diocesi, alla curiosità che poteva ancora perseguitarla se mai vi fosse rimasta, dedicatasi all’assistenza degli ammalati, a quanto pare con molta umiltà e carità, di lei ora si sono perse le tracce.
Rimane, di questa storia dolorosa, a più di cinquanta anni dal suo nascere, un estremo bisogno di verità, di carità, di comprensione dei fatti che vanno purtuttavia sfoltiti da tutte le cattiverie sparse sopra di essi da parte di credenti e non. Mi pare di ricordare di quei tempi, la figura di un curato di Bonate, forse convinto della veridicità delle apparizioni. Pur vigendo divieto di culto in quel luogo, egli, tuttavia, sembra che vi avesse allestito un altarino, rozzo seppure, e con qualche fiore. Gliene incolse male? Sembra di sì. Ma qui la storia da raccontare è forse molto più lunga...
Una domanda ci si può porre, stavolta riguardo alla famiglia della presunta veggente. Questi Roncalli, a quanto pare poveri ed incolti, travolti da un evento molto più grande di loro (e dei religiosi che lo seguirono), erano davvero responsabili di aver architettato questo infernale pandemonio? Stento a crederlo. Certamente, però, da cosa nasce cosa, e in questo caso, un fiume di denaro andò a depositarsi sul prato delle presunte apparizioni e qualcuno doveva pur pensare a raccoglierlo. Un comune mortale poteva, a tale proposito, credere che un buon impiego del medesimo si poteva fare nel paese stesso dove era stato portato dai pellegrini e che, sul posto, le buone scelte non sarebbero mancate. Devo dire che non fu così. Dopo la guerra, questo malloppo servì per la costruzione del Tempio-rotonda in via Statuto a Bergamo, detto “ votivo “ a tacer d’altro. Mi si può smentire? Ne sarei lieto!
Ma l’evento di Bonate, in virtù della risonanza che ebbe in tempo di guerra anche presso i comandi degli eserciti in lotta e presso i governi Alleati, fu talmente considerato da questi organismi da consigliare loro di risparmiare la Città di Bergamo da ogni eventuale bombardamento, pur ospitando sul suo territorio i comandi militari tedeschi e fascisti. Perciò sembra possibile dedurre che un miracolo grande, Bergamo l’abbia ricevuto, e proprio grazie alla piccola Roncalli. Chi, come me, si ricorda le chiese di Bergamo in tempo di guerra, e in special modo il Santuario dell’Addolorata in Borgo Santa Caterina, colme di fedeli oranti, può ricavarne la sensazione che le preghiere stesse abbiano sortito l’effetto sperato... La Santa Vergine si è ricordata di una città che l’aveva tanto invocata!
Se stabilire o meno la veridicità di un evento miracoloso è compito dell’autorità religiosa, come si giustificano gli innumerevoli santuari sorti in ogni luogo, ad esempio, nella sola diocesi di Bergamo? Tutti miracoli al cento per cento o anche comode soluzioni per ricavarne degli utili? E perché contro questo fatto tanto importante si è usato il metro di giudizio peggiore che si potesse utilizzare? E Don Cortesi? Senza dubbio i fulmini gli si scatenarono addosso da ogni parte, essendo egli ritenuto forse, non a torto, il principale responsabile dell’affossamento delle speranze dei favorevoli al miracolo. Don Cortesi, professore in seminario, coltissimo, capace nelle sue prediche migliori di fare a memoria numerosissime dotte citazioni, era però, si diceva, divenuto bersaglio di coloro i quali, sacerdoti essi stessi, trovavano divertente nell’ascoltarlo, di sottoporlo a uno speciale tiro a segno: quante di queste citazioni erano dette a proposito? Quante a sproposito? E così via. Al mondo la miseria umana alberga un po’ dappertutto! Ed il povero sacerdote, già segnato dai fatti di Bonate e da altre traversie, ne uscì tramortito. Per diverso tempo se ne stette in disparte. Se come oratore era di non comune eloquenza, tuttavia non era corroborato da una voce consistente, cosicché le sue prediche perdevano un poco del loro smalto a causa di quel tono pacato e quasi timoroso con cui le proferiva. Recentemente i suoi estimatori ne hanno dato alle stampe le migliori.
