RELAZIONE DI MONSIGNOR ANGELO BRAMINI ALLA COMMISSIONE VESCOVILE DI DI BERGAMO SULLE APPARIZIONI DI GHIAIE DI BONATE (2 febbraio 1947)
In Archivio Arcivescovile della cancelleria della Curia Vescovile di Lodi, Documenti di monsignor Angelo Bramini riguardanti i fatti di Bonate, cartella 1
PRIMA PARTE
Eccellenza Reverendissima, Rev.mi Colleghi della Commissione Ecclesiastica
il 22 dicembre 1945, alla duplice condizione che non mi si fissassero limiti di tempo e mi si autorizzasse a valermi della collaborazione di quanti avessi ritenuto utili al fine del compito che mi si assegnava, accettavo l’incarico di sostenere le ragioni della autenticità dei fatti verificatisi a Ghiaie nel maggio 1944. La situazione del problema delle apparizioni di Ghiaie era allora quanto mai oscura ed incerta: tutto sembrava concorrere ad orientare il giudizio verso una soluzione negativa. Ebbi fin dall’inizio la piena coscienza delle difficoltà, né poche né lievi, che dovevo affrontare. Ma soprattutto ebbi contezza piena della responsabilità che, davanti a Dio, alla Vergine Santissima, agli uomini e alla coscienza, gravava sopra di me per l’incarico ricevuto. Riponendo la mia fiducia in Colei che, se veramente era apparsa a Ghiaie, non avrebbe mancato di aiutarmi, mi proposi di compiere il mio lavoro con criteri della più scrupolosa oggettività per conoscere la verità, qualunque fosse il suo volto, disposto anche a presentare una relazione a conclusione negativa o almeno dubbia, qualora non avessi trovato ragioni sufficienti per dimostrare l’autenticità dei fatti. Mi imposi pertanto una triplice norma: allargare al massimo possibile la documentazione relativa al problema – affidare lo studio di quegli argomenti che per loro natura lo richiedessero a persone competenti nel rispettivo ramo scientifico – sottoporre al giudizio di personalità distintissime per dottrina e pietà e dotate di maggiori lumi tutto quel lavoro che avrei compiuto io. In tutto quest’anno della mia attività posso dire di non aver neppure minimamente deflettuto da questa triplice norma. E se oggi non sono ancora nella possibilità di presentare una relazione definitiva sulla tesi positiva, ciò è dovuto principalmente al fatto che non tutte le perizie scientifiche da me commesse ai competenti dei vari rami sono state condotte a termine. Questa è pertanto esclusivamente una relazione di aggiornamento per la Commissione e ha per scopo di fare il punto esatto della situazione del problema come si presenta all’alba del 1947, sia dal punto di vista estrinseco che da quello intrinseco, e mira praticamente a persuadere la R.ma Commissione della necessità urgente di addivenire a decisioni di carattere preliminare. La mia relazione è divisa in quattro parti: le prime due analizzano il problema dal lato estrinseco. In ordine cioè a quanto finora è stato compiuto per dargli una soluzione, la terza lo analizza dal punto di vista intrinseco per far rilevare come esso si presenta in se stesso attualmente, la quarta indica le conclusioni generali di ordine teorico e pratico che oggi si impongono. Non tocca a me giudicare della mia opera di un anno. Io posso tuttavia assicurare l’Eccellenza Vostra e la Rev.ma Commissione che, per i criteri che ho scrupolosamente seguito, questa mia relazione, nel suo complesso e nelle sue singole parti, nulla presenta che non sia rigorosamente documentato e provato da testimonianze di indiscutibile attendibilità. Va da sé che la mia esposizione sarà fatta per sommi capi, e trascrando di proposito tutti quei particolari che – allo stato attuale delle cose e in ordine allo scopo contingente della relazione della relazione – rivestono minore importanza, e che perciò avranno la loro esauriente trattazione più tardi.
I
Una premessa da tenere presente è questa: qualsiasi giudizio intorno a fatti del genere di quelli di Ghiaie è riservata in modo esclusivo al Vescovo della diocesi entro i confini della quale i fatti sono avvenuti, in quanto il Vescovo è per i fedeli a lui commessi vero maestro e dottore della fede (Can.1326), ha il diritto di governare la diocesi “tum in spiritualibus tum in temporalibus” (Can. 335, par. I), e deve curare che nel clero e nel popolo si conservi la purezza della fede, dei costumi e del culto (Can. 336, par. 2). Tale giudizio non può essere delegato a nessuno, perché alla communicabile prerogativa episcopale del magisterium fidei, che appartiene alla essenza dell’Episcopato, legittimo successore del Collegio Apostolico, quale esclusivamente fu comunicato il divino munus docendi. Da ciò consegue per diritto che tutti gli atti destinati per loro natura ad offrire al Vescovo la base per un giudizio di questo genere (indagine storica, scientifica, teologica) sono per ciò stesso riservati al Vescovo quale soltanto può delegare altri a compierli, così chi li compie deve aver avuto dal Vescovo quella delegazione ex speciali mandato che sola può rendere tali atti legittimi e validi giuridicamente. Se poi tali atti vengono compiuti, non solo senza quella delegazione, ma anche nonostante un divieto particolare o generale del Vescovo, oltreché illegittimi e invalidi, essi sono anche illeciti. La laboriosa e moltiplice opera svolta intorno ai fatti di Ghiaie dal M.R.Prof. D. Luigi Cortesi considerata sia nel complesso della sua attività, sia come elaborazione delle sue indagini storiche (“Storia dei fatti di Ghiaie” e “Le visioni della piccola Adelaide Roncalli”) e degli studi personali intorno al problema (“Il problema delle apparizioni di Ghiaie”) va anzitutto vagliata alla luce degli esposti principi. Ho analizzato quest’opera nel suo complesso e con me l’hanno analizzata diversi miei distinti collaboratori : identici sono stati i rilievi, identiche le conclusioni. Circa l’opera del Cortesi considerata nel suo complesso generale si tenga presente quanto egli stesso scrive intorno alle origini, gli sviluppi e il compimento di essa in “Storia dei fatti di Ghiaie” a pag. 130 – 131 in nota. Ivi egli “confessa”:
