Autore:  E. Poli - A. Roncalli Data documento:  20/02/1987
Titolo:  Intervista a Annunciata Roncalli

 INTERVISTA AD ANNUNCIATA RONCALLI

Fiorano al Serio (BG)

Intervista alla madrina di Adelaide, Annunciata Roncalli vedova Gualdi, in più riprese: 2 maggio 1986, 24 dicembre 1986, 19 e 20 febbraio 1987, fatta dalla scrittrice Ermenegilda Poli.

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Interviste del 2 maggio e del 24 dicembre 1986.

- Mi parli dei suoi incontri con don Cortesi.
- Una volta siamo andati insieme alla Roncola da una zia di Adelaide, al di là del Brembo. Nel ritornare egli mi raccontò le disgrazie che gli erano capitate in quel periodo e mi ha detto: “Ah, queste storie... ho paura...”. Mi disse che gli andava male tutto; gli erano morti tre familiari, cioè un fratello dottore, un fratello piccolo e la mamma; poi aveva fatto tornare a casa la sorella suora per servire lui. Mi condusse nella sua casa e mi fece vedere la Cappella che aveva fatto per la sorella. Alla fine mi disse: “In questa storia della Madonna, forse ho sbagliato tutto". Questo me l’ha proprio detto. La lui faceva la parte dell'avvocato del diavolo, come si usa nei processi dei santi.

- Come ebbe l'idea di fare l'altarino lungo le scale?
- La storia dell'altarino è così: io ero a Milano infermiera in un sanatorio, ma dopo nove anni dovetti lasciare il posto e tornare a casa perché le mie due sorelle erano andate suore e non c'era più nessuno con i genitori. Tornai il 19 marzo 1944; in casa mi guardai attorno e trovai che c'erano molte cose da sistemare e riordinare, sa, in una casa di contadini c'è sempre da sfaccendare per tener pulito e ordinato. Quando si trattò di imbiancare le pareti lungo le scale (passaggio obbligato per tutte le famiglie del nostro caseggiato) dovetti trasportare sul solaio le gabbiette degli uccelli che mio padre teneva sul pianerottolo tra la prima e la seconda rampa, sopra una sporgenza del muro. Ma dopo l'imbiancatura, fatta da me perché nelle nostre case dovevamo arrangiarci a fare un po' di tutto, non riportai le gabbie su quel bel ripiano perché lo trasformai in altarino.

- E suo padre?
- Protestò ma io gli dissi: “Ormai le gabbie sono trasportate, puoi lasciarle là sul solaio”.. Da un po' di tempo io coltivavo il desiderio di trasformare quel ripiano in altarino perché noi della frazione Torchio siamo lontani dalla chiesa di Ghiaie, e non tutte le sere possiamo andarci per la funzione del mese di maggio; pensai: l'altarino sarà un richiamo alla Madonna, e per questo avevo ritagliato dal periodico cattolico "Pro Familia" un'immagine della Madonna di Lourdes e ne
avevo fatto un quadretto, che poi appesi sulla parete sopra il ripiano. Pensavo con soddisfazione che chi saliva le scale l'avrebbe salutata anche solo con una «giaculatoria, ed eran tanti i bambini che passavano su quelle scale per andare nelle camere da letto, tutte poste sul lungo terrazzo. C'erano tutti i figli della famiglia di mio cugino Enrico Roncalli, otto, tra cui Adelaide, un'altra famiglia con cinque bambini, ecc. Per mettere i fiori sull'altarino, presi dei barattoli di latta della conserva di pomodoro, quelli da mezzo chilo, e li avevo smaltati all’esterno col pennello.

- Che successe la sera del 13 maggio 1944?
- La sera di quel sabato ho visto Adelaide fuori in cortile: a far niente, prima delle sei; era appena tornata dal paese dove, dalle suore, era stata alla lezione di catechismo in preparazione alla Prima Comunione, e sua madre le aveva detto di star fuori perché la cena non era pronta. Le dissi: "Adelaide, vai giù nel prato del Ferrari a cogliere fiori che metteremo nei vasi davanti alla Madonna sulle scale”. Io avevo appena finito di sistemare il mio nuovo altarino, ci avevo messo perfino una tovaglietta di pizzo per ornamento, e i vasi ancora vuoti richiedevano qualche fiore. Poi io partii verso la parrocchia insieme con la sorella maggiore di Adelaide, Caterina, e con altre ragazze della frazione, mentre Adelaide era andata subito verso il prato insieme con la sorella minore Palmina e tre amichette, poiché nessuno dei piccoli andava alla parrocchia alla funzione perché troppo distante per loro. Adelaide aveva preso anche la piccola carriola costruita dal papà per far giocare i piccoli: vi avrebbe messo i fiori. A un certo punto Palmina corse a casa a gridare: “Mamma, l’Adelaide è morta in piedi”. La mamma, che stava al camino intenta a riattizzare il fuoco per la cena, mentre la legna mandava solo fumo, rispose: “Bada che Adelaide se fosse morta non sarebbe in piedi; vedrai che tornerà a casa da sola”. Adelaide nel ritorno, con la carriola piena di fiori buttati alla rinfusa, dovette spiegare alla sorellina e alle amiche, ancora spaventate, che cos’era successo: “Non ditelo a nessuno: ho visto la Madonna; una signora vestita bene, di bianco, era senza calze, con rose d’oro sui piedi, bella, però non ditelo a nessuno perché non mi crederebbero”. Ma Palmina raccontò tutto alla mamma.