Come consideravo, personalmente, nelle mie saltuarie frequentazioni, Don Luigi Cortesi? Vediamolo un po’, attraverso un episodio accorsomi mentre era Parroco di Santa Caterina in Bergamo, quel caro sacerdote, poi Vescovo di Imola, che fu Don Benigno Carrara. Mi ricordo di lui, l’episodio della sua consacrazione a vescovo, avvenuto nella nostra parrocchia per mano di Mons. Adriano Bernareggi, arcivescovo, senz’altro uno dei più eminenti personaggi della nostra storia religiosa diocesana. Collocato sul pulpito al centro della chiesa, durante la suddetta cerimonia, svolgeva l’incarico di illustratore il simpatico Don Giuseppe Rossi, già nominato. E la massa dei fedeli, come sdoppiata, con gli occhi volti verso il celebrante e con le orecchie tese al dire di Don Giuseppe, ad un tratto fu attraversata da una sfuriata di Mons. Bernareggi nei suoi confronti: col suo pur pacato modo di esporre, faceva perdere in continuazione il filo all’illustre celebrante. Senza mezze parole e senza belle maniere, l’arcivescovo lo aveva zittito. Don Rossi ci rimase male, un poco si accasciò, ma da uomo forte qual era non morì... Fece come le galline dopo che sono state beccate dal gallo: sbatté un poco le penne, scosse le spalle e poi, rincuoratosi ma con voce ancora più smorzata, riprese il suo ufficio. E dunque come vedevo l’ “uomo” Don Cortesi a quei tempi, che vanno dal 1942 circa, alla fine del 1944, in cui potevo saltuariamente imbattermi in lui? Giocando al pallone coi giovani dell’oratorio di Borgo Santa Caterina, era uno dei più scalmanati. Ecco il suo stile nel gioco: un fazzoletto annodato intorno al collo atto ad assorbire il copioso sudore che gli scendeva dal volto per la fatica della corsa; una fascia stretta ai fianchi che gli permetteva di tirare su la tonaca per non inciamparvi durante le sue evoluzioni in campo. E via come una furia: quando acchiappava il pallone partiva da un lato all’altro dell’area come un matto, riuscendo a sbaragliare gli avversari più per la sua forza che per le abili finte. Giunto però nei paraggi della porta nemica, vittima di se stesso, quando calciava, sbagliava quasi sempre l’obbiettivo. E non è che smoccolasse come magari usano fare per delusione certi giocatori di pallone. Solo era chiaro sul suo viso un certo disappunto, come dire: eppure ce l’ho messa tutta! E l’uomo di religione che mi si configurò innanzi durante questo tempo, era certamente ottimo; senza dar troppa confidenza ad alcuno, dotato d’entusiasmo religioso seppure anche di modestia, schivo e quasi timoroso, era certamente un buon sacerdote.