a) di aver partecipato intimamente ai fatti di Ghiaie “senza un incarico speciale; ma solo per scopi di studio personale”; b) di aver anzi violato interessandosene “un espresso divieto generale del Vescovo”; c) di essersi avvalso di un ringraziamento del Vescovo per informazioni oralmente fornitegli da lui per farne “un permesso sottaciuto”; d) di avere in base a questo presunto permesso sottaciuto infranto la disposizione vescovile speciale che aveva prescritto l’assoluto isolamento della bambina Roncalli, determinando da parte sua “quei lunghi contatti con la bambina” che “erano lunghi furti quotidiani”; e) di aver ritenuto che, dal 27 maggio 1944 in poi, tutto fosse stato “legalizzato” perché : “con Verri, in episcopio hanno informato il vescovo di ciò che fu fatto, di ciò che si vuol fare, dello stato di Adelaide, delle raccomandazioni fatte alle suore”, e da lui hanno sollecitato “istruzioni e consigli per questa sera e per domani".”E ciò nonostante che “alla fine del rapido colloquio” S. E. l’abbia rimproverato “di aver accostato la bambina in convento senza quel permesso” che egli esigeva da altri – e perché “il Vescovo non gliene aveva voluto troppo male”, tanto è vero – dice lui – che “col carissimo collega Prof. Guido Sala gli permise di assistere alle visioni dei giorni seguenti”. Veramente dal diario del Vescovo in atti, sotto la stessa data, si legge qualcosa di alquanto diverso: “Do incarico ai Proff. Don Cortesi e Don Sala di essere presenti domani sul luogo degli avvenimenti”. Così che il “domani” del Vescovo diventa “i giorni seguenti” del Cortesi. f) Che quell’incarico, ad modum actus e limitato alla assistenza alla visione dell’indomani, si dilatò poi “a vista d’occhio” fino a consentirgli, non solo di presenziare alle visioni, ma di assistere “la bambina per granparte della sua giornata”, di accompagnarla “al convegno colla Madonna”, di riaccompagnarla “a Bergamo”, di intervenire nelle molteplici questioni amministrative, organizzative, scientifiche che gli avvenimenti creavano”. Insomma di quel permesso si fece un mandato generale ad universitatem causae. g) Che “anche queste dilazioni abusive furono ratificate e confermate il 14 giugno con un amplissima autorizzazione scritta” di vigilare perché non si verifichi alcun inconveniente religioso relativamente ai fatti di Ghiaie e di intervenire per far cessare gli eventuali inconvenienti che si verificassero”. Di questa amplissima autorizzazione scritta però non vi è traccia negli atti, e nel diario del Vescovo sotto la data del 14 giugno non si legge che questo: “Relazione di D. Cortesi e Sala, il primo sulla visita fatta a Gandino con il prof. Cazzamalli, e comunicazione ad ambedue del decreto pari data, che essi trovano opportuno e per il momento sufficiente”. Né in quel decreto si parla di autorizzazioni date a chicchessia. Nessuno comunque può vedere un’amplissima autorizzazione in quell’incarico particolare di vigilare ecc. ecc. h) che dal fatto che sua Eccellenza si degnava affidargli “vari incarichi”, consigliare “il da farsi”, “approvare ciò che faceva” egli trae l’illazione “il che valeva bene un’autorizzazione generale per tutti i problemi creati dai fatti di Ghiaie”, senza avvertire che tale illazione non era possibile né ammissibile, perché gli incarichi vari, i consigli , le approvazioni sono tutti atti singoli determinati da singoli casi e a singoli casi riferitisi, i quali, proprio per questa singolarità, escludono positivamente una autorizzazione generale, e che né i consigli, né le approvazioni del Vescovo circa singoli atti non possono costituire un mandato giuridico. Dimentica poi il Cortesi di aver poco prima accennato ad una esplicita disapprovazione del Vescovo riguardo all’accompagnare in macchina la bimba sul luogo delle visioni. E non pensa che, comunque, nessuna autorità avrebbe mai potuto approvare tutto quello che egli ha fatto nei riguardi della bambina Roncalli, quando la sottoponeva a lunghi interrogatori e ad esperimenti non sempre commendevoli, a prove di assai discutibile saggezza, prudenza, e pedagogia, quando la coccolava, la abbracciava e baciava e si lasciava da lei baciare, quando la cumulava di regali anche vistosissimi, quando la visitava ad ogni ora del giorno e della sera avanzata, quando la fotografava e faceva fotografare in tutte le pose e in tutte le fogge di vestire, come fosse una diva del cinema (e di ciò fa fede il copioso, troppo copioso documentario fotografico in atti), quando la faceva visitare da questo o da quello, nonostante la disposizione dell’isolamento. C’è poi a questo proposito nel Diario del vescovo, sotto la data del 29 maggio una interessante noticina: “Do istruzione a Don Cortesi che non si faccia vedere come un direttore dei movimenti, per togliere pretesto all’osservazione fatta da qualche confratello che ora che si è cercato di togliere la bambina alla suggestione dei famigliari, sono i sacerdoti che sembrano suggestionarla”. i) che “restava a fare lo studio del contenuto e della storia delle visioni”, che egli aspettò “che qualcuno fosse deputato a cosiffatto lavoro fondamentale, massacrante”, “che non si poteva aspettare a lungo, ecc.”, che egli si credette “in grado di assumersi quel lavoro”, e che interrogando la piccina e raccogliendo deposizioni orali e scritte e sfruttando il suo diario personale, “poté compilare questo studio”. Egli dunque si assunse un lavoro che solo il Vescovo poteva autorizzarlo ad assumersi, e ciò nonostante il particolare divieto contenuto in proposito nel decreto 14 giugno sotto il n. 5. Né risulta agli atti quella licenza scritta che ivi si richiede per fare indagini, né vi erano allora organi di inchiesta già debitamente costituiti, all’infuori di una commissione laica locale con compiti di vigilanza e amministrativi, con la quale del resto il Cortesi non era, come vedremo, in buoni rapporti, né da essa dipendeva per le sue indagini. l) che egli stesso chiama questo suo lavoro “la sua ultima usurpazione” (che in realtà non fu nemmeno l’ultima); m) che “anche questa usurpazione fu convalidata” – secondo lui – “perché il Vescovo si compiacque accogliere il suo lavoro e il materiale da lui raccolto”, mentre quell’atto del Vescovo non aveva e non poteva avere il valore di una convalida essendo un atto passivo col quale l’autorità diocesana riceveva e doveva ricevere qualsiasi materiale riguardante i fatti da qualsiasi fonte provenisse per avere a disposizione quanto le occorreva per le informazioni del caso. Se convalida (ci) fosse stata (per) quell’atto per quanto ebbe a fare Cortesi, lo sarebbe stata anche per tutti quegli scritti di cui fu consegnata o inviata copia all’autorità diocesana, libelli anonimi ingiuriosi, opuscoli più o meno veritieri, e sfacciate pubblicazioni d’opposizione compresi.