- Lei era ancora fuori?
- Appena rientrata in casa, siccome l’avevo lasciata in ordine, mio padre mi mostrò il tavolo con sopra un mucchio di fiori: margherite, fiori di sambuco e fiorellini di campo misti con erba; erano quelli colti da Adelaide e dalle altre bambine e, non avendomi trovata in casa, essa me li aveva buttati sul mio tavolo. Al primo momento ho sgridato mio padre: “Avevo messo tutto in ordine prima di andare in chiesa e ora, guarda che disordine c’è”. Lui obiettò: “Ma non gliel’avevi detto tu a Adelaide di andare a prendere fiori per l’altarino? Lei è andata a coglierli e quando è tornata me li ha buttati qui sul tavolo, anzi io le ho detto: Vedrai che l’Annunciata ti sgriderà”. I fiori erano sparpagliati e io dovetti con pazienza prenderli a uno a uno per unirli in mazzetti che posi subito nei vasetti sopra l’altarino, davanti al quadretto della Madonna, color marrone. Con quel pizzo e con i fiori Adelaide il mio altarino stava bene!

- Come ha saputo dell’apparizione?
- Caterina Roncalli, tornata con me dalla chiesa, appena entrata in casa sua, vicino alla mia, si sentì dire dai genitori: “Sai che cosa dice Adelaide? Dice che ha visto la Madonna”. Il papà aggiunse: “Le ho dato due pedate e l’ho mandata a letto senza cena”. Allora Caterina è venuta in casa mia per informarmi: “Sai che cosa mi hanno detto i miei? Che Adelaide ha visto la Madonna, perciò mio papà, non solo non le ha creduto, ma l’ha mandata a letto senza cena; vieni con me e andiamo di sopra a vederla”. Le nostre stanze da letto erano vicine. Salite le scale subito, siamo entrate nella sua stanza e abbiamo chiesto a Adelaide: “Che cos’hai inventato? Sei pazza? Non sai che possono venire a bruciarci la casa? O cacciarci in prigione?”. Sa, in tempo di guerra si ha paura di tutto! Persino sui muri c’era scritto: “Taci”.

- Che rispose?
- Adelaide mortificata, rispondeva solo: “È vero che l’ho vista! È vero. Avevo detto a Palmina di non dirlo; se lei non l’avesse detto, la mamma non mi avrebbe chiesto niente, e io non avrei parlato. Ma è vero che l’ho vista, non è una bugia”. Intanto Palmina raccontava ai genitori il poco che sapeva: "Adelaide in cerca di fiori, ha alzato gli occhi su una pianta di sambuco; cogliendone i fiori, ha visto anche due colombine che volavano sopra, ed erano quelle del Gigio Colleoni, e mentre le seguiva con lo sguardo, ha visto la Signora. È vero che Adelaide pareva morta in piedi".

- Quando cominciò a arrivare la gente?
- Il lunedì, perché ricordo che le operaie, uscite dallo stabilimento, invece di tornare alle loro case a Bonate e dintorni, vennero al Torchio a vedere che cosa succedeva, e chi sostava davanti alla casa, o meglio alla porta di Adelaide, entrava alle scale a vedere il mio altarino.

- C'è ancora quel quadretto?
- Lo conservo io, è ancora di cartone con attorno una striscia di carta colorata per cornice, come me l'aveva fatto una mia sorella suora, ma è un po' sciupato perché il mio povero marito lo prestava a tutti quelli che glielo chiedevano per i propri malati: glielo mettevano sotto il cuscino per devozione. Lo conservo perché il mio parroco di Ghiaie, mi ha detto: "Non darlo a nessuno quel quadretto perché se le cose si chiariranno dovrai consegnarlo, poiché parte da lì la storia della Madonna". Lui sa tutto.

- Ha incontrato altre volte Don Cortesi?
- Lo vedevo in seminario quando c'era mio figlio seminarista, (Don Gianangelo Gualdi) ma non mi facevo avanti. Lui passava con faccia seria e io fingevo di non conoscerlo perché era professore di mio figlio e volevo evitare che se la prendesse con lui per le risposte secche che io gli avevo dato qualche volta quando disapprovavo il suo atteggiamento verso Adelaide. Lui preferiva parlare con mia cugina Maria Roncalli; a lei permetteva di essere presente alle apparizioni, poiché era Don Cortesi che accompagnava la bambina, invece io non ho mai potuto andarci.

- Chi glielo proibiva?
- Don Cortesi. Dopo le prime nove apparizioni, dal 13 al 21 maggio, egli decise di portarla in convento perché diceva che lasciandola in famiglia veniva abituata male, perché troppa gente voleva vederla; da una parte fu un bene. Egli la riportò il 28 per la Prima Comunione, anche perché doveva avere le ultime apparizioni, dal 28 al 31 maggio. Poi stette parecchi mesi dalle suore Orsoline di Gandino. In un secondo tempo Adelaide fu portata dalle suore della Sagesse in
Città, finché fu affidata a me.

- In quale periodo?
- Non ricordo. Il Vescovo Mons. Adriano Bernareggi decise di affidarmi la bambina, forse perché sono io la sua madrina di battesimo; dovevo tenermela sempre vicina, anche andando a lavorare. Infatti andavo al maglificio e la tenevo vicino alla mia macchina. Mi avevano raccomandato di stare attenta a tutto quello che avrebbe detto la bambina; dovevo tenerla in casa mia anche a mangiare e a dormire per riferire poi quello che la bambina avrebbe detto se avesse parlato ancora delle apparizioni; era il tempo posteriore al giorno in cui la piccola aveva firmato di non aver visto la Madonna, il 15 settembre 1945, su un biglietto dettato da don Cortesi.

