Autore:  Bergamo Sette Data documento:  10/04/2002
Titolo:  Le verità sul martirio di Adelaide

 La verità delle apparizioni di Ghiaie e il martirio di Adelaide.

Guardando Massimiliano Maria, mio figlio di sette anni, molto spesso il pensiero corre alle violenze inflitte alla piccola Adelaide, quando, alla sua stessa età, dovette subire percosse, intimidazioni, terrori, oltre a gravissimi abusi corporali e morali dentro le mura di sacre istituzioni. E se mi chiedo cosa farei nel caso il mio bambino venisse trattato così, senza esitazioni rispondo che mi rivolgerei alle autorità competenti per chiedere giustizia, come sarebbe dovere di ogni padre.
Gli ho imposto questo bel nome per poter rammentare sempre il grande sacrificio compiuto dal frate francescano polacco per salvare un papà destinato alla morte, ma oggi la sua tenera età, la stessa di Adelaide al tempo delle apparizioni, mi costringe a ricordare altresì che non solo i santi, ma anche le ombre del peccato ci appartengono ; visibili, in particolare, sui piccoli maltrattati e violentati. E mi fa pensare che, se vogliamo scacciare queste ombre terribili occorre guardarle senza paura per scoprire quale spirito e quale cultura le ha nutrite, soprattutto perché sono state scambiate addirittura come un bene.
E’ del tutto inutile cercar di comprimere la verità sul martirio sofferto dalla piccola Adelaide di sette anni per evitare la verità sulle apparizioni di Ghiaie. Le due verità infatti, sono strettamente interdipendenti fra loro:
- riconoscere le violenze inferte ad Adelaide significa ammettere la sua normalità e di conseguenza la verità di quanto ella ha testimoniato fino ad oggi.
- riconoscere il suo martirio significa inoltre ammettere gli errori gravi commessi nei suoi confronti, come l’uso del Sacramento della Confessione quale strumento di potere, oppressione e tortura psicologica.
- riconoscere i gravissimi danni subiti da Adelaide e dalla sua famiglia vuol dire infine annullare il processo illegale condotto contro di lei, prima dalla Commissione Teologica e poi dal Tribunale Ecclesiastico di Bergamo negli anni 1946 e 1947.
Anche se costa, è necessario dire la verità fino in fondo per riaffermare, insieme, il messaggio delle apparizioni di Ghiaie e il Vangelo della Vita, il Vangelo dei piccoli che soffrono per i peccati del mondo ; perché i piccoli, ovunque e da qualunque famiglia nascano, sono le più vere immagini di Cristo.

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L’immagine mostruosa di Adelaide tracciata da don Cortesi


Arrogandosi competenze, incarichi e autorità di cui era del tutto privo, don Cortesi, nel suo libro intitolato “Il problema delle apparizioni di Ghiaie”, ha presentato i frutti del suo aberrante esame sulla piccola Adelaide, un esame condotto seguendo le teorie del prof. Nicola Pende attivissimo scienziato del Regime Fascista, primo firmatario del manifesto per la razza del 1938, ormai riconosciuto come l’esponente principale del “Razzismo Italico”. Oltre a distruggere le apparizioni con ogni mezzo, don Cortesi, dopo la segregazione della bimba in un convento di suore Orsoline, ha cercato di imporle una dura correzione nel tentativo di «rinverginare» la sua anima, bonificarla, bruciare in lei le forme di male ereditato a causa del peccato e «riplasmarla». Nutrito da una cultura tradizionalista, totalitaria e aristocratica, il disprezzo per la miseria e per la famiglia di Adelaide lo hanno condotto a scrivere un giudizio spaventoso sull’anima della bimba di sette anni presentandola come un vero e proprio inferno: «un nodo di vipere, uno scrigno chiuso custodito da sette draghi». Sospettando inoltre che la bimba fosse stata concepita in una ebbrezza paterna, anche il povero Enrico, papà di Adelaide, è stato studiato da don Cortesi come un biotipo, e presentato come «ubriacone, bestemmiatore, approfittatore, litigioso, violento, collerico, carente nei poteri inibitori». Il ritratto mostruoso di Adelaide, prodotto di tale esame, è seminato lungo le 231 pagine del volume scritto da don Cortesi e in particolare nel capitolo “Il biotipo di Adelaide”.


