Autore:  Mons. A. Bramini Data documento:  02/02/1947
Titolo:  RELAZIONE ALLA COMMISSIONE VESCOVILE (2A PARTE)

 RELAZIONE DI MONSIGNOR ANGELO BRAMINI ALLA COMMISSIONE VESCOVILE DI BERGAMO SULLE APPARIZIONI DI GHIAIE
( 2 febbraio 1947 )

In Archivio Arcivescovile della cancelleria della Curia Vescovile di Lodi, Documenti di monsignor Angelo Bramini riguardanti i fatti di Bonate,
cartella 1

SECONDA PARTE
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E’ nell’interesse della causa che difendo, della stessa autorità inquirente e giudicante, e del giudizio in corso che ogni avvocato coscienzioso compia innanzi tutto uno studio sereno ed obiettivo intorno alla procedura seguita nella trattazione della causa stessa. E ciò allo scopo di stabilire se furono osservate eseguite o meno quelle forme stabilite dal diritto per garantire la inoppugnabilità del giudizio a tutti gli effetti.
Non desterà pertanto meraviglia alcuna nell’E. V. Rma e nei Rvmi colleghi della Commissione, se io - sempre allo scopo di fare il punto della situazione - mi occupo ora brevemente di questioni procedurali, dedicando ad esse questa seconda parte della mia relazione.
So di avere davanti uno dei vescovi più ammirati d’Italia per la sua indiscutibile superiorità intellettuale, culturale e morale, e una accolta di Ecclesiastici distintissimi e venerandi per scienza e pietà. Ciò mi dà animo a parlare con piena libertà e franchezza, sicuro come sono che chi possiede tali doti eccezionali e le possiede quanto più in grado eminente ama soprattutto la verità e desidera che essa sia detta francamente qualunque essa sia.
Mi permetto quindi di dare uno sguardo alla procedura seguita fin qui dalla Autorità Diocesana di Bergamo e dalla Rvma Commissione per l’esame dei fatti di Ghiaie.