- Ma non scrisse poi un altro biglietto affermativo?
- Sì, è andata così. In quei giorni, un giovedì pomeriggio, dissi a mia mamma: "Mi dai un sacchetto di farina bianca? Voglio portarlo alla signora Ottavia, la mamma del curato, perché domani è di magro e potrà preparare i gnocchi; e dammi anche delle uova”. In tempo di guerra la farina era preziosa e non se ne trovava; era tutto tesserato. Era presente Adelaide, e mentre preparavo il pacchetto, le dissi:, "Adelaide, vieni? Devo andare a far delle compere". Se le avessi detto che andavo dal prete non sarebbe venuta. Così siamo andate in paese. Quando sono arrivata vicino alla casa del curato, ho suonato ed è venuta alla porta sua mamma: "Oh, Annunciata, vieni, vieni, sei sola?". Le risposi: "No, c'è qui una bambina ma lei gioca qui fuori". C'era anche don Italo che volle farmi entrare nello studio e mi chiese; "Che hai?". Gli risposi: "C'è qui fuori Adelaide, la chiami e le dia una benedizione perché piange tutta la notte". Infatti lui la chiamò, la fece entrare e le diede la benedizione da sola, così parlarono fra loro. Appena uscite, la bambina mi disse: "Sai, Annunciata, che sono contenta? Come succede a un uomo cattivo che va a confessarsi e se ne va con gioia, così io ora sono felice dopo aver ricevuto la benedizione: sono veramente contenta. E sai il motivo perché piango la notte? Perché ho detto che non è vero che ho visto la Madonna".

- Povera bambina, che sofferenza! Ma poi ha ritrattato.
- Sì, infatti un altro giovedì, e mi ero già messa d'accordo con don Italo, sono andata con lei dalle suore, all'asilo, perché il giovedì avevano vacanza ed erano libere dagli impegni della scuola materna. Esse chiamarono don Italo e, davanti a loro, io le dissi: "Adelaide, sai cosa devi fare? Per riparare il male che hai fatto, vai nell'aula dell'asilo; la superiora suor Celestina ti dà un foglio e una penna e, da sola, scrivi in segreto quello che vuoi. Noi restiamo qui in cortile". Adelaide prese foglio e penna, entrò nell'aula e scrisse: "Sì, è vero che avevo detto che non avevo visto la Madonna, perché me l'ha dettato don Cortesi". E ci spiegò che don Cortesi le aveva fatto credere e dire che al posto della Madonna aveva visto il diavolo. Da allora Adelaide cominciò a scrivere anche il suo diario per ricordare.

- Quanto tempo ha avuto Adelaide in casa sua?
- Non ricordo, l'ho avuta finché è stata portata a Milano presso la signorina Galli.

- Lei è stata interrogata dalla Commissione?
- Quando mi hanno chiamato quelli della Curia per interrogarmi sulle apparizioni, c'erano dei Monsignori che mi fecero domande e c'era un signore che scriveva tutto. M'interrogarono sul libro che c'era sul tavolo e doveva essere di don Cortesi: loro mi leggevano brani e io dovevo solo rispondere se era vero o no. Sono stata chiamata due volte, a distanza di due anni, e risultò che le stesse risposte che avevo dato la prima, le diedi anche la seconda volta, perfino le parole che avevo detto in dialetto; questo me lo dissero quelli della Commissione, e uno concluse: "Qualcosa c’è perché controllando quello che è scritto, pare impossibile che dopo due anni lei si ricordi esattamente parola per parola quello che aveva detto la prima volta". I Monsignori erano sette e c'era pure il Vescovo, lui sulla poltrona in cima al tavolo, e gli altri, erano quattro di qua, e tre di là, più il segretario in borghese: sette interrogavano e uno scriveva; io stavo seduta in fondo al tavolo, proprio di fronte al Vescovo, e quando rispondevo guardavo a lui. Non guardavo ai Monsignori, tutti anziani, perché avevano una grinta tale che mi mettevano paura.

- Non c'erano altri libri sul tavolo?
- Non li ho visti. Alla fine dell'interrogatorio, Mons. Bernareggi mi chiamò vicino per farmi baciare l'anello, e per rimborsarmi le spese del viaggio. Ma io gli dissi: "No, se la Madonna è apparsa, pensa lei a pagarmi". E lui affermò: "Come uomo credo, e come Vescovo devo stare con la Chiesa". Questo me l’ha proprio detto il Vescovo.

- Hanno sentito anche gli altri otto?
- Certamente. In più, non ricordo se fu la prima volta o la seconda, dato che il Vescovo mi aveva trattato così familiarmente, ho aggiunto: “Per conto mio, hanno sbagliato a dare in mano la bambina a una persona così giovane, sia pure istruito e intelligente, però non ha l'esperienza per guidare la bambina”.

- Sapeva che nel terzo libro di don Cortesi lei viene un po' squalificata?
- Sì, tanto che il mio parroco, il povero don Vitali, non volle mai che io vedessi quel libro appunto perché vi si parlava male di me; mi aveva dato invece quello di Ballini. Qualcuno avrebbe voluto che mio marito denunciasse l'autore per difendere il buon nome della nostra famiglia, ma lui preferì non fare denuncia. Lasciamo fare al Signore.