«Testarda, in lei si rileva esibizionismo, vanità, ricerca dell'applauso, abilità di fingere, amore di realtà fantastiche, romanzesche, e di esperienze straordinarie..La mens di tipo sensoriale, non ingenua ma abilissima e furbissima, dimostra una certa sensibilità per il mondo sessuale...Adelaide si comporta da reginetta, da traforella, brama il frutto proibito, è disgustosamente conscia della sua astuzia...Occhio torvo e minaccioso, monella, folletto, forsennata, dalla risata insolente e soddisfatta, conosce e insegna la bugia, precoce malizietta, sfrutta tutte le occasioni per distrarsi...Brama approvazioni, è gonfia di boriuzza, si atteggia a diva, precocemente si accese in lei la vanità femminile, ama le acconciature singolari, ama chiedere gingilli d'ornamento, catenelle, braccialetti, orologi da polso, spilloni, medaglie, occhiali scuri, i vestiti belli e le scarpette belle, indumenti appariscenti e sgargianti...desidera sentirsi ammirata, scodinzola, sfringuella, cerca i primi posti, fa credere che ella gode di confidenze speciali, cerca ammiratori, gode di essere vezzeggiata...Spiritosa, loquace, sguaiata, si agita, si alza per sovrastare tutte, si mette a capofila, infatuata di sé, posa a fanciulla prodigio, la flora selvaggia della sua anima non accenna a costituirsi in giardino... La smania di distinguersi giace ancora nella sua anima, anche dopo tanti mesi di silenzio e di educazione intesa a rinverginare il suo spirito non tollera di essere intruppata come un anonimo irrilevante.»
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La testimonianza di Annunciata

Una delle testimonianze sconcertanti è quella di Annunciata, cugina di Adelaide, rilasciata alla compianta signorina Poli Ermenegilda e pubblica nel libro «La fede della gente di Bonate». Annunciata racconta come i due poveri genitori di Adelaide, Enrico e Annetta, stavano per essere denunciati dal loro medico condotto inorridito dai segni di brutali percosse riscontrati sul corpo della bimba, percosse che erano state inferte alla bambina da alcune suore in modo così violento da costringere Adelaide a subire un piccolo intervento chirurgico.
Questo libro della signorina Poli è stato pubblicato e addirittura venduto presso la cappelletta delle apparizioni a Ghiaie, eppure ancora nessuno ha avuto il coraggio di chiedere giustizia. La curia di Bergamo, pur conoscendo questo libro e questa denuncia, non ha mai fatto nulla, omettendo così il proprio dovere, manifestando inoltre una totale paralisi che testimonia in modo chiarissimo la interconnessione fra la verità sul martirio di Adelaide e quella sulle apparizioni.
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Le prove raccolte dalle suore Sacramentine

Le prove delle percosse inferte alla piccola Adelaide di sette anni sono ormai numerosissime e concordi. Le testimonianze orali sono suffragate da documenti scritti. Persino monsignor Magoni notaio del Tribunale Ecclesiastico di Bergamo è stato costretto a verbalizzare la denuncia della bimba.
Dopo le gravi affermazioni della bimba, il presidente del Tribunale avrebbe dovuto quantomeno sospendere l’udienza ed effettuare accertamenti sui maltrattamenti denunciati da Adelaide, ma non lo fece commettendo ancora una grave irregolarità.