A tutti questi rilievi sulla nota citata del Cortesi va aggiunto che il Cortesi ebbe a fare le sue indagini e i suoi studi sui fatti di Ghiaie, non solo prima che col decreto 28 ottobre 1944 fosse costituita la Commissione Ecclesiastica con tali competenze specifiche, ma anche dopo, dato che l’opera scritta dal Cortesi ebbe termine il 7 ottobre 1945. E il Cortesi né era membro della Commissione, né, per quello che risulta dagli atti, fu da essa autorizzato a quell’opera. Concludendo pertanto questa prima serie di osservazioni pare chiaro che l’opera del Cortesi fu un misto di atti illeciti e di atti illegittimi, gli uni e gli altri perfettamente privi di ogni valore giuridico. Si può comunque - nonostante tutto – stabilire che il Cortesi ha compiuto la sua opera con metodi e criteri, che – salvo l’aspetto giuridico - ….a tutte le esigenze della carica e la rendono ineccepibile da un nuovo punto di vista. C’è nella documentazione da me raccolta tutto un dossier di testimonianze debitamente firmate le quali sollevano attorno all’opera del Cortesi, così come essa fu da lui compiuta, una lunga serie di eccezioni, che, per la importanza ed estrema delicatezza del problema che egli ha presunto di trattare, studiare e risolvere, assumono un carattere di particolare gravità. L’indole preliminare e contingente di questa mia relazione non mi consente che di riassumerle per sommi capi.
1) La quasi totalità delle testimonianze concorda nel ritenere che il Cortesi era inidoneo all’opera assuntasi, non solo per la sua troppo giovane età, ma anche per la mancanza di quella serietà, prudenza, ponderazione, distinta pietà, che si richiedono per lavori del genere; per la mancanza di coerenza, di stabilità, che in un primo tempo fece di lui un assertore affrettato ed entusiasta dell’autenticità dei fatti, e in un secondo, immediatamente successivo al primo, ne fece un assertore deciso e cinico della negazione di essa, un propagandista feroce della presunta menzogna della bimba Roncalli, un demolitore accanito della pietà dei pellegrini da lui pubblicamente affrontati sul luogo delle apparizioni con tanta acredine da dichiarare pazzo chiunque credesse ancora alla realtà delle apparizioni di Ghiaie: Si cita anche il particolare della sua insistenza del giugno – luglio 1944 perché sul luogo delle apparizioni si costruisse una cappella, nonostante che il clero locale fosse di avviso che la cosa era prematura, e delle sue violente affermazioni successive di volerla distruggere ad ogni costo, disposto a farlo personalmente se nessun altro l’avesse fatto, a colpi di piccone. E tutto ciò mentre la Commissione Ecclesiastica non aveva fatto alcun pronunciamento intorno ai fatti tuttora in esame. ………. E’ tropo evidente che tutto questo mette tutta l’opera del Cortesi in una luce pregiudizialmente assai sfavorevole. 2) Molte testimonianze accusano il Cortesi di poca sincerità, asserendo che egli ha presso molti negato ciò che poi ha affermato nei suoi scritti, come il trattamento di eccessiva dimestichezza usato con la bambina e il fatto di averne ascoltato talvolta la confessione. E concludono: “Come si può prestar fede ad un uomo che non si rivela sincero?” 3) Altre lo accusano, oltre che di imprudenza anche di scorrettezza per avere egli divulgato le sue relazioni stampate che dovevano invece rimanere segrete, e ciò - dicono – con scandalo dei buoni, con gioia dei malvagi, e con detrimento del prestigio della Commissione Ecclesiastica e del suo futuro verdetto, qualunque esso potesse essere. 4) Si denunciano ancora a suo carico i sistemi da lui seguiti nel raccogliere le testimonianze; e afferma che egli non assumeva e non volle mai assumere, nonostante i ripetuti inviti, le sue informazioni dai membri della commissione di vigilanza locale, ma andava a raccoglierle da donniciuole, da ragazzi e da ragazze, da testi di cui ignorava l’attendibilità o meno; che le assumeva quasi dimostrando di barattarle con regali di vestiti, di sigarette e di altro genere; che alcuni membri della commissione locale, quali il sig. Gerosa e il sig. Verri, si dimisero per questo e per il fatto che egli non rendeva alla commissione ragione alcuna dei prelievi di somme che di quando in quando faceva, mentre in quel campo amministrativo particolarmente la commissione aveva le sue precise responsabilità. 5) Ci sono sacerdoti e laici che dichiarano di non aver voluto dare al Cortesi neppure una riga intorno ai fatti e su cose di cui erano testimoni diretti, perché non ritenevano meritevoli di fiducia i sistemi che vedevano seguiti da lui nel raccogliere le testimonianze. Altri gli rimproverano di aver raccolto testimonianze che gli venivano offerte. E’ comunque provato che egli non si curò mai, nonostante ripetuti inviti, di ritirare dal parroco Vitali un incarto, nel quale figuravano dati diversi di guarigioni segnalate, che poi la commissione medica dichiarò negative unicamente perché prive di dati sufficienti . Altri avanzano dubbi seri che egli abbia tenuto conto di documenti vari, dei quali non appare cenno nella sua storia. Di fatto negli atti consegnatimi dalla Curia Vescovile io non ho trovato traccia di un grafico della bimba Roncalli col quale ha raffigurato la visione simbolica del 21 maggio, di una relazione sui fenomeni solari piuttosto diffusa che il Cortesi ha citato nel suo terzo volume e dell’esposto di D. Mapelli. 