E’ doveroso innanzitutto rilevare che gli atti ufficiali (notificazioni, decreti, disposizioni speciali e generali) emanati dall’Autorità Diocesana di Bergamo dal 22 maggio 1944 a questa parte intorno agli avvenimenti di Ghiaie e alle loro conseguenze sono in genere effettivamente intonati a quei criteri di prudente riserva e di dubbiosa attesa che la prassi secolare ecclesiastica suole adottare in casi del genere, sono pienamente conformi alle disposizioni canoniche e quindi giuridicamente validi a tutti gli effetti
Mi soffermerò più tardi sul decreto vescovile del 28 ottobre del 1944.
Ora mi interessa, come sostenitore delle ragioni della autenticità dei fatti di Ghiaie, di occuparmi in particolare del Monito alla Diocesi di Bergamo del 6 luglio 1944.
Questo magistrale documento di zelo pastorale quanto mai corrispondente alle gravissime necessità spirituali di quel tragico momento storico, pur dichiarando che non intendeva affatto pronunciarsi intorno ai fatti di Ghiaie e che di proposito anzi ne prescindeva, contiene tuttavia accenni così evidenti e commossi ai medesimi, e battute di così singolare eloquenza che sembrano legittimare l’impressione che molti ne ebbero, che cioè l’autenticità dei fatti in parola vi fosse implicitamente riconosciuta.
Il richiamo solenne poi alla preghiera e alla penitenza, come condizioni necessarie per ottenere, per la potente intercessione del Cuore Immacolato di Maria, la misericordia del Signore, sembra l’eco fedele della sostanza di quel messaggio di Fatima, che pochi giorni prima era risuonato ancora una volta sulle rive del Brembo.
A titolo informativo e per rendere omaggio alla venerata memoria di un prelato bergamasco che tanto si interessò e con tanta fede ai fatti di Ghiaie, riferirò qui una nota che ho trovato negli appunti del compianto Mons. Antonio Masoni, appunti che egli, prima di morire, ha voluto affidare a un sacerdote di sua fiducia perché li consegnasse nelle mie mani.
Esso reca la data del 10 luglio 1945 e si riferisce al decreto vescovile pubblicato in “Vita Diocesana” dell’aprile 1945, del quale commenta il comma n° 1 (“Sul luogo delle così dette apparizioni, più particolarmente nel rifugio ivi eretto, ecc.) con queste parole : “Si chiama ora rifugio quello che fu per ordine del Vescovo stesso costruito come cappella. Perché questa minorazione ?”
Dal Diario di S.E. Rma risulta infatti sotto le date 14, 21 e 28 giugno che, se non addirittura per ordine del Vescovo, certo con la sua esplicita approvazione, estesa anche direttamente e personalmente al disegno di costruzione, tale edificio fu realmente edificato come “cappella”.
Per quanto riguarda quegli atti dell’Autorità diocesana che non sono documenti, ma propriamente iniziative, il compianto Mons. Masoni fa una osservazione di carattere pregiudiziale : “Poiché in Curia esisteva eretto e canonicamente costituito un Ufficio o Tribunale Ecclesiastico, con ufficiale, vice-ufficiale, notaio, ecc., persone attempate e competenti, non si capisce perché fu del tutto lasciato in disparte quel Tribunale e i suoi componenti, per deputare preti...giovani e in tal genere di cose inesperti. Anche la stessa età, i capelli bianchi dei componenti il tribunale avrebbe giovato a dare maggior prestigio, anche esterno, alla loro azione.”
Disposizione oltremodo saggia dell’Autorità diocesana fu senza dubbio l’isolamento della bimba Roncalli. Peccato che essa sia stata in gran parte frustrata da cause diverse come abbiamo visto !
L’acquisto del terreno al luogo adiacente al luogo delle apparizioni, voluto o perlomeno approvato dall’Autorità Diocesana, come risulta dal Diario del Vescovo sotto le date 29 e 31 maggio, 13 e 21 giugno 1944, fu un atto quanto mai tempestivo e previdente.
La costituzione della commissione medica provvisoria fu una iniziativa certamente commendevole. Peccato che essa non abbia funzionato che ad tempus come si vedrà più oltre !
Discutibile invece sembra la opportunità della visita fatta dal Vescovo al luogo delle apparizioni il 27 luglio, ma, d’altra parte, essa ha avuto il suo lato simpatico e lo ha particolarmente ora, in quanto essa sta a dire che il Vescovo allora, prima cioè che D. Cortesi facesse, scrivesse e dicesse quello che ha fatto, scritto e detto, aveva buone ragioni per inclinare il suo giudizio a favore della autenticità dei fatti.
Il compianto Mons. Masoni rileva nel citato appunto che le parole pronunciate dal Vescovo in una adunanza cittadina del clero a proposito dello scritto del Parroco di Presezzo avrebbe favorito il diffondersi nel clero di sentimenti di diffidenza in ordine agli avvenimenti.
Per quanto discutibile sotto certi aspetti, sembra per certi altri di felici conseguenze l’intervento del Vescovo nell’ultima apparizione, quando, pressato da gravi difficoltà create dall’autorità politica e militare di allora, credette bene di ordinare alla piccola Roncalli che pregasse la Madonna di non camparire mai più, come scrive D. Cortesi in Storia pag. 170 e nell’opuscolo sul contenuto delle visioni a pag. XXXII, sia perché sta a dimostrare che il Vescovo allora credeva alla realtà delle apparizioni, sia, e soprattutto perché quell’ordine offrì alla Madonna l’occasione di dare una risposta che contiene un grande insegnamento di scottante attualità : il rispetto, la deferenza e l’obbedienza alla Sacra Gerarchia della Chiesa.
Quando pertanto il compianto Mons. Masoni, conclude il suo appunto già citato con questa espressione : “Dal complesso a me pare logico il sorgere dell’impressione che non si sia tenuto un andamento, nelle date disposizioni e nei fatti compiuti, uniforme e consentaneo”, non ha forse tenuto sufficientemente conto del fatto che, in questi casi, non potendo l’autorità diocesana tutto vedere e tutto esaminare per conto proprio e in modo diretto, volere o no, è costretta a subire un po’ l’influsso degli stati d’animo dei suoi informatori. Qui sappiamo purtroppo che essi sono passati rapidamente da uno stato di entusiasmo affrettato e impulsivo a uno stato duramente negativo.
Venendo ora a parlare della Rvma Commissione e dei suoi lavori, mi occupo del decreto vescovile 28 ottobre 1944 che la costituisce.
E’ infatti da quel documento che bisogna partire per conoscere la natura, le competenze, e il fine dell’organo da esso costituito.
Diciamo subito che la natura della Commissione non è ben precisata nel decreto, così che è più facile dire subito ciò che la Commissione giuridicamente non è, che non quello che è.
Stando al testo del decreto si può subito escludere in modo tassativo che la Commissione sia un tribunale ecclesiastico.
Infatti :
nel decreto non si usa nessuno dei termini giuridici che qualificano un tribunale ecclesiastico : non si parla di tribunale, di officiale, di viceofficiale, di promotore della fede, di giudici, di periti, di notaio, di attuari ;
la Commissione è composta di sette membri, mentre il C.J.C. non conosce che tribunali di tre o cinque membri (can. 1576, par. 2) ;
secondo il Codice, il vescovo può, se crede, presiedere lui stesso un tribunale, ma in questo caso non può far parte di quel tribunale l’Officiale, il quale “unum constituit tribunal cum episcopo” (can 1573, par. 2, ed è eletto “cum potestate ordinaria judicandi (can. 1573). Il Vermeersch-Creusen in Epitome J.C., III vol. Pag. 17, n. 38, ha “Tribunal diocesanum constare debet tribus vel quinque judicibus, sc. Episcopo AUT officiali, vel viceofficiali cui praest et processum dirigit, et duobus vel quatuor judicibus synodalibus electis per turnum”. Nell’organo costituito col decreto 28/X/1944 invece figurano membri il vescovo che presiede e l’officiale. Il quale quindi non è qui nella sua veste giuridica, ma unicamente come persona oltremodo idonea e competente a far parte del consenso.