- Ha altri ricordi?
- quand’ero infermiera a Milano, a Garbagnate, non avrei voluto più tornare a casa, ci sarei rimasta per sempre, ma quelle suore mi dissero: "Ti aspettano i tuoi a casa perché le sorelle vanno in convento". Allora mi sono rassegnata a tornare in famiglia a servire i genitori e il fratello Francesco non ancora sposato; avevo un altro fratello in guerra, caduto in Russia. Il papà e il fratello erano "sempre fuori a lavorare la campagna, e io dovevo aiutare in casa mia madre anziana, però non prendevo niente; se dovevo comprare un paio di zoccoli, non avevo i soldi, e allora cercai un lavoro fuori e fui assunta al maglificio, in paese, appunto là dove ebbi il permesso di portare Adelaide quando l’ebbi con me.

- E quando era dalla Galli, andava a trovarla? Essendo sua madrina...
- No. Io ho fatto da madrina di Battesimo anche alla Palmina, all'Annunciata e anche alla Caty che poi s'è fatta suora concezionista. Ricordo che mamma Annetta chiedeva a me se accettavo di fare da madrina alle sue bambine. Papà Enrico Roncalli era cugino di mio padre Pietro Roncalli, figli di fratelli. Erano tre fratelli Roncalli: Battista, Federico e Angelo, i quali avevano sposato tre sorelle di Bonate Sopra. Mio nonno Battista Roncalli ebbe per primo figlio mio padre; mentre Federico ebbe per figlio Enrico, il papà di Adelaide, ma eravamo tutti in casa insieme, tre famiglie ma formavamo un'unica famiglia di 25 persone, come le famiglie di una volta.

- Sempre in quella casa giù al Torchio?
- Sì, dove c’è la scala, lì c'era vicina la nostra cucina. Noi Roncalli abitavamo proprio la parte centrale del Caseggiato, mentre in cima e in fondo c'erano altre famiglie. La nostra è una lunga casa con un'unica scala e un unico terrazzo: era stata costruita per i contadini, proprietà del linificio che possedeva pure i terreni coltivati da noi Roncalli. Eravamo i contadini dello stabilimento, non mezzadri perché noi si pagava l’affitto; e vicine alle abitazioni c'erano le stalle. Adelaide e tutti i figli di Enrico Roncalli sono nati in quella casa. Il mio bisnonno Angelo, era il Roncalli uscito dalla casa di Papa Giovanni XXIII, era lui il capo famiglia, al quale si portava un gran rispetto; morì ultraottantenne, "morto di vecchiezza" si usava dire allora.
Scomparso il bisnonno Angelo Roncalli, un po’ di tempo dopo le tre famiglie si divisero; la mia famiglia e quella di Enrico però avevamo le stanze vicine e ci aiutavamo come fossimo ancora unite. Io mi sposai nel 1949 e mi trasferii qui a Fiorano.

- È stata presente a qualche miracolo del 1944?
- Sì, soprattutto mi rimase impressa nella mente una bella bambina; l'aveva in braccio sua madre, fuori dalla mia cucina. Era sordomuta di nascita e cominciò a chiamare: "Mamma, mamma!". Avevo la sua foto, ma l'ha voluta il Vescovo; avevo anche la foto dell'altarino, ma l'ha voluta ancora il Vescovo.

- Per qual motivo lei credette alle apparizioni?
- Per la sincerità della bambina: ogni volta che tornava dall’apparizione, lei ci raccontava quello che la Madonna le aveva detto.

- Qualcuno scriveva note?
- C'era don Cortesi, era lui che faceva. Ci si radunava in camera di mia mamma, perché era una stanza in cima alle scale, e quando la gente sostava sul piazzale perché voleva vedere la bambina, questa veniva messa sopra un tavolino sul terrazzo, davanti alla ringhiera, per lasciarla vedere a tutti. Quella nostra stanza era diventata il ritrovo di tutti; una sera c'erano anche due repubblicani in divisa, sia per l'ordine fra tanta gente, sia per scortare Adelaide dalla casa al campo delle apparizioni; essi tentarono di ingannare Adelaide sull'orario per impedirle di essere sul posto alle sei, ma lei all'orario giusto volle uscire e nessuno poté trattenerla. Io mi trovavo di sopra quella volta che è girato il sole: io l'ho visto! Era la nona apparizione, l'ultima del primo ciclo, il 21 maggio 1944; guardando giù alla folla, vedevo che cambiavano i colori le camicette bianche e chiare. Sentivo che dicevano: "Gira il sole". Io ci ho creduto subito appunto perché vedevo cambiare i colori sugli abiti della gente: ora li vedevo tutti gialli, ora tutti viola, i colori dell'arcobaleno. Ho saputo più tardi che anche il Cardinale Schuster credeva alle apparizioni di Bonate perché anche a Milano avevano visto girare il sole nei giorni delle nostre apparizioni. Anche Mons. Bernareggi aveva visto il fenomeno del sole in Bergamo, proprio nell'orario di un'apparizione. Qualche volta lui veniva alla cappella vestito come semplice prete; noi ragazze eravamo là di frequente a pulire alla meglio quando la cappella era in costruzione, e una volta arrivò il Vescovo a vedere come proseguivano i lavori, e i sacerdoti che lo accompagnavano si soffermarono con noi a farci molte domande riguardo alle apparizioni: "Credete voi che la Madonna sia proprio venuta qui?". E una rispose: "Sì che crediamo! E chi non ci crede può tralasciare di venire". Però recitarono il rosario insieme col Vescovo. Io ho la foto degli scavi con i primi ponteggi di pali in legno. So che una volta don Cortesi aveva portato la bambina da Mons. Bernareggi, ma non ha voluto che l'accompagnassi io, ha chiamato mia cugina Maria Roncalli; questa era andata anche a trovare Adelaide a Milano presso la signorina Galli.