6) Quasi tutte le testimonianze rimproverano al Cortesi di aver sempre agito da solo e senza controllo di alcuno, né del clero locale, perché egli raccoglieva le testimonianze fuori dalla casa parrocchiale e di preferenza quando sapeva il clero locale impegnato nelle funzioni parrocchiali festive; con i testimoni trattò sempre da solo a solo, senza la presenza di altri testi qualificati e senza mai chiedere a chi gliele poteva dare informazioni circa l’attendibilità o meno dei testi che egli interrogava; risulta del resto che anche con la bambina Roncalli egli trattò sempre da solo, sia quando la interrogava, sia quando pargoleggiava con lei, sia quando ella affermava la realtà delle apparizioni, sia quando la negava. Così che è lui solo che riferisce quanto ella ha detto prima e quanto ha detto poi. Egli è solo a garantire l’autenticità, la spontaneità, la libertà della pseudoritrattazione della bimba. 7) Molti lo accusano di aver lasciato avvicinare la bambina solamente da chi pareva e piaceva a lui, e di aver impedito ad altri che a lui non garbavano di avvicinarla. 8) Tutti sono unanimi nel deplorare la sua dimestichezza e famigliarità nel trattare la bimba, la sua ingiustificabile sconsigliatezza nell’averne ascoltato le confessioni, la sua inesauribile larghezza nel farle regali anche vistosi. Molti gli rimproverano intenzioni di fare sulla bambina esperimenti delicati (egli pure ne parla nel terzo volume a pagina 23) che non erano onesti. 9) Taluni poi affermano che, avendolo talvolta invitato a tenere sermoncini ai fanciulli, egli si ebbe sempre a rifiutare dicendo che non sapeva adattarsi alla mentalità dei piccoli, per rimproverargli di aver avuto la presunzione di assumersi il compito di trattare e di interrogare la bambina. 10) Molti ancora rimproverano a D. Cortesi di aver monopolizzato tutto ciò che si riferiva ai fatti di Ghiaie, senza che nessuno potesse avere da lui notizie di sorta, attribuendo poi a questo suo modo di fare dei secondi fini. 11) Moltissimi gli fanno l’appunto di non avere mai sentito il bisogno di chiedere lumi e consigli a persone mature e illuminate, mentre egli era tanto giovane ed inesperto in un opera di questo genere. Questi per sommi capi, sono i rilievi contenuti nel dossier. Circa il fatto che don Cortesi agì sempre da solo e senza alcun controllo si potrebbe obiettare che egli ebbe per compagno Don Sala. Ma purtroppo si sa, anche sua esplicita dichiarazione davanti alla Commissione, che quest’ultimo lo assistette saltuariamente e poi lo lasciò fare da solo. Concludendo, s’impone una domanda: dopo tutto questo non si ha il diritto e anche il dovere di limitare la fiducia all’opera del Cortesi ed anche di sollevare intorno ad essa l’eccezione di sospetto?
Se poi veniamo ad esaminare in particolare le relazioni stampate dal Cortesi quanti rilievi si possono fare, e tutti importanti, quante riserve si debbono affacciare, e tutte gravi! Qui non è naturalmente il luogo di confutare il Cortesi: lo si farà nella relazione definitiva. Si tratta solo di osservazioni, rilievi e riserve di carattere generale e introduttivo.
1. “Storia dei fatti di Ghiaie” Questo volume non racchiude la storia dei fatti, perché non è una rassegna limpida e lineare, oggettiva e serena di essi, ma una elaborazione soggettiva, tormentata e stravolta da un cumulo di preoccupazioni filosofiche, scientifiche, psicopedagogiche, letterarie e persino pettegole, nella quale l’autore fa un po’ di tutto: il filosofo, sottile e cavilloso e dubbioso di tutto, così da sembrare un cartesiano, lo scienziato, il critico, il teologo, il mistico, lo psicologo, il pedagogista, il raccoglitore di inezie e persino talvolta il novelliere. Quante persone, dotte e pie, hanno letto questa strana storia hanno dovuto dichiarare che essa li ha disorientati nella conoscenza che speravano di raggiungere dei fatti di Ghiaie, e ciò appunto per tutti quegli elementi eterogenei di cui l’autore l’ha infarcita. Molti che furono vicini ai fatti dicono che questa storia è anche lacunosa perché diversi dati di fatto e diverse circostanze d’una certa importanza non vi figurano affatto. Altri smentiscono la verità di certe pericopi e di certi episodi. La commissione del resto ha sentito smentire da Sr. Celestina la pericope che riguarda quel discorso che – secondo il Cortesi – si sarebbe tenuto all’Oratorio al quale il Cortesi sembra dare una certa importanza. Io sto controllando questa storia, e già altri episodi si smentiscono ed altri se ne aggiungono. Quando il lavoro sarà terminato si potrà dire qualche cosa di più. Si è detto che la sostanza nel libro del Cortesi c’é. E sia pure. Ma chi non sa che quando una sostanza è rivestita di troppi aggeggi si può presentare in modo da rendere difficile il riconoscerla ? Si faccia un confronto fra la storia del Cortesi e la storia primigenia di Fatima compilata da quel professore del seminario patriarcale di Lisbona che si nasconde sotto lo pseudonimo di Visconte di Montelo, e che, per segreto incarico della Curia, in abiti borghesi si recò sul posto mentre ancora durava il ciclo delle apparizioni, e si vedrà la profonda differenza che passa tra l’una e l’altra. Questa si che è storia vera e genuina, semplice, lineare, cristallina, oggettiva e serena, nella quale dell’autore appare solo la fedeltà scrupolosa alle leggi della storia ! Insomma : chi ha studiato veramente e profondamente questo volume del Cortesi arriva a questa conclusione : che un esame coscienzioso e tranquillo dei fatti di Ghiaie non si può fare solamente sulla storia del Cortesi.