Qual’è dunque la natura di quest’organo ? Bisognerà desumerlo dalle competenze che il decreto gli prefigge.
Dal contesto del decreto sembra potersi dedurre chiaramente che la Commissione è costituita per soddisfare alla duplice esigenza che i fatti di Ghiaie, presentando aspetti vari e incerti, hanno di essere accertati nella loro reale consistenza e di essere interpretati dal punto di vista teologico.
Due quindi sarebbero i compiti che alla Commissione assegna il decreto : accertare la reale consistenza dei fatti di Ghiaie e darne l’esatta interpretazione dal punto di vista teologico.
Il primo compito esige un organo di indagine storica, informativo quindi ; il secondo (a prescindere per ora dalla prerogativa episcopale) richiede piuttosto un organo peritale. Due organi, come si vede di natura alquanto diversa, devono necessariamente svolgersi in sfere e tempi diversi. Là dove infatti termina l’indagine storica incomincia lo studio teologico, e non viceversa, e contemporaneamente.
Dal punto di vista teorico nulla impedisce che lo stesso organo svolga in un primo tempo l’attività informativa e in un secondo quella di interpretazione teologica. Ma praticamente la cosa non è troppo liscia ; perché può verificarsi benissimo il caso che uno sia peritissimo nel campo dell’indagine storica e magari assai poco perito nel campo dell’interpretazione teologica, come può verificarsi benissimo il caso contrario.

Nel determinare pertanto le competenze della Commissione dobbiamo dire che il decreto non ha tenuto conto sufficientemente delle difficoltà pratiche contro le quali necessariamente avrebbe dovuto cozzare l’attività della Commissione, come avremo modo di constatare anche meglio in seguito.
E’ molto chiaro invece nel decreto il fine al quale deve tendere l’attività della Commissione che si costituisce : “perché la pietà dei fedeli possa procedere per vie sicure”. Vale a dire : affinché l’invocazione della Madonna in quanto apparsa a Ghiaie e in genere al culto di Essa sul luogo delle asserite apparizioni e altrove non avvengano e non siano esercitati prima e senza che l’autorità ecclesiastica competente abbia dichiarato che i fatti di Ghiaie sono di natura e di origine soprannaturale e che quindi si possa ritenere che la Madonna in quel luogo sia veramente apparsa.
Ma qui viene in campo la prerogativa episcopale del magisterium fidei della quale abbiamo parlato in principio e che non può essere delegata a nessuno, persona od organo che sia, perché di sua natura incomunicabile.
Qualsiasi persona od organo potrà infatti essere delegato dal vescovo alla indagine storica, scientifica e magari anche teologica, ma sempre e solo a scopo informativo e consultivo all’ordine all’esercizio che il vescovo farà poi della sua prerogativa. Ma non di più.