- Ho letto su un libro che Adelaide soffrì molto.
- La bambina dovette essere operata; una volta i suoi genitori furono chiamati da un medico perché la bambina era stata visitata causa dolori addominali; il medico aveva scoperto segni di percosse. Egli voleva vedere che tipi di genitori fossero. Invece si seppe che i maltrattamenti risalivano al tempo del soggiorno presso le suore di Via San Giacomo in Bergamo. Per questo Adelaide dovette subire un intervento, ma lei non aveva mai detto nulla, e da allora sua madre insistette per volerla a casa.

- In questa foto lei è con una bambina: chi è?
- Qui mi hanno ritratto dietro la cappella insieme con Palmina; la sorellina che assomiglia molto all'Adelaide, e per questo era stata scelta a rappresentar in un filmato, perché Adelaide l'avevano chiusa in collegio. Il filmato l'avevano realizzato le suore Sacramentine di Brembate Sopra. Un giorno è venuta la superiora a casa mia per farmi ripetere la scena dell'invito a cogliere fiori per l'altarino; io mi posi fuori dalla mia casa e recitare: “Palmina, vai giù a cogliere fiori che li metteremo alla Madonna. (Dissi in dialetto: "Palmina, va zo a fa i fiur che 'n ghèi mèt sö a la Madòna”).

- Chi manovrava la cinepresa?
- La superiora. In quella scena la bambina mi rispondeva: "Prima vado a prendere la carrettina). Era quella che usavano i bambini non solo per giocare ma anche per piccoli trasporti. La bambina è andata a prendere la carrettina e mentre partiva verso il campo sono entrate in scena due bambine ad accompagnarla, e qui veniva ripreso anche mio padre che stava andando al portico. Mio padre compare pure in un'altra scena, per un fatto riguardante un periodo dopo le apparizioni: certe coppiette la sera sceglievano quel posto per i loro ritrovi nel buio tra gli alberi. Egli era davvero andato a gridar loro: “Guardate che qui, se volete venire, venite, ma se state a casa mi fate un piacere perché qui non si viene a fare scemenze". Quei giovani si nascondevano nella nostra campagna, e una volta lui li fece snidare agitando un tridente, perché per loro, era solo una scusa il viaggio alla cappella. I contadini ebbero dei danni nei loro terreni per l’afflusso di gente. Più tardi ho saputo che la Madonna si era lamentata con una veggente di Brescia: “Di un posto di preghiera ne hanno fatto un posto di peccati".

- Dove si può trovare quel filmato?
- Forse dalle Suore di Brembate Sopra. In un'altra scena ci hanno ripreso in cucina al momento in cui si versava la polenta in tavola, ed era venuta da noi anche Annetta, la mamma di Adelaide, con tutti i suoi figli; ricordo che nella polenta in quell'occasione è stato infilato un coltello di legno, mentre noi di solito la affettavamo con lo spago. Era stata ripresa anche la stanza di Adelaide, dove c'erano due o tre letti, e avevano messo dei fiori sopra il letto di Adelaide per distinguerlo.

- La vede di frequente?
- No, solo poche volte ci siamo incontrate, a Ghiaie. Lei vive a Milano col marito, le due figlie e una zia di lui, la quale le custodiva le bambine mentre lei era al lavoro: è infermiera e anche lui è diplomato. Quando mia sorella suora era a Milano, qualche volta le telefonava per salutarla, ma rispondeva sempre quella zia: "Adelaide non c'è". Ci fu un periodo in cui ebbi una sorella suora degente al Policlinico, e lì potei salutare Adelaide. Come l'apprezzavano quelle suore! Come le volevano bene! A quel tempo la chiamavano Marita Rosa. Solo una volta l'ho vista insieme con suo marito: al funerale di suo padre. Ormai ci rivediamo solo ai funerali; al funerale del mio povero marito, nel 1980, sono venute le sue sorelle, lei no. Mio marito era stato uno dei primi e più assidui pellegrini al tempo delle apparizioni: così ci siamo conosciuti.

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Fiorano al Serio (BG) 19/2/1987
1° intervista a Annunciata Roncalli Gualdi.

Oggi, mentre rileggiamo insieme la prima intervista per eventuali correzioni, noto che la signora Annunciata sembra voglia dire qualcosa. Le chiedo:

- Ha altri ricordi?
- Sapesse com'ero stanca quella sera del sabato 13 maggio 1944! Ricordo che lo confidai a Caterina Roncalli mentre andavamo verso la chiesa alla funzione mariana: “Sono stanca morta per tutto il lavoro che ho fatto oggi a finire l'imbiancatura di tutta la casa e delle scale". Infatti, da quel 19 marzo del mio ritorno, già il giorno seguente iniziai a sgombrare una stanza, la cucina, per imbiancarne le pareti e il soffitto; quand'era asciutta la prima passata di pennello, bisognava passarci una seconda volta, poi c'era da raspare il pavimento di mattoni per ripulirlo dalle chiazze di calcina indurita, finche poi si riportava dentro il mobilio, tutto ben lucido perché spalmato con olio cotto, e poi sfregato con stracci di lana. E che fatica! Sistemata la cucina, ripetei il lavoro per la camera da letto dei miei genitori, poi per la mia, dove dormiva pure una mia sorella prima di andare in convento, poi per quella di mio fratello situata sul solaio e infine imbiancai le pareti delle scale che finii proprio quel sabato 13 maggio con le ultime pulizie, e la realizzazione dell'altarino nuovo. Ricordo che nel lavoro dell'ultima pulitura delle scale, mi diede un po' di aiuto la Caterina affinché io potessi essere pronta a uscire con lei per l'ora di andare in chiesa. Ma ero stanchissima quella sera.