C’è bisogno allora di inserire qui l’episodio che lo riguarda e a cui fui presente per caso. Don Benigno Carrara governava la sua parrocchia con mano sicura, coadiuvato da ottimi sacerdoti, ottenendo a quei tempi un buon seguito di fedeli, quando, con pressanti annunci, ripetuti inviti, mai tralasciati durante le Sante Messe, faceva in modo che ogni ricorrenza religiosa avesse un giusto risalto ed un ottimo seguito. Un giorno che stavo uscendo dalla sagrestia, presumo dopo una di quelle confessioni periodiche in vista di qualche ricorrenza religiosa, Don Carrara mi fermò sui due piedi per affidarmi un incarico: voleva che io mi informassi circa una persona per poi, a inchiesta svolta, riferirgli del caso. Non avevo io ancora ben capito cosa voleva da me, quando da uno stanzino di quel buio corridoio che porta all’uscita della chiesa, ecco che sbuca una figura silenziosa, quasi un fantasma: Don Cortesi, appunto. Il parroco non ebbe tentennamenti, lasciò me per lui, e senza mezzi termini, seccato, lo investì: “ Caro mio, se vuoi essere un buon sacerdote, non è necessario che tu abbia a fare tutte quelle cose che stai facendo lì dentro!” Queste più o meno le parole e il senso di esse poteva interpretarsi come io stesso, dentro di me, cercai di fare. E cioè, che in quel luogo il buon Don Cortesi si riducesse in mortificazioni, preghiere, forse anche percuotendosi, nella ricerca di una sua perfezione spirituale. Ma Don Carrara doveva saperne di più: forse altre volte lo aveva “ colto sul fatto “ e, con ogni probabilità, lo aveva già pregato di non persistere nelle sue pratiche. Vistosi non ascoltato, avrà preso cappello investendo il malcapitato giovane con una certa durezza. Questo episodio, a mio riguardo, fu come non fosse mai accaduto, ed anche Don Cortesi in seguito si comportò con me come se non mi conoscesse. Del resto, non eravamo mai stati molto in confidenza. Con questa vicenda alle spalle, quando gli eventi di Bonate vennero ad ingigantirsi, ritenni di poter considerare che Don Cortesi, per la severità che esercitava anche con se stesso, forse non era il più adatto a emettere un giudizio imparziale a conclusione delle sue inchieste. Mi chiedevo cosa mai potesse essere successo fra l’allora mistico sacerdote e la povera, in ogni senso, famiglia Roncalli, fra lui e la bimbetta presunta veggente. Erano senza dubbio due tipi di personalità in forte contrasto sia per cultura che per modi di esprimersi; e quante paure e pressioni potevano aver influenzato la parte più debole, creando un intrico di situazioni inimmaginabile!
A più di cinquant’anni dai fatti accaduti a Bonate, una risposta appena dignitosa mi è impossibile trovarla. Eppure, se è chiaro che da questa faccenda è certamente sorto un miracolo che ha favorito la città di Bergamo, nessuno finora, a quanto mi risulta, ha ripreso ad analizzare l’argomento in modo meno semplicistico di quanto stia facendo io. Per necessità storica, se non per coerenza di uomini di religione.
Quando, in una giornata triste e piovosa subito dopo la guerra, non dimentico delle emozioni provate a questo riguardo e coi pochi mezzi e le minime informazioni a mia disposizione, mi trovai di fronte a quel misero altarino eretto a simbolo delle presunte apparizioni, in mezzo ai campi spogli e trascurati, ebbi un senso di sconforto e di abbandono e me ne tornai avvilito e mesto alla mia casa. Anni dopo rifeci varie visite a quel luogo, dove nel frattempo era sorta una cappella aperta ai venti. Di domenica l’afflusso dei fedeli era più marcato e l’altarino andava via via riempiendosi di ex-voto, di lumini, di fiori. Era presente anche un incaricato, sul retro dell’edificio, e la preghiera che vi si ascoltava era intensa e fiduciosa. L’ultima volta che vi accorsi, un fedele presente mi invitò a ritornare alla recita delle preghiere che si tiene di domenica, a sera inoltrata. Mi assicurò che avrei recepito un intenso e misterioso profumo salire dai campi circostanti ad estasiare i nostri sensi, quasi che la natura stessa volesse partecipare in qualche modo alla devozione dei fedeli presenti. Un fenomeno che finora non ho potuto ancora verificare di persona. Peccato che una certa miopia degli amministratori del Comune di Bonate, abbia permesso che la strada corresse a ridosso del luogo benedetto, mentre la si poteva dirottare più a monte con uno sforzo modesto.
Rimane poco da aggiungere alla mia “ Storia di Bonate e delle presunte apparizioni della B.V. Maria a una piccola Roncalli “. Ed è questo: se non si può fare altrimenti , si lasci all’evidenza della continua presenza dei pellegrini il giusto risalto, e la risposta che tanti si aspettano verrà da sè, se in quel luogo la preghiera persisterà a conferma di una verità fin qui negata.