Anche il tribunale ecclesiastico, che è ritenuto comunemente l’organo più adatto a questo genere di indagini, perché riunisce in sé la possibilità di garantire al massimo la verità con la canonicità delle forme, la sicurezza del suo modo di agire per la procedura ben determinata che deve seguire e insieme un andamento più rapido e spedito, in questo caso funge da organo informativo del vescovo, non emette sentenze, ma solo precisa conclusioni di valore strettamente giuridico, in base alle quali il vescovo possa con sicurezza e tranquillità piena pronunciare il suo giudizio definitivo sui fatti così esaminati.
Tutto ciò è praticamente confermato dal fatto che in tutti i casi precedento del genere ( La Salette, Lourdes, Fatima, Banneux) il pronunciamento definitivo del giudizio sulla soprannaturalità degli avvenimenti rispettivi fu fatto e comunicato ai fedeli della diocesi per mezzo di una lettera pastorale, che è un atto di vero e proprio magistero.
In questo si deve anche vedere la ragione per la quale nei casi precedenti mai i vescovi hanno direttamente e personalmente presieduto gli organi da loro costituiti e delegati alla attività-base sulla quale dovevano fondare i loro rispettivi giudizi definitivi.
Da quanto sopra sembra potersi dedurre che dal punto di vista giuridico la Commissione creata dal decreto vescovile del 28 ottobre 1944 è un organo di natura non bene precisata, di competenze praticamente difficili a comporsi, e con un fine che non può essere il suo.
Quale possa essere il valore giuridico dei suoi atti non è quindi facile precisare.

Ora si impone una domanda : la Commissione finora ha svolto di fatto le due particolari attività di cui parla il decreto, e le ha svolte in modo da rendere inoppugnabile sotto tutti gli aspetti il suo eventuale pronunciamento ?
In ordine all’attività di indagine storica sembra potersi stabilire che la Commissione ha preso tre iniziative :

- la delibera di adottare le relazioni stampate del Cortesi come base dei suoi lavori ;
- un interrogatorio collegiale dei testi principali dei fatti di Ghiaie e di quelli da essi dipendenti;
- l’incarico dato al sottoscritto di sostenere le ragioni della autenticità dei fatti, e quindi, implicitamente di fare tutte quelle indagini che egli avesse ritenute necessarie ed opportune allo scopo.

Circa la prima iniziativa c’è qui ben poco da dire. Ormai sappiamo il valore dell’opera del Cortesi e la fiducia che allo stato attuale delle cose può esserle accordata. Questa iniziativa dunque può ritenersi fallita e quella delibera che la riguarda era forse meglio che non fosse stata presa mai.
Tanto più che in Curia esisteva un materiale un materiale di studio che non figura nelle relazioni del Cortesi, ed esaminando il quale io ebbi il primo sospetto che non fosse tutto oro colato quello che il Cortesi aveva ammannito.
Quanto sarebbe stato più utile alla causa se si fosse esteso anche a quello l’attenzione !

Circa la seconda, bisogna rilevare che quegli interrogatori non furono antecedentemente preparati, come era necessario, con un formulario prestabilito, e collegialmente approvate, di domande logicamente dirette ad assodare presso ciascun testimonio la verità dei fatti nei quali egli aveva avuto parte. Essi si sono svolti invece con molteplici domande fatte al momento ora dall’uno ora dall’altro membro della Commissione, ora sopra un punto ora sopra un altro, così che ne sono usciti dei verbali dai quali ben poca luce si può attingere in ordine ai fatti in esame. Uno dei più distinti miei collaboratori, esaminati quei verbali, ebbe a dirmi : “Ma che cosa si può cavare da quegli interrogatori ?...Qualche affermazione interessante soltanto qua e là, ma che non è stata poi approfondita come si doveva e non ha quindi esaurito l’argomento.”

Saggia senza dubbio fu la decisione di affidare a qualcuno l’incarico di sostenere le ragioni dell’autenticità dei fatti, e un giorno, forse non lontano, si dovrà affermare che con essa la Commissione di Ghiaie ha salvato la causa. Il merito è indubbiamente dell’Eccmo Vescovo e della Commissione, ed è prova della singolare rettitudine e del più schietto desiderio di verità che hanno animato il consesso e il suo venerando Presidente.
E qui ometto di dire dell’opera mia perché non sembri che il sottoscritto voglia fare il proverbiale “cicero pro domo sua”.
Modestamente però posso e debbo dire che io sono sicuro di mettere a disposizione della Commissione dati di una certezza indiscutibile e inattaccabile, così da consentire alla Commissione di prendere in base ad essi qualsiasi decisione di carattere preliminare.
In ordine alla attività di interpretazione teologica dei fatti che cosa si può dire ?
Innanzitutto un’asserzione di carattere generale : “Non si può negare che questa attività di interpretazione ha avuto un procedere quanto mai incerto e imbarazzato, il quale non ha consentito di giungere finora ad una qualsiasi conclusione sulla quale la Commissione potesse ritenersi tranquilla e sicura.