2. “ le visioni della piccola Adelaide Roncalli” - di questo opuscolo del Cortesi un dotto religioso ha scritto : “E’ evidentemente tendenzioso perché quantunque apparentemente oggettivo, vi si vede però lo studio per dimostrare l’incoerenza delle affermazioni di Adelaide e la mancanza di ogni contenuto importante nelle visioni. Ma tali affermazioni non corrispondono a quello che persone degne di fede hanno attestato, e, anche dato che siano conformi a verità, è troppo chiaro che le risposte di Adelaide in merito dipendono dalla imprudenza e stoltezza delle domande che le furono fatte. Di questo opuscolo particolarmente si può dire che tutto in esso è stato fatto per confondere e oscurare la verità.” La minuziosità e tortuosità delle domande che il Cortesi rivolge alla bimba sono così esagerate e così lontane dall’adattarsi alla piccola mente dell’interrogata che, anziché facilitarle l’esposizione del contenuto delle sue visioni, (non si dimentichi che si trattava di una rozza settenne) ne facilitano la confusione ed il disorientamento. Spesso poi si rende troppo evidente che l’interrogante vuol condurre la piccola a dire quel che a lui meglio aggrada o che meglio lo persuade anziché ad esporre limpidamente la verità. Si veda ad esempio (per citarne uno) l’insieme delle domande per accertare la famosa frase riguardante la responsabilità della madre nelle disgrazie dei figli. Stranissimo poi il sistema che l’autore segue nello sceverare - come lui dice - l’autentico dallo spurio. Basta che la bimba in un secondo tempo non ricordi più un particolare già precedentemente esposto che egli si ritiene autorizzato a considerare quel particolare come spurio. Ma qualunque veggente autentica può dimenticare, teste S. Giovanni della Croce, qualche particolare delle rivelazioni ricevute, e ciò specialmente quando quel particolare è già stato comunicato a chi di dovere. Si è dato persino il caso contrario di interrogatori rettificati dopo molto tempo dagli stessi veggenti intorno a qualche particolare. Si veda ad e. in “Le meraviglie di Fatima” del P. Da Fonseca che in progresso di tempo Lucia ha corretto negli interrogatori del Visconte di Montelo. E si vedano anche gli interrogatori cui questo personaggio ha sottoposto i piccoli veggenti di Fatima, e si potrà constatare quanto siano diversi per prudenza e saggezza da quelli che il Cortesi ha rivolto ad Adelaide.
3) “Il problema delle apparizioni di Ghiaie” - Come si sa questo volume contiene lo studio tutto personale ed arbitrario che l’autore ha presunto di fare da solo intorno ai fatti in parola. E’ lo svolgimento della tesi che si conclude col “non consta della origine soprannaturale dei fatti perché anzi consta della loro origine naturale, individuata nella menzogna-base della bambina”. Su questo volume, che vorrebbe essere la tomba sepolcrale di tutto il problema delle apparizioni di Ghiaie, c’è molto, troppo da dire, anche senza discendere, come si farà a suo tempo, ad una completa confutazione di tutte le affermazioni contrarie all’autenticità dei fatti che esso contiene. Omettendo di ripetere l’osservazione già fatta per il primo volume che cioè in questo specialmente l’autore crede di poter fare un po’ di tutto, si deve precisare subito che il volume in parola ha un grave peccato originale, confessato cautamente dallo stesso Cortesi a pag. 17, quando afferma che in esso “Le istanze contrarie alla realtà delle visioni avranno rilievo preponderante”. Questo, in parole povere, equivale al proposito deciso di non voler essere oggettivo nello studio dei fatti. E ciò è assai grave. Tanto più che l’autore dimostra in tutto l’andamento della sua opera che a questo proposito - lo vedremo - si è attenuto con una pertinacia degna davvero di miglior causa. La tendenza spiccata a naturalizzare tutto, a volatilizzare o per lo meno a minimizzare qualsiasi traccia o segno di presumibilmente soprannaturale che si manifesta in ogni pagina mette l’autore nella luce di chi pretende di catalogare il soprannaturale tutto e solo dentro il casellario di categorie umanamente prestabilite, di vivisezionarlo quasi sotto i propri occhi e con quelle misere e poche risorse che l’umana ragione ha a sua disposizione. D’accordo che il soprannaturale non si presume, ma si prova ; ma, dopo i fatti di Lourdes, di Fatima , di Banneaux, non è neppure lecito presumere infatti come quelli verificatisi a Ghiaie l’assenza a priori. A che giova allora ripetere, come fa l’autore, quel quousque animam nostram tollis ? quando l’anima non è disposta ad accogliere la luce? Anche i giudei esasperati rivolgevano quella frase a Gesù (Jo. X, 24). Ma questi loro rispondeva : “Loquor vobis et non creditis” (v.25) C’è poi nello studio del Cortesi un grave errore di metodo. Mentre tutti i teologici sono d’accordo che nell’indagare le rivelazioni si deve dare la preferenza e la precedenza al metodo storico “utpote tutior, brevior et facilior”, il Cortesi si lascia travolgere dalla preferenza assoluta per il metodo filosofico, che - a detta dei teologi - è il meno sicuro e il più pericoloso, perché, oltretutto, è anche il più esposto alla facilità di subire le più svariate influenze di carattere soggettivo. Si osservi semplicemente la distribuzione delle pagine di questo volume. Ecco : ai criteri intrinseci pag. 50 - ai criteri estrinseci negativi (i più affini ai criteri intrinseci) pag. 99 - ai criteri estrinseci positivi pag. 44, delle quali ai presumibili miracoli fisici poi, mentre in appendice di volume stesso l’opuscolo pubblicato a cura della cura della commissione medica provvisoria segnala cinque casi di guarigioni dichiarate inspiegabili naturalmente e suscettibili di essere qualificate come miracolose, quando intervenga il collaudo del tempo, il Cortesi si occupa solamente di due casi, intorno ai quali si sbriga con poche battute e poche riserve. E dire che negli atti “figurava anche il caso del cieco di guerra Antonio Zordan che ha recuperato istantaneamente la vista, e nell’incarto offertogli dal parroco di Ghiaie e da lui mai ritirato figuravano, fra