Drammatico e terribile è il resoconto scritto da suor Celestina, suora Sacramentina, che, nell’estate del 1948, interrogherà Adelaide nell’asilo infantile della parrocchia di Ghiaie sulle percosse inflitte alla bimba da alcune consorelle di un altro ordine. Questo documento, conservato dal difensore di Adelaide, monsignor Bramini, è comprensibile solo dopo aver letto il ritratto mostruoso di Adelaide tracciato da don Cortesi. Mentre don Cortesi la terrorizzava con la paura dell’inferno, cadute nella trappola dei giudizi terribili del prete inquisitore, considerando anche loro Adelaide come posseduta da una legione di demoni, provando paura, alcune suore l’hanno colpita con continue percosse sul corpo, violentissime...

E quando suor Celestina le ricorderà che avrebbe dovuto riferire quelle cose ai sacerdoti della Commissione incaricati di interrogarla, «Cosa dovevo dire ?» - risponderà la piccola Adelaide - «Erano tutti sacerdoti ; ci voleva una persona che.... E poi loro avrebbero parlato con le suore e il peggio sarebbe toccato ancora a me»«E ai tuoi genitori, perché non glielo dicevi ?» le domanderà ancora suor Celestina «Ero sempre accompagnata in parlatorio, non potevo parlare. Soltanto due volte sono rimasta sola, ma non volevo dar loro dispiacere, chissà quanto piangere avrebbero fatto. Io ci dovevo rimanere ugualmente».
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L’immonda visita medica e l’infame ritratto del professor Cazzamalli

Nell’articolo recentemente pubblicato sulle pagine di questo stesso settimanale, avevo espresso la mia profonda indignazione per la visita medica completa sul corpo di Adelaide condotta il 5 luglio 1944 nel convento delle suore Orsoline di Gandino, e avevo chiesto alla curia di spiegare questo fatto increscioso avvenuto fra le mura di un convento bergamasco. Lo chiedevo, non certo per fare scandalo, ma per poter risalire da questo avvenimento ad una cultura che ha nutrito anche uomini di Chiesa. Questo avvenimento rivela infatti una cronica mentalità secolare totalitaria e arrogante che ha insegnato ad associare genitalità a peccato e peccato a povertà. Questa inquisizione del piccolo corpo di Adelaide ha rivelato con estrema evidenza l’indirizzo d’indagine razzista di Cazzamalli e don Cortesi, oltre che la loro determinazione a trovare una prova anche nascosta per distruggere la persona di Adelaide. Perché non è certo difficile arguire che l’esame delle pudende ha permesso, da un lato, di verificare la verginità della bimba ( figlia “di un bevitore che assai spesso cade in ubriachezza” scrive Cazzamalli copiando don Cortesi) e dall’altro di indagare il suo carattere lussurioso e delinquenziale.
Si invitano pertanto i membri della stessa curia di Bergamo a leggere tutto il libro del Cazzamalli, oggi propagandato su un sito internet di stregoneria, che, oltre a testimoniare il gravissimo oltraggio alla piccola Adelaide, costituisce un vero e proprio insulto alla nobile immagine dello stesso padre Gemelli.

Cazzamalli scriveva:
«Adelaide mostra uno spiccato senso del pudore durante taluni esami che la obbligano a scoprirsi»
«Procedo ad un esame somatico-clinico di controllo… e rilevo lo spiccato senso di pudore nell’Adelaide, però senza che venga ostacolato l’esame di proposito completo e naturalmente espletato col dovuto garbo, delle regioni toracica, addominale, pubica e delle pudende»
«osservo che quando all’esame partecipano o si interessano la dottoressa Maggi o il don Cortesi la bambina accenna a coprirsi tirando in giù la camicia»
«Dal don Cortesi che le raccomanda di prestarsi quietamente e docilmente all’esame si fa promettere una passeggiata»