Quali le ragioni ?
Mi sembra di poterle individuare in queste tre principalmente :

- l’insufficienza e la poca limpidezza della base storica fornita dal Cortesi da un lato e la lacunosità e incompletezza degli interrogatori fatti dalla Commissione dall’altro. Su basi del genere lo studio teologico non poteva essere che malsicuro e incerto.
- l’influenza che il terzo volume del Cortesi ha indubbiamente esercitato sui Membri della Commissione, nonostante il proposito di tutti di mantenersi sul terreno della più scrupolosa oggettività. Anche l’uomo più colto e più retto può subire senza accorgersene l’influenza di un lavoro compiuto da altri. Si rammenti la prescrizione del C.J.C. circa le perizie mediche sui miracoli : si vuole che i due medici che la devono eseguire non si conoscano e lavorino l’uno all’insaputa dell’altro. Sarebbe stato certamente assai meglio che quel lavoro soggettivo e personale, e per di più arbitrario, del Cortesi non fosse stato conosciuto dai Membri della Commisione. I principali documenti, del resto, in esso riportati erano anche negli atti e potevano anche essere esibiti allo studio dei Revmi Commissari. La parte ultima del volume riguardante la pseuritrattazione della bimba poteva essere riprodotta in copie dattiloscritte che portassero a conoscenza dei medesimi il fatto qua talis.
D’altro lato la dottrina e la rettitudine esemplare di tutti i Revmi Membri della Commissione, che, nonostante tutto, e pur sentendosi tendenzialmente favorevoli alla soluzione negativa del problema di Ghiaie in conseguenza delle istanze negative moltiplicate dal Cortesi, non consentivano loro un giudizio completamente e definitivamente chiaro e sicuro, né permettevano che la loro coscienza si tranquillizzasse nei riguardi di esso Di questo stato d’animo è prova il bisogno che la Commissione ha sentito di incaricare una persona che mettesse in evidenza le ragioni della autenticità dei fatti.

Le prove poi della influenza del Terzo Volume del Cortesi sulla Commissione sono diverse. Cito solamente le principali.

Anche la Commissione si è indugiata sulla applicazione del solo metodo filosofico, senza iniziare, almeno a scopo di controprova, l’applicazione di quello storico. Quindi molte discussioni sui difetti morali e psicofisici della bambina, sul contenuto delle visioni e sulle così dette predizioni fallite, sulle insinuazioni della opposizione circa una pretesa azione suggestiva esercitata sulla bambina dall’ambiente parrocchiale e da quello famigliare, e poco o nulla discussioni sul complesso presumibilmente miracoloso, intorno al quale si è affacciata persino l’idea, non so quanto teologicamente ammissibile, del miracolo - premio della fede anche quando esso sia collegato realmente o intenzionalmente con affermazioni e fatti ben determinati.
Anche la Commissione si è trovata a dare una importanza quasi risolutiva alla così detta ritrattazione della piccina, mentre tale importanza essa non aveva e non poteva avere. Se infatti si dimostrava la esistenza di un complesso miracoloso evidentemente connesso realmente ed intenzionalmente alle primitive affermazioni della bimba, si sarebbe stati nella necessità inderogabile o di riconoscere sincere e veridiche quelle primitive affermazioni o di ammettere l’assurdo che Dio avesse coonestato con miracoli indicativi una menzogna. Senza dire che per questa via si arriva a scalzare tutta la dottrina cattolica sulla vis demonstrativa miraculorum, e quindi tutto il sistema apologetico cattolico, e a svuotare tutta la procedura della Chiesa per la beatificazione e canonizzazione dei servi di Dio.