- Dopo si sarà riposata, vero?
- No, no, perché è cominciata la storia delle apparizioni, e tutta la gente veniva a casa mia, cioè nella mia cucina, perché era ben accogliente, così intonacata di fresco e con tutto in ordine. Quando il 20 marzo avevo cominciato quel lavoro per riordinare e abbellire tutta la mia casa, avevo pensato così: se ci capitasse qualcosa di male, o alla mia famiglia o a quella di Enrico, non abbiamo degli ambienti in ordine, allora voglio rendere più belle e decorose almeno le mie stanze. Infatti avvenne proprio che le mie stanze servirono subito: quanti preti ho ospitato nella mia cucina, anche a mangiare! Quando Adelaide veniva portata di sopra, riceveva le persone importanti in camera dei miei genitori, e non nelle camere della famiglia di Adelaide. Né loro né io non avevamo salotti o tinelli e neppure ingressi o corridoi: le nostre cucine a pianterreno avevano gli usci direttamente sul cortile. Quando venne un cardinale da Roma, gli ho ceduto la mia camera.

- E lei dove andò a dormire?
- Andai giù a far la notte al luogo dell'apparizione, insieme con altri, e si passava tutta la notte in preghiere, rosari e canti.

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Fiorano al Serio (BG) 20/2/1987
3° intervista a Annunciata Roncalli Gualdi.

Oggi sono tornata a riprendere l'intervista interrotta ieri.

- Parli di chi ospitava in casa sua.
- Succedeva spesso, in tempo di guerra, che venissero soppressi dei treni e quando dei sacerdoti restavano bloccati a Ghiaie, cercavano alloggio, ma nessuno dava alloggio ai preti. Io invece misi a disposizione, quando occorreva, la mia stanza che, non solo avevo imbiancata a nuovo, ma l'avevo anche dotata di biancheria: tende, salviette, lenzuola e copriletti nuovi. Avevo perfino messo lo smalto bianco ai due letti in ferro e avevo procurato due sedie nuove. C’erano anche due cassettoni e su uno avevo posto la statua della Madonna. La sera preparavo ai preti due bicchieri d'acqua perché non c'erano rubinetti di sopra; portavo di sopra anche l'acqua per lavarsi, nel catino e nella brocca. Per me era un lavoro in più, ma loro andavano via contenti. Una sera ci capitò in casa un signore vestito bene che cercava alloggio perché voleva passare la notte a Ghiaie per essere lì il giorno dopo, fino all'ora dell'apparizione. Io avevo capito che era un prete e gli ho ceduto la mia stanza.

- Come ha capito che era un prete?
- Sa come l'ho scoperto? Perché gli si staccò un bottone dalla giacca; allora io ho cercato il filo per riattaccarglielo, e mentre lui si chinò per raccattare il bottone da terra, ho visto che aveva le calze color viola. La mattina egli prese la sua valigetta e uscì. Più tardi è venuto da noi il parroco di Ponte S. Pietro per vedere la stanza dove aveva dormito quel personaggio: io gliela feci vedere e lui ne rimase soddisfatto, poi ci spiegò: "Sapete chi era quel signore che avete ospitato? È un cardinale mandato da Roma". Allora io gli ho chiesto come s'era trovato in casa mia; mi ha risposto che si era trovato bene, come famiglia e come apparizione perché aveva avuto la fortuna di essere vicino alla bambina durante l'estasi, e che disse: "La bambina è piccola, per me è vero quello che dice; e poi là si prega tanto". Insomma era rimasto soddisfatto. È vero: là si pregava in continuazione giorno e notte, giorno e notte. Spesso avevo preti in casa ma non ho mai accettato nulla neanche, per il pranzo.

- Che piatti preparava?
- Indovini che cosa abbiamo servito in tavola a quel cardinale: quello che avevamo pronto per noi, la minestra di riso nel latte, seguita da pane e salame! Un piatto contrario dell'altro! Però davamo volentieri quello che c'era in casa. E quanto si mostrò contento il cardinale! Diceva: "Da tanto tempo non mangio più così! Mi sembra proprio di essere a casa mia quando ero un ragazzo". In seguito abbiamo saputo che aveva celebrato la messa a Ponte S. Pietro. Quando i preti partirono, non solo ci ringraziavano, ma dicevano: "Non sembra di essere in una casa di contadini". Infatti, riordinando la mia casa nei due mesi dell'imbiancatura, avevo procurato stoviglie, tovaglie e tovaglioli e asciugamani… per rifornire meglio la mia cucina. Il nostro parroco, informato da quello di Ponte S. Pietro riguardo all'alloggio dato al cardinale, venne per pagarci, ma io non volli niente come al solito. Una volta venne un prete di Arezzo; si fermò una decina di giorni perché il treno era stato bombardato. Era tempo di guerra e di bombardamenti.