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Ho scritto la mia piccola storia delle apparizioni della S. Vergine alle Ghiaie di Bonate senza consultare alcun documento. Mi trovo ora fra le mani un prezioso regalo di un caro amico, un libro, ed ho così modo di controllare nomi, date ed episodi. Tutto ora mi è più chiaro: la piccola Roncalli riacquista il suo nome, Adelaide, gli anni, 7, e la compagnia di una sorellina e di un’amichetta in quel fatidico 13 maggio del 1944. Nella località detta del Torchio, alle Ghiaie di Bonate, il giorno 13 maggio 1944, alle ore 18 (27 anni dopo la prima apparizione di Fatima in Portogallo alla presenza di tre pastorelli), inizia qui un fatto misterioso che dopo altre dodici apparizioni, si concluderà il 31 dello stesso mese. Subito l’eco dell’evento rimbalza per ogni dove: folle immense di pellegrini si riversano su quel prato e si contano ogni giorno circa 300.000 presenze alle seguenti apparizioni. Anche in seguito, fino alla fine di ottobre dello stesso anno, la presenza dei fedeli è costantemente sostenuta: circa tre milioni e forse più di persone transitano per la pianura padana verso Bonate. Il fatto in Italia ed anche all’estero è talmente rilevante che non può che interessare anche le parti in guerra. I tedeschi in primo luogo; ma anche gli Alleati, che non avrebbero esitato un solo momento a bombardare Bergamo se non fosse stato per la scomoda presenza di quelle schiere di pellegrini. Tanto più che il bombardamento di Bergamo era già stato preannunciato per il 14 agosto del 1944 e di esso ne era stata informata la Resistenza bergamasca perché approntasse per tempo lo sfollamento della popolazione.
Non è da tacere l’importanza acquistata nella storia di questi avvenimenti dalla presenza nella nostra provincia di due infiltrati a stretto contatto dei partigiani bergamaschi: Peter Cooper del servizio segreto alleato e Don Bonomelli bresciano, i quali mantenevano il collegamento con tale servizio attraverso una radio clandestina e lo informavano di tutto quello che qui succedeva, non escludendo l’evidenza che andava assumendo l’evento di Bonate. Per ben tre volte queste due persone ripeterono il seguente messaggio agli Alleati: “I fatti delle Ghiaie di Bonate, sui quali già abbiamo riferito, hanno messo in movimento milioni di persone creando scompiglio nelle file tedesche et fasciste stop Preannunciato bombardamento aereo sarebbe pertanto assolutamente controindicato stop Attendiamo informazioni”. La bella notizia che il bombardamento non sarebbe più stato effettuato, arriva ai due infiltrati la sera del 10 agosto attraverso la radio clandestina. La loro gioia è immensa. Bergamo è salva. Ad essere sereni, se non ci fosse stata la grande eco provocata da queste apparizioni (vere o presunte) e lo spostamento di così ingenti masse di fedeli, cosa sarebbe importato agli Alleati di risparmiare la città di Bergamo? Forse perché era fuori dalle linee principali di comunicazione? Ma non avevano gli Alleati già bombardato una città come Treviso, più piccola della nostra e priva di obbiettivi militari? E Bergamo non era forse sede dei Comandi tedeschi e fascisti?
Dunque non fu per il loro buon cuore che venimmo risparmiati, né, mi pare, per le pur lodevoli insistenze dei due personaggi citati, ma per un fenomeno di tale rilevanza religiosa da non poter essere ignorato; e fu gioco-forza non trascurarlo, per non sottostare, in caso contrario, a tutte le inevitabili conseguenze che ne sarebbero nate.