La così detta ritrattazione della bimba era senza dubbio oltremodo sconcertante, ma, dato che non si possono pretendere da Dio miracoli in serie per salvaguardare i veggenti contro l’esercizio della loro libertà morale e contro gli eventuali attacchi della imperizia o incoscienza o malvagità altrui, bisognava ritenere che il fatto sconcertante, lungi dal risolvere il problema, creava in seno ad esso una nuova e incresciosa questione che esigeva soltanto di essere risolta attraverso indagini tendenti ad individuare le cause del fatto.
Anche l’apparizione della Salette fu negata da Massimino col Santo Curato d’Ars, e, pare ormai provato, anche là per suggestione subita dal fanciullo nel colloquio passato tra il Vicario di Ars e lui la sera precedente a quello che ebbe col Santo Curato. Poi il ragazzo riaffermò nuovamente, ed, esistendo guarigioni miracolose (certamente meno importanti di quelle che abbiamo noi) la autenticità dell’apparizione fu dal vescovo riconosciuta e proclamata.
Di questa incertezza e di questa specie di disorientamento ha risentito indubbiamente anche la commissione medica provvisoria, che aveva il compito di studiare le guarigioni segnalate per dire se esse erano o meno spiegabili naturalmente.
Dall’elenco nominativo di esse, compilate dalla stessa e depositate in atti, risulta che circa una ottantina erano le guarigioni segnalate. Venti di esse figurano qualificate negative unicamente per insufficienza di dati. Sarebbe bastato che il segretario della commissione medica si fosse recato dal parroco di Ghiaie, e avrebbe subito ricevuto da lui quell’incarto che D. cortesi non si curò di ritirare, e nel quale avrebbe trovato molti dei dati che mancavano, così come li ho trovati io, segnalandoli poi all’Autorità Diocesana con mia istanza dell’8 marzo 1946, con la quale richiedevo l’accertamento dei casi rispettivi. Si tenga presente che in quell’incarto erano i dati di tre guarigioni impressionanti che sono ora in corso di accertamento scientifico.
Delle rimanenti sessanta guarigioni furono eseguiti gli esami ?...E’ vero che accanto a ciascuna di esse, tranne cinque, è segnata la qualifica “negativa” ma le relazioni degli esami non esistono almeno in atti. E l’opuscolo riportato dalla commissione medica riporta solo le relazioni intorno a dieci casi, dei quali cinque soltanto se ne segnalano come positivi, salvo il collaudo del tempo. E degli altri cinquanta casi che si è fatto ?

Se si pensa che a Lourdes le guarigioni avvenute o nel corso delle apparizioni o subito dopo furono due, e che dall’epoca delle apparizioni fino ad ora l’Ufficio delle constatazioni ne ha riconosciuto solamente una cinquantina in tutto ; se si tiene presente che a Fatima durante l’ultima apparizione una sola guarigione è avvenuta, e che le altre incominciarono solamente più tardi, ma lasciando quasi il passo alle conversioni ; se si ricorda che a Banneux pure le guarigioni immediate furono pochissime, si deve affermare che nel caso nostro il complesso presumibilmente miracoloso nell’ordine fisico si è presentato subito quanto mai grandioso e imponente e di una grandiosità e imponenza veramente eccezionale. Esso avrebbe richiesto un’attività permanente e intensa da parte della commissione medica, anche perché lo sterminato numero dei malati convenuti a Ghiaie indicava le più svariate e anche le più lontane provenienze, per modo che era prevedibile che molti casi sarebbero stati segnalati col tempo.
Invece ad un bel momento la commissione medica tronca ogni attività e ritiene esaurito il suo compito con la pubblicazione del predetto opuscolo !
E’ vero che teoricamente sarebbe bastato che uno solo dei casi segnalati come presumibilmente positivi si affermasse col perdurare del tempo per avere la prova richiesta per l’autenticità delle apparizioni di Ghiaie, ma a parte la possibilità che questa affermazione venisse a mancare, non è meno vero che quanto più sale il numero dei miracoli e tanto più chiaramente e apoditticamente si moltiplicano le prove della soprannaturalità dei fatti.
In queste cose poi è sempre meglio avere a disposizione un numero un numero più esteso possibile allo scopo di una selezione scientificamente più inattaccabile.
C’è poi da domandarsi come mai la commissione medica abbia trascurato completamente il caso del cieco di guerra Antonio Zordan, i cui dati, sia pure di semplice, ma completa segnalazione, erano in atti.
Insomma è chiaro che, giudicando le cose con piena oggettività, della attività della commissione medica non c’è per nulla da essere soddisfatti.
Soprattutto non si può ammettere che essa abbia troncato la sua attività.
Come ciò sia avvenuto dagli atti non consta. Ma presumibilmente la cosa deve essere andata così : il Prof. Cortesi era anche il manovratore della commissione medica (lo si può facilmente arguire da molti dati). Ad un bel momento egli ha comunicato ad essa le conclusioni del suo studio affermandone quel valore risolutivo in senso negativo della autenticità dei fatti di Ghiaie che egli ha loro attribuito, e tutto finì lì.