- E voi, a pregare all'aperto nel buio della notte, non avevate paura degli aerei?
- Sul luogo delle apparizioni c'erano decine e decine di lumicini accesi e noi lì, a pregare attorno a una pianta presso la quale la bambina si era inginocchiata quando vedeva la Madonna; era in vigore l'oscuramento e ogni sera passava sopra di noi l’aereo che chiamavano: Pippo; non avremmo dovuto accendere lumicini, eppure non ci capitò mai nulla. Ci fu il bombardamento di Dalmine il 6 luglio 1944, e ne morirono anche dei nostri, ma da noi niente; quei lumicini accesi erano un pericolo perché gli aerei li vedevano. Quante notti ho passato laggiù! Preferivo stare a pregare là piuttosto che andare a dormire sul fienile quando la mia stanza era occupata. Anche il mio povero marito, da giovane, veniva a Ghiaie per accompagnare il suo parroco di Fiorano già malaticcio. Io ospitavo il prete nella mia stanza, mentre il giovane Gualdi andava sul posto a pregare tutta la notte insieme con missionari suoi conoscenti. Per più di un mese mia sorella e io abbiamo passato le notti giù "alla Madonna”. Quel giorno in cui girò il sole, il 21 maggio, ci saranno state oltre mezzo milione di persone sul nostro piazzale ed erano salite perfino sui tetti per vedere lo spettacolo mai visto; altri erano lungo il canale sovrastante.

- Ospitava anche i malati?
- Quanti malati vennero portati a Ghiaie in quei giorni! Abbiamo dovuto combinare di mettere a disposizione una stanza che si trovava vicina alle nostre stalle, le quali erano senza bestie perché usate come cantine; così abbiamo allestito un pronto soccorso vicino a casa mia: ci mettevamo malati, barelle, e l’occorrente per casi di malore; c'era un'infermiera diplomata ad assistere i malati. Quanti! Era una processione: alcuni su carrozzelle, altri su carri, bambini in braccio alle madri, tutti diretti verso il luogo detto "'della Madonna". Ricordo che quando la bambina sordomuta si mise a chiamare “mamma”, le ho viste ambedue a piangere di commozione, la madre e la bambina. Ci sono state molte guarigioni, ma non come avrebbe voluto don Cortesi che diceva: "Per avere proprio un miracolo, ci vuole uno senza braccio, e che gli spunti il braccio”. Io mi dicevo: “Ma è possibile? Sta bene che il Signore può fare tutto ma che ci vogliano miracoli di questo tipo per approvare l'apparizione, non mi pare". Più che le conversioni, cosa si vuole di più? Uomini che non eran più andati in chiesa dopo la Prima Comunione, su in parrocchia si sono confessati: più miracoli di questi! Io penso che le conversioni non le farà il diavolo; le farà solo il Signore e la Madonna. Quanti convertiti! Molti poi raccontavano tutto a don Italo.

- Lei deve aver vissuto giorni di gioia, vero?
- Abbiamo passato un mese veramente bello, felici, però il lavoro che abbiamo avuto è stato faticoso: avevo sempre la casa piena e non avevamo neanche una sedia libera per sederci. Di solito in casa di Adelaide entravano a vedere e uscivano, invece in casa mia la gente si fermava; io dovevo anche preparar da mangiare; mio padre lavorava in campagna quasi tutto il giorno, e quando rientrava bisognava fargli trovare il pranzo pronto, o la cena pronta, ma c'era sempre della gente in cucina. Mia sorella, quella giovane che andò suora a 18 anni, si era ammalata sia per lo strapazzo, sia per il freddo della notte preso nelle veglie di preghiera giù nel campo dell'apparizione; fortunatamente poi guarì e partì per farsi suora.

- Perché si chiama Torchio quel gruppo di case tra i campi?
- Le nostre famiglie dei Ronoalli erano contadini e coltivavano la terra, ma avevamo anche il molino e il torchio: c'era lavoro per tutti. Eravamo in tanti, e quando si pranzava, noi ragazzi uscivamo fuori a mangiare, seduti per terra come gli africani; d'estate fuori e d'inverno andavamo nella stalla con la nostra scodella di minestra. Ci si scaldava meglio nella stalla, avevamo tre o quattro mucche; in cucina non c'era stufa ma solo il fuoco del camino. Il nostro torchio macinava la linosa o semi di lino per fare l'olio. Noi si comprava la linosa che torchiata dava l'olio. Restava una specie di crusca che veniva poi pressata in "panelli" rotondi, mangime per cavalli e bestiame. Ricordo che venivano i contadini a comprare da noi “ol panèl” e anche l'olio di linosa, un olio verdognolo e grasso che noi pure usavamo a cucinare. MIO nonno lavorava nel torchio e anche i suoi due fratelli, minori di lui.