le altre, con dati precisi, le guarigioni della suora Bonato Maria, e della Figlia di S. Paolo Sr. Maria del Piano, casi tutti e tre quanto mai interessanti ! Per quello che riguarda i fenomeni solari poche righe, dichiarazione della imposibilità di studiarli perché ha a disposizione una sola testimonianza scritta, mentre altrove dice di avere rifiutato una quantità di offerte di testimonianze! Poi nessuna ricerca, nessuna richiesta agli osservatori astronomici. Non parliamo della banalissima spiegazione che egli crede di dare al movimento delle folle. Anche alle partite di calcio di una certa importanza- dice il Cortesi –accorre tanta gente!! Interessante per cavillosità e per arzigogolature il capitolo che egli dedica alle così dette predizioni fallite per voler dimostrare ad ogni costo che sono proprio fallite tutte. Se a studiare gli avvenimenti di Fatima, di Lourdes e di Banneux fosse stato D. Cortesi il loro riconoscimento canonico sarebbe ancora di là da venire. Infatti ho testimonianze precise che egli ebbe a dichiarare che non riteneva autentici gli avvenimenti di Fatima, e che su quelli di Lourdes non si pronunciava perché non li aveva studiati! Una cosa è certa: questo grave errore di metodo ha danneggiato assai, umanamente parlando, la causa di Ghiaie! Si deve appunto a questa superficiale e misera applicazione del metodo storico il fatto che le istanze negative, derivanti dalla influenza soggettiva, cui soggiacque l’applicazione del metodo filosofico, hanno preso il sopravvento creando attorno ai fatti di Ghiaie quell’ambiente saturo di negatività che ha praticamente arrestato ogni indagine intorno al complesso presumibilmente miracoloso collegato con i fatti. Un’altra osservazione: esiste, ed è evidente per chi studia a fondo le relazioni del Cortesi, un filone intimo che unisce tutte e tre le relazioni, e che non è davvero un filone d’oro. In Storia dei fatti di Ghiaie esso fa capolino qua e là, nell’opuscolo sul contenuto delle visioni lo si sente sotto sotto, ma divenuto norma direttiva; nel terzo volume affiora ad ogni pagina. E’ l’ipotesi che tutto si appoggi sulla menzogna della piccola Roncalli, che l’autore ha sposato con particolare trasporto. Si direbbe che il Cortesi abbia voluto preparare adagio adagio l’animo del lettore in modo da fargli digerire ed assimilare una ipotesi che egli poi penserà a far diventare tesi, e tesi – secondo lui – ben provata. Il Cortesi si era dunque ben prefissa la meta e ci voleva arrivare ad ogni costo. Tutto perciò nella sua trattazione è orientato a questo fine.
Ora la nostra attenzione deve concentrarsi particolarmente su due capitoli del terzo volume: “Il biotipo di Adelaide” e “Malinconico epilogo”. Nel primo egli tratta della perizia Gemelli-Sidlauskaitè ed affaccia nei riguardi di essa molte riserve, che poi diventano appassionati attacchi in un carteggio epistolare tra lui e i due periti – ed espone poi rilievi intorno ai difetti psicofisici e morali della bambina Roncalli, che egli dice frutto delle sue continue osservazioni sopra di essa. 1. Se si leggono le pagine III – 116 non è difficile rivelarvi un malcelato sconcerto e disappunto del Cortesi per le conclusioni di quella duplice perizia, tutte e decisamente favorevoli alla normalità assoluto della bambina dal punto di vista fisico – psichico – morale. Un giorno e precisamente il 9 luglio 1944, in un colloquio con me, il prof. Cortesi ebbe a qualificare quella conclusione come “trionfale”, affermando anche che la Dr Agata Sidlauskaitè era una celebrità di fama mondiale Ora le cose sono cambiate. Egli sospende il giudizio sulla normalità di Adelaide come cosa oscura, sterile e si dichiara “dispostissimo a negarla, qualora non si possa conciliarla con una spiegazione naturale delle visioni. Dunque è perché vuole dare ad ogni costo ai fatti di Ghiaie una spiegazione naturale che egli attacca quella conclusione in quanto essa apre la via al possibile riconoscimento della soprannaturalità dei fatti! La perizia è insufficiente – dice lui – perché non ha “esplorato il settore delle visioni”. Ma se egli stesso dice altrove che “per buone ragioni e con fine saggezza” quel settore era stato a priori escluso dalle indagini! “Mi angustiavo fino a soffrirne fisicamente – scrive – perché non ero soddisfatto di quello studio”. E perché? “Perché temevo – è lui che lo dice – che la questione stesse per avviarsi su di un binario morto, e che le conclusioni di padre Gemelli facilmente sarebbero state dilatate oltre i giusti limiti, e l’altissima competenza del maestro avrebbe guadagnato ai fatti di ghiaie l’adesione del pubblico, della scienza, dell’autorità”. Ah! Temeva dunque una soluzione positiva del problema di Ghiaie! E s’arrabatta (pag.112) per dimostrare che una bugia particolare “proprio nella circostanza della visione” era possibile in Adelaide anche se la sua normalità esclude uno stato abituale di menzogna! E s’attacca a quel pompatissimo “La faccio a tutti io!” pronunciato in altra nota circostanza dalla bambina per insinuare: “Che Adelaide l’avesse fatta anche allo specialista”. E come mai dimostra di non ricordare di aver detto al sig. Verri che avrebbe preceduto di due giorni a Gandino P. Gemelli per preparare la bambina sul modo con cui doveva rispondere? Allora chi voleva farla allo specialista, la bambina o lui? Eppure – consta a me personalmente e lo afferma anche il sig. Verri – D. Cortesi era entusiasta in primo tempo della perizia Gemelli! Come si conciliano i due stati d’animo?