Il neuropsichiatra occultista, qualche mese dopo questa visita oltraggiosa, traccerà un ritratto deformato di Adelaide, opposto a quello scritto da padre Gemelli, e presenterà la bimba con caratteri ripugnanti costruendo l’immagine di una piccola allucinata, concupiscente, furba, superba e vanitosa rafforzando così il ritratto mostruoso scritto da don Cortesi

«una piccola contadinella golosa, vorace, cocciuta, un po’ vanitosa colla mascheratura della ereditaria furberia contadinesca, una bimba animata dal desiderio di supremazia, tendente all’imitazione senza limiti, portata all’incosciente sovraccarica di cose viste e udite in senso autosuggestivo, che non ama le seconde parti, ha propensione grande per le rappresentazioni teatrali, ed è soggetta a impeto allucinatorio oniroide»
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Gli esperimenti sacrileghi

Alla curia di Bergamo si chiede inoltre di spiegare un’espressione davvero inquietante di don Cortesi nel suo libro “Storia dei fatti di Ghiaie” pubblicato per opera della stessa curia nelle edizioni San Alessandro.
Dopo aver descritto la bimba come «belvetta irrefrenabile, leoncino selvaggio, minaccia per la purità della fede! pubblico pericolo!» e tanti altri epiteti ancora, il prete bergamasco ha l’impudenza di scrivere queste parole gravissime, sibilline, che non spiega, dalle quali però si intuiscono le ragioni di tanto male inferto più tardi alla piccola Adelaide fra le mura di un sacro convento.

«E poi nella calma dell’isolamento in un ambiente psicologico di sana temperatura si potevano tentare gli esperimenti più adatti che alle Ghiaie sarebbero stati giudicati sacrilegi»

Quali sono stati dunque gli esperimenti condotti dal prete bergamasco, esperimenti sacrileghi per i semplici, ma permessi solo a lui che evidentemente si sentiva investito di poteri speciali e pensava di essere un prete eccezionale, “illuminato”, fuori dal comune, al di sopra di ogni debolezza umana? Con queste parole don Cortesi non progettava forse quell’opera di sottile e subdola seduzione affettiva che condusse per due anni, separando la bimba dagli affetti famigliari fino a diventarne l’unico riferimento affettivo? Un’azione seduttiva che produsse un grave scandalo, denunciato da suore, religiosi e perfino dallo stesso padre Gemelli. Ricordando il suo soggiorno nel convento di Gandino dell’anno precedente, nell’autunno del 1945 il frate francescano scriverà al prete bergamasco questa chiara denuncia:

«Io raccomandai caldamente a lei, e ritengo che Ella lo ricordi, che la bambina venisse collocata in ambiente sano, che non le si parlasse più delle “visioni” e si facesse in modo che essa le dimenticasse o non desse loro importanza. Avvenne invece il contrario : La bambina fu insistentemente interrogata ; fu trattata da adulti come fosse un’adulta ; fu vezzeggiata all’inverosimile. Quando non vi fosse altra testimonianza, vale quello che ho visto io stesso con i miei occhi ; ossia il modo nel quale Ella la trattava, la prendeva in braccio, la coccolava, le parlava ecc..».
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Le illegalità e le irregolarità delle istituzioni ecclesiastiche di Bergamo