Rimangono da esaminare ora, per fare il punto esatto della situazione estrinseca del problema di Ghiaie e completare l’indagine sulla procedura, i singoli atti veri e propri della Commissione.
Perché questo esame particolare potesse essere completo mi occorreva di avere sottocchio una nota schematica delle delibere prese finora dalla Commissione, quali risultano dai verbali delle adunanze. L’ho chiesta, ma non l’ho avuta. Mi limito quindi per forza a quanto mi consta.

Anzitutto bisogna rilevare che nessun membro della Commissione ha emesso nelle mani del Vescovo il giuramento de secreto servando et de munere fideliter adimplendo, prescritto dal Codice per tutti quegli atti ecclesiastici che hanno una certa importanza. Se la Commissione fosse stata un tribunale sarebbe bastata questa omissione per rendere invalidi tutti gli atti e tutti gli effetti giuridici (can. 1621 e 1623). Trattandosi tuttavia di un organo di natura imprecisata, ma destinato a compiere atti di alta importanza in ordine alla fede e al culto, io credo che le conseguenze giuridiche di questa omissione siano identiche.
Per analogia con quanto prescrive il Can. 2007 sembrano giuridicamente invalidi anche gli interrogatori fatti dalla Commissione senza il prescritto formulario previamente approvato dal consesso.
Nel modo di procedere poi della Commissione sembra si debbano rilevare atti non logicamente posti.
La non ammissione nella Commissione del Prof. Cortesi, la successiva proibizione fattagli di non avvicinare più oltre la bambina, e poi il di lui esonero da ogni ingerenza nella questione di Ghiaie sembrano atti in contraddizione con la successiva delibera di adottarne le relazioni stampate come base dei lavori della Commissione.
Infatti o si aveva fiducia in quest’uomo e nell’opera di lui svolta, e lo si doveva includere nella Commissione come il relatore più competente sui fatti in esame, e si doveva consentire di conseguenza che egli, sia pure sotto il controllo della Commissione, proseguisse nella sua attività. O questa fiducia non si aveva, ed allora logicamente si doveva prescindere nei lavori della Commissione e da lui e dalla sua opera e dalle sue relazioni stampate.
Un’altra congruenza sembra essere questa : Prima si delibera di adottare le opere del Cortesi come base dei lavori, poi, iniziando gli interrogatori da lui, gli si domanda sotto giuramento se conferma la verità di quanto ha scritto.
Se si era convinti che quanto il Cortesi aveva scritto era pienamente attendibile, non si doveva rivolgergli quella domanda : se invece convinti di ciò non si era, non si doveva prendere quella decisione.
Da molte parti poi si fa alla Commissione l’appunto di aver lasciato indisturbato Don Cortesi nella sua poco sensata propaganda negativa, mentre ufficialmente si volle imporre il silenzio al Revmo Padre Petazzi che non faceva misteri delle sue convinzioni positive. Dal momento che la Commissione non si sentiva ancora in grado di pronunciarsi con sicurezza, il silenzio doveva essere imposto a tutti o a nessuno.
Si fa anche osservare che taluni decreti o disposizioni furono emanati dal Vescovo dopo aver sentito solamente membri della Commissione residenti a Bergamo. Se la Commissione aveva stabilito di procedere nelle sue delibere a unanimità di voti, questo modo di agire è impugnabile dal punto di vista della validità. Se invece nulla era stato antecedentemente stabilito in merito, ciò costituisce un’altra lacuna nell’attività della Commissione.
Concludendo :

Dal punto di vista canonico tutto quello che è stato fatto finora per l’esame dei fatti di Ghiaie sembra per molti aspetti irregolare e informe.
E’ possibile riconoscere ad esso un qualsiasi valore giuridico ?
Sappiamo che prima di pubblicare un qualsiasi giudizio intorno ai fatti in esame bisogna trasmettere tutti gli atti a Roma. Si può sperare che là, dove le forme sono tenute nel massimo conto come garanzia della sostanza, si vorrà riconoscere giuridicamente ciò che qui è stato fatto e come è stato fatto ?

Lascio anche qui alla Commissione la risposta ai due interrogativi.

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Allegato   Data inserimento:  05/02/1947