…E’ questo un punto quanto mai oscuro. Una cosa appare certa qui: che il Cortesi, nei suoi studi, si lasciava prendere la mano dagli stati d’animo diversi in cui veniva a trovarsi: il che – francamente – non depone a favore della serietà e oggettività di essi. Quale giudizio, ad ogni modo, ci si può fare attorno a questa questione tra Gemelli – Sidlauskaitè e Don Cortesi? Quale valore scientifico hanno i rilievi e gli attacchi di quest’ultimo alla perizia dei primi? La questione è stata da me commessa allo studio di tre specialisti, dei quali finora uno solo ha raggiunto le sue conclusioni, e queste sono tutte a favore della perizia Gemelli – Sidlauskaitè , non senza un interessante rilievo a carico del Cortesi, che suona così: “Le repliche di don Cortesi…qua e là sono contaminate da scatti di risentimento personale, digressioni sentimentali, battute incandescenti, che - poste anche solo per rafforzare la prova – contrastano con le esigenze di una polemica scientifica, anzi psicopedagogica, che vuole, più di ogni altra, freddezza, serenità, spassionalità. Vien fatto anzi di chiedere: se le caldure del polemista fossero talmente naturali e abituali da non potersi sopprimere o cessare totalmente nello inquisitore della psiche di Adelaide, quale conto si potrebbe ancora fare dei contatti, delle indagini, degli interrogatori…come dei risultati ottenuti 2. Si fa particolarmente notare nel terzo volume del Cortesi una insistenza nel dare rilievo nel dare rilievo ai difetti morali e psicofisici della piccola Roncalli che non appare affatto giustificata da ragioni plausibili. Non parlo di ragioni teologiche, perché a questo proposito, se ciò interessasse per il momento, ed interessa nell’ambito di questa relazione, si potrebbe dimostrare quanto da quel punto di vista il Cortesi abbia errato nella valutazione di questo argomento. Parlo di ragioni comuni, scientifiche, storiche, e di qualsiasi altro genere. Ragioni insomma che si possono dire apertamente, e che qui non appaiono, lasciando adito al sospetto che le ragioni di tanta e così esagerata insistenza debbono ricercarsi tra quelle che ordinariamente non si possono e non si vogliono dire. Comunque io possiedo tre relazioni intorno alla bambina di recente data stese dalle Suore della Sagesse che dal luglio 1945 la custodiscono e la osservano educandola. Una di esse poi è la risposta ad una serie di quesiti che io ho posto a quelle Suore, usando (senza naturalmente dirne la fonte) le stesse frasi usate dal Cortesi per mettere in evidenza i difetti morali e psicofisici della bambina. Nella risposta delle suore le affermazioni di don Cortesi sono smentite in pieno! Niente sonniloquio, degno di speciale rilievo, niente sonnambulismo, niente sogni agitati, niente più paura del buio, niente particolare facilità agli assorbimenti, niente mania del teatro, niente tendenza all’esibizionismo, niente più capricci, niente particolare amore di realtà fantastiche e romanzesche, niente dialoghi con la bambola ormai dimessa, niente incontinenza, qualche lieve disobbedienza, qualche bugiola da bambini ma con assenza di astuzie e di finzioni e di compiacenza per aver imbrogliato il prossimo, niente capacità di sostenere a lungo la bugia, di cui si sente umiliata e per la quale riceve con docilità l’ammonizione, niente sudorazione particolarmente abbondante. Per contrario, la bimba prega, medita, frequenta con trasporto i sacramenti con Comunione quotidiana, assimila la predicazione anche lunga. Ma leggiamo le conclusione di due delle relazioni citate: a) “Adelaide, pur non rivelando alcun segno di straordinaria virtù, né lasciando vedere di trovarsi in una particolare fase di vita spirituale intensa, si lascia formare e corrispondere all’opera educativa in modo che, chiunque trattandosi di altra bambina su cui non pesino gli interrogativi che pesano su di lei, definirebbe, forse, più che ordinaria, almeno in certi momenti. La sua coscienza è in formazione, ma si rivela illuminata, la sua volontà sa imporsi degli sforzi che talvolta neppure ogni adulto praticante la virtù sa fare, le gioie dello spirito le gusta e le giudica con esattezza e con senso cristiano, i motivi per cui agisce spontaneamente non raramente sono soprannaturali, la sua obbedienza e docilità si intensificano pur incontrando ostacoli non trascurabili. Le esigenze della sua affettività, che in principio sembravano presentare i segni quasi evidenti d’essere state eccitate e accarezzate dalle ovvie circostanze della sua vita precedente, si stanno disciplinando. Ciò sembra indizio di fondo buono che può essere meglio orientato verso l’alto, nella pratica della vera virtù.” b) “Adelaide è per me un’anima in cammino, già orientata verso l’alto, ma ancora all’inizio della salita e forse a quell’inizio più faticoso e più scabroso, nel quale le abitudini virtuose non esistono ancora e l’anima deve moltiplicare gli sforzi e sempre ricominciare per adeguare l’energie agli ostacoli che si presentano. Potrebbe esser ingiusto pretendere ora da lei ciò che forse potrà dare in altro tempo. Chi può sapere se il demonio, geloso della gloria di Maria, non lavori abilmente per ritardare il suo progresso visibile, onde gettare agli occhi dei superficiali un po’ d’ombra sul fulgore della bontà di Maria? Perché volere in lei un genere e uno sviluppo di santità simile a quello di altri veggenti? Quel che importa è formarla alla vera virtù, guidarla ed aiutarla a dare ciò che può dare.” Come siamo lontani dalle affermazioni e dai giudizi di D. Cortesi!… Si potrà osservare che sono trascorsi molti mesi, anzi più di un anno, da quando D. Cortesi scriveva ciò che ha scritto, e che nella bimba sono maturati nel frattempo i frutti della buona educazione ricevuta. E sia pure! Non si può tuttavia non rilevare che tanto i giudizi del Cortesi quanto quelli delle suore (V. Deposizione di Suor Michelina) intorno ai difetti morali della piccola ce la presentano come una incorreggibile e non suscettibile di di formazione! Ragione per cui bisogna dire che tali giudizi sono stati per lo meno superficiali e affrettati. Ciò che non depone bene intorno alla prudenza e ponderazione del Prof. Cortesi (e delle Suore Orsoline). Se poi ci limitiamo ai difetti psicofisici, che sono completamente smentiti dalle citate relazioni, mentre dal Cortesi sono così categoricamente affermati, che cosa dobbiamo dire? Una delle due: o il Cortesi si è ingannato o ha voluto ingannare. Nell’uno e nell’altro caso le illazioni sono contro di lui e contro il suo studio sui fatti di Ghiaie, dato che ci si possa fermare qui, senza arrivare alla sua personalità morale.