Il vescovo di Bergamo era seriamente preoccupato per l’operato di don Cortesi, soprattutto dopo aver ricevuto, nel dicembre 1945, una lettera molto severa di padre Agostino Gemelli, suo intimo amico e da lui nominato, l’anno precedente, come esperto della diocesi per l’esame della psicologia di Adelaide. L’autorevole frate francescano che aveva dichiarato la normalità di Adelaide, nella sua lettera aveva chiaramente denunciato il carattere avventuroso dell’azione di don Cortesi.
Perciò il vescovo il 22 dicembre decise di introdurre nella Commissione Teologica, incaricata di esaminare i fatti relativi alle apparizioni di Ghiaie, un esperto esterno assai critico, un “difensore” delle apparizioni: monsignor Angelo Bramini di Lodi, sacerdote battagliero, puntiglioso ed esperto di Diritto Canonico. Monsignor Bramini venne nominato difensore delle apparizioni di Ghiaie anche nel Tribunale Ecclesiastico. Ma il Presidente di questo Tribunale, il canonico monsignor Merati, con una decisione arrogante e illegale, decise di escluderlo e non lo avvisò nemmeno dell’apertura dei lavori.
Così, la prima sessione del Tribunale, che prevedeva l’interrogatorio della piccola Adelaide, fu celebrata senza il difensore, e la bimba lasciata ancora una volta sola, alla completa mercé dei giudici che avevano deciso di far proprio l’orribile ritratto scritto da don Cortesi nel suo libro “Il problema delle apparizioni di Ghiaie”, pronti, prima ancora dell’apertura del Tribunale, a diventare i suoi implacabili accusatori. Offriamo di seguito alcuni brani di un manoscritto del difensore di Adelaide custodito nell’Archivio della curia arcivescovile di Lodi per far comprendere come la curia di Bergamo abbia snobbato ogni voce diversa da quella di don Cortesi, persino quella di un uomo assennato e competente come monsignor Bramini, esasperandolo fino a costringerlo a formulare la sua denuncia in toni durissimi. Le espressioni molto accorate erano un invito agli ecclesiastici di Bergamo perché si evitasse che i fatti di Ghiaie divenissero uno scandalo per la diocesi.

«La fretta del Tribunale e della Commissione fanno pensare che si volesse salvare le apparenze per dare una vernice di legalità a decisioni già maturate molto prima! Involontariamente la mente corre al processo di Gesù che fu una finzione di legalità»
«Chiesi al vescovo che la bambina fosse interrogata da persona pedagogicamente preparata e competente e inviai a Bergamo anche un formulario completo di interrogatorio, ma il can. Magoni, a nome – scrisse – del vescovo – mi fece sapere che Sua Eccellenza non aveva ritenuto di accogliere la mia proposta! Così la bambina di dieci anni fu interrogata more adultorum, davanti al Sinedrio! Le fu imposto il giuramento (cosa enormemente grave dal punto di vista giuridico per una bambina) e si insistette da monsignor Merati, (il Presidente del Tribunale) che la invitò a confidarsi con lui solo ! finché la bambina tanto indebitamente e antipedagogicamente tormentata e indispettita affermò di aver visto “nuvole e nuvole”!”
«Si arrivò poi all’assurdo di metterla a confronto con don Cortesi, proprio colui che l’aveva suggestionata psichicamente, moralmente e anche materialmente condotta alla prima negazione!»
«Quanta saggezza e serietà! A meno che il Diritto Canonico vigente a Bergamo fosse diverso da quello vigente in tutta la Chiesa!»


Impedito nell’esercizio del proprio diritto e della propria funzione voluta dallo stesso Vescovo, escluso da ogni decisione, il 27 giugno 1947 monsignor Bramini decide di inviare al Card. Tumasoni Biondi, della Sacra Congregazione “de propaganda fide”, una lettera di denuncia con preghiera di inoltrarla al SS Tribunale del Santo Ufficio, concludendola con questa frase estremamente significativa:

«Per essere completamente sincero dirò anche che si è concretata in me la convinzione che l’ambiente ecclesiastico di Bergamo non sia più nelle condizioni psicologiche che si richiedono per uno studio e per un esame sereno e obiettivo dei fatti in parola. Ritengo che anche l’E.mmo Card. Arcivescovo di Milano, Metropolita, inclini verso tale persuasione, come almeno mi è sembrato di capire dai vari colloqui avuti con lui in materia».

Giuseppe Arnaboldi Riva.

(Articolo inviato al sito Internet e a Bergamo Sette che lo ha pubblicato venerdì 05/04/2002)

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Allegato   Data inserimento:  10/04/2002