Durante la terza apparizione, il 15 maggio, Adelaide, sospinta da qualcuno, chiese alla Santa Vergine di conoscere la data in cui la guerra sarebbe terminata. La risposta sopraggiunse come al solito in bergamasco: “Se gli uomini faranno penitenza, la guerra finirà tra due mesi”. E fecero penitenza gli uomini? Ma i due mesi passarono e la guerra no. Sennonché poco più di due mesi dopo questa premonizione, il 20 luglio a Rastenburg, in Germania, avvenne l’attentato, fallito, alla vita di Hitler. Se il dittatore fosse morto, la guerra sarebbe terminata? Parrebbe di sì. Ma siccome questo avvenimento non si può portare né a favore, né contro l’autenticità delle apparizioni, è meglio non insistere. Del resto, la storia della nostra religione ci dà il modo di constatare come talvolta l’uomo (o il diavolo), si può anche opporre ai disegni di Dio... Nessuno però può opporre sufficiente argomento critico alla evidente chiarezza delle risultanze storiche: Bergamo non fu bombardata perché sul suo territorio era in atto un fenomeno religioso di tale importanza da non potersi ignorare nemmeno da coloro che preparavano i piani alleati di sterminio. Questo fenomeno si riferiva alle 13 apparizioni della S. Vergine ad Adelaide Roncalli e non ad altra storia. Erano apparizioni vere o false? La Chiesa propende per la seconda ipotesi. Ma il popolo per la prima! Vox populi, vox Dei! E sono cinquanta e più anni che la voce del popolo reclama la revisione del processo. E viene il dubbio, e lo evidenzio, che tali e talmente cattive furono le reazioni dei favorevoli all’evento miracoloso che investirono in seguito la Chiesa di Bergamo, da far pensare che essa, mai più riaprirà il processo. Cattiveria chiama cattiveria. Nel secondo caso, peggiore che nel primo... Nel 1945 la Commissione di esperti promossa dal Vescovo iniziò il lavoro per dipanare l’argomento e terminò nel 1948 con esito negativo. Quanta intelligenza sprecata per un fenomeno, sì, certamente misterioso, ma dai contorni semplici tuttavia, ed io non posso fare a meno di esclamare che forse il troppo sapere ha impoverito l’anima dei giudicanti! Sì, è dovere della Santa Chiesa essere attenta e precisa nei suoi giudizi su miracoli e santità. Ma è noto, senza offesa, che talvolta l’ausilio di una spintarella (e chi meglio degli Ordini religiosi sa spingere?) può smuovere anche la già lenta burocrazia vaticana.
A Bonate è mancato il motore di spinta adeguato e dopo più di cinquant’anni, non lo si è ancora trovato. La Curia bergamasca nicchia, la S. Vergine tace! Da qualche parte però c’è chi auspica che venga riconosciuto “che il mistero di Dio possa rivelarsi anche attraverso soggetti umani inclini all’isterismo o al delirio allucinatorio.” Fu il caso di Bonate? E c’è chi chiede la revisione “dello statuto giuridico delle apparizioni in modo da sottrarle a giudizi di tipo tecnocratico secondo schemi “a priori” di una tecnologia prefabbricata e di una psicanalisi riduttiva.”
Avanti allora! A quando una revisione del processo ai fatti di Bonate? Non aspettate che tutti i protagonisti di allora siano morti!
Bergamo, 18 maggio 1997 (Ultima versione corretta) Claudio Romagialli
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PREGHIERA DELLE GHIAIE
O luogo benedetto, spoglio e aperto ai venti, al freddo, al caldo, sempre così rimani, come sei, senza ori né argenti, povero e semplice come i nostri cuori, che qui giungono in fervida preghiera, ove un prodigio avvenne e non fu colto. Resta così per sempre, a prova dei nostri errori e dei peccati del mondo, spaventosi, che stanno allontanandoci la misericordia di Dio: da noi, dalle nostre case, portandoci a un destino oscuro cui la Gran Madre con pietà soccorre, con lagrime, con sangue, testimone del Figlio suo, dolente e crocefisso. Resta così, misera casa, gradita a noi e benedetta; e qui giungendo, con profondo amore, volgendo gli occhi al cielo, ancora Te preghiamo, Vergine santa; conforto e grazie per noi, per i nostri cari, invochiamo, per la nostra terra che già Tu risparmiasti dalle pene della guerra. E ancora più soccorrici per l’avvenire, che si fa oscuro, affinché abbiamo a meritare di nuovo la Tua santa protezione. E così sia.
Bergamo, 1995
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