- Dov'era situato il torchio?
- In una nostra casa vicina, ma sempre attorno al piazzale; lì c’eravamo trasferiti, dopo la separazione dei tre fratelli Roncalli, la famiglia di mio papà e quella del papà di Enrico. Però ci stemmo per poco tempo, anche se c’era un altro cortile e il deposito dell'olio. Nel periodo in cui dimorammo là, avemmo la visita di Mons. Angelo Roncalli, il futuro Papa Giovanni XXIII. Siccome era stato incaricato di amministrare le Cresime a Bonate Sotto, essendo malato il Vescovo di Bergamo Mons. Marelli, passò a salutare mio nonno, che era suo cugino, e lo salutò così: "Ciao, biondo!". Io ero in casa con mia sorella, e siamo rimaste sorprese a veder entrare un Vescovo. Egli si sedette familiarmente su un sedile di pietra accanto al camino; mia nonna gli chiese: "Vi facciamo un po' di caffè?". Ma forse lui sapeva che il nostro caffè era fatto con semi di vinaccia, e rispose: "No, no". Intanto si volse verso una mensola dove tenevano le scodelle, rosse, dì terracotta smaltata, ne levò una dicendo: "Datemi un po' di vino, lo preferisco al caffè". La nonna prese il fiaschetto e gli versò il vino. Ricordo anche che diede un rosario a me e uno a mia sorella, mentre ci rivolgeva varie domande: "Siete figlie di chi voi?". Noi subito: “Del Piero”. E lui: "Ah, ecco! E chi è il vostro nonno?". Gli abbiamo risposto: “Nonno Battista". Eravamo proprio parenti dei Roncalli di Sotto il Monte. Quando egli tornava da Venezia, dov'era patriarca, andava sempre a trovare le mie due sorelle suore di clausura nelle Clarisse di Boccaleone.

- E le suore di Garbagnate non le ha viste più?
- Sono venute a Ghiaie quando hanno saputo delle apparizioni, e una mi ha detto: "Vedi, ti ha mandato a casa il Signore, che voleva servirsi di te". Tornando ai Roncalli, don Cortesi aveva fatto subito delle ricerche sulle nostre origini nel municipio di Bonate Sopra, allo scopo di sapere se fra i nostri antenati ci fossero stati dei pazzi; invece risultò solo che c'erano stati dei malati di tbc, ma non dei pazzi, altrimenti, ci disse don Cortesi, le apparizioni non si poteva portarle avanti. Prima delle apparizioni, mio padre aveva comprato a Bergamo una statua della madonna e la tenevamo esposta sopra il cassettone della mia stanza. Ebbene, me la portò via don Cortesi perché si era messo in testa che io avessi influenzato l'Adelaide per mezzo della mia statuetta, quindi me la portò via e non me l'ha restituita più.

-Altri ricordi?
- Nei giorni in cui portavo Adelaide con me nello stabilimento, lei se ne stava seduta quieta e zitta, ma un volta mi disse: “Bada che io dico alla gente che non ho visto la Madonna”. Allora io le chiesi: "Perché devi dire così?". Mi rispose: "Eh! Perché l'hanno messo sul giornale?". Io le spiegai: "Ma non siamo stati noi a farlo mettere sul giornale; sono stati i giornalisti a raccontare quello che era capitato”.

- A chi ha riferito poi quanto diceva la bambina?
- Al curato don Italo Duci. E quando il nostro parroco don Cesare Vitali morì, i superiori hanno lasciato don Italo a fare il parroco a Ghiaie perché lui sapeva tutto. Quel giorno in cui gli portai Adelaide per una benedizione, dopo il colloquio privato, egli diede alla bambina questo consiglio: "Sai che cosa devi fare? Se hai qualche problema, dillo alla tua cugina che è anche tua madrina, così se tu non vuoi venire, m'informerà lei". E posso dire che dopo quella benedizione e quel consiglio, Adelaide divenne più serena, mentre prima sembrava che si sentisse a disagio con se stessa; ricordo che lungo la strada del ritorno, un venti minuti dalla parrocchia al Torchio, lei non fece che ripetermi: "Come sono contenta". E da allora Adelaide cominciò a scrivere il suo diario, se non erro, nel 1947.

- Dopo l'interrogatorio?
- Sì, eravamo già state interrogate. Ricordo che le domande rivolte a me erano già state scritte in precedenza e io rispondevo un po' in dialetto e un po' in italiano. Ricordo che alla fine non solo ho detto chiaro al Vescovo che don Cortesi non era pratico di bambini, ma l’ho anche informato che alcuni sacerdoti dei dintorni ironizzavano sui fatti di Ghiaie, chiamando la cappella: "pollaio delle galline". Egli mi chiese i nomi e io gli ho risposto: "Uno è a Ponte San Pietro, uno è di Bonate Sopra, uno è il parroco di Presezzo, e anche le reverende suore di Filago".

- Lei subì anche un'accusa, vero?
- Secondo don Cortesi ero io la colpevole d'aver messo in testa alla bambina l'idea delle apparizioni, a motivo che io l’avevo sempre in casa mia: per forza, Adelaide era spesso in casa mia perché eravamo a porta a porta; era come fossimo una famiglia sola. E poi certe volte la sua famiglia non aveva da mangiare a sufficienza per tutti, quindi i bambini venivano da me e io davo loro da mangiare: erano otto i figli! Secondo me, don Cortesi ha portato bene la parte del diavolo. Ricordo che quando lui mi disse: "Preghi tanto per me perché se vado avanti così, per me è finita" io gli risposi: "Eh, io pregherò, però è stato cattivo anche lei". Una volta egli mi fece pregare anche per il mio futuro marito; mi aveva indicato un seminarista dicendo: "Preghi per quel chierico lì, perché ha intenzione di stare in seminario, ma la salute non è buona per niente perciò deve tornare a casa sua". Infatti dopo un po' di tempo egli uscì dal seminario per curarsi a casa.

- Dove abitava?
- Qui a Fiorano al Serio dove sono venuta ad abitare con lui quando ci siamo sposati. Mio marito è stato sindaco di Fiorano per otto anni, e in seguito sempre vice sindaco; aiutava molto in parrocchia don Santo Bettoni; per sette anni siamo stati inquilini in casa parrocchiale.

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Allegato   Data inserimento:  20/02/1987