Nell’ultimo capitolo del terzo volume il Cortesi ritiene di fornire gli elementi decisivi per la soluzione negativa del problema delle apparizioni di Ghiaie, e con esso chiude il suo studio dimostrando all’evidenza che egli ritiene che tale soluzione sia definitiva. E’ di tutti quelli che hanno dedicato le loro attenzioni più accurate a questo volume l’impressione che l’autore nelle ultime battute del suo scritto abbia l’aria di chi, dopo molta fatica e dopo aver superato molti ostacoli, raggiunge finalmente la meta agognata, e valica trionfalmente il traguardo. Questa è la sostanza. I piagnistei poetici e romanzeschi con i quali lamenta “il malinconico epilogo” sono rivestimenti, come dire?…artistici. Forse non pensava il Cortesi quando scriveva quelle ultime pagine che con esse segnava”il malinconico”, troppo malinconico! Epilogo di tutta l’infelicissima opera sua intorno ai fatti di Ghiaie. E veniamo ai fatti. Debbo dirlo? E’ stato proprio da quest’ultimo capitolo del Cortesi che, un anno fa, io sono partito per iniziare l’opera mia. La lettura attenta e ripetuta di esso, messa in relazione con il trasporto particolare con cui il Cortesi fin dall’ultima parte del primo volume, e poi per tutti gli altri, dimostra di avere sposato la ipotesi che i fatti di Ghiaie avessero come base la menzogna della bambina Roncalli, mi ha riempito l’animo di sospetti. Il 2 febbraio 1946, dopo avere a lungo dedicato le mie attenzioni alla riproduzione fotografica della così detta ritrattazione della bambina, facevo proporre ad un perito di grafopsicopedagogia della età evolutiva, il quesito seguente: “Una bambina giudicata di mediocre intelligenza – cresciuta fino a sette anni in una povera casa contadina di un paese premontano – rinchiusa poi per un anno in un collegio di suore perché frequentasse una seconda elementare – PUO’ – comporre spontaneamente un diario di un suo caso di vita lungo una facciatina con ortografia corretta, facendo punto ad ogni fine di pensierino, e andando a capo?…” Il 13 successivo veniva la risposta, concepita così: “O dici che la bambina è un fenomeno assai raro – oppure devi per forza intravedervi una mano adulta che guida la piccola mano della fanciulla…” Nel frattempo i miei sospetti si allargavano in seguito alla lettura attenta della copia dei verbali delle deposizioni fatte dai testi davanti alla Commissioni. In essi rilevai come l’affermazione del Cortesi di avere mostrato a tutti i testimoni da lui citati nella Storia quella parte del suo lavoro che li interessava, sia stata categoricamente smentita dalla mamma di Adelaide, dal dott. Zonca, dalla Superiora di Ghiaie, dalla Nunziata Roncalli, e dalla Dott. Maggi, e notai anche come il sig. Verri metta in dubbio la sincerità di D. Cortesi. Il colloquio della signora Roncalli con la bimba, voluto dalla Commissione, ed avvenuto il 20 gennaio 1946, presentava dei lati oscuri e misteriosi specialmente nel contegno e nelle risposte della bambina a proposito dell’episodio di quell’incontro intimo tra la bimba e la mamma nel pomeriggio del 17 maggio 194... Una dichiarazione scritta della mamma di Adelaide posteriore mi informava che don Cortesi un giorno ebbe a rimproverare la stessa di avere interrogato ancora Adelaide se avesse visto la Madonna, rivolgendole poi queste parole: “Deve mettersi in testa ormai che non è vero, senza più chiedere ad Adelaide”, e che più tardi, ripassando da lei, egli le aveva detto che le avrebbe condotto in casa quello che era stato l’ipnotizzatore della bambina, ciò che a tutt’oggi non è ancora avvenuto. Vennero poi le brevi relazioni di due colloqui tra la bimba Roncalli e la direttrice Suor Dosidea Bottani e Suor Lutgarda, dalle quali risultava che la piccola, reiterando le sue negazioni intorno alle apparizioni, a forza di negare, finiva per smentire taluni particolari che tanto Bettina che Severa insistevano decisamente e categoricamente nell’affermare. La piccola dunque con le suore aveva mentito in modo evidente. Non mentiva dunque anche quando negava le apparizioni? Quando mi giunse l’interrogatorio fatto a Savona a Sr. M. Adriana Roncalli, vi leggevo, a proposito della così detta ritrattazione di Adelaide: “Io ho lasciato Bergamo ai primi di luglio 1945 e ho salutato Adelaide prima di venire a Savona. A me essa non disse mai di aver detto una bugia asserendo di aver visto la Madonna. E’ questa la prima notizia che sento. Io penso che la bimba abbia mentito o mentisca adesso.” Nel giugno u.s. mi perveniva da persona autorevole una relazione riservatissima, nella quale tra l’altro leggevo : “…La bambina non presenta nulla di straordinario, non è delle più fervorose,, ma prega. Fa qualche capriccio, come di solito le bambine, ma quando le si fa notare di fare un sacrificio alla madonna, subito si pente e chiede scusa. Fa la Comunione tutti i giorni ed è devota della madonna…Il giorno 16 del mese di gennaio u.s. giunse in Casa Madre una superiora, la quale, non sapendo la proibizione…chiese alla piccola se era vero se aveva visto la Madonna. L’Adelaide disse di sì, e, alla domanda quante volte l’aveva vista,: rispose “Dodici volte”. Saputo del fatto le due suore che erano addette alla sorveglianza della piccola…la sgridarono, la tacciarono di bugiarda e la mandarono a confessarsi…Credo che l’Adelaide sia stata suggestionata da chi doveva studiare il fatto con maggior senno, prudenza e serietà. La piccola ora non dice più la verità per il timore di essere rimproverata ed accusata di essere bugiarda, scaltra, capace di ingannare. Anche le due suore, pure suggestionate da chi doveva difendere la causa, sono persuase che la bambina ha ingannato e inganna. Non vorrei che Adelaide avesse perduto un po’ di quella semplicità che aveva a sette anni. E’ stata troppo baloccata, accarezzata, portata in braccio da chi doveva studiare la psicologia della bambina: a mio modo di vedere si frammischiava troppo dell’umano! La Madonna sarà stata contenta ??? Nel soggiorno a Gandino quelle buone suore anziane rimasero quasi scandalizzate nel vedere con che poca serietà era trattata l’Adelaide, la quale era così affezionata che non desiderava che di vederlo, perché per lei era tutto. Riferiva sempre a puntino tutto ciò che le accadeva. Quando tardava a venire chiedeva con insistenza quando sarebbe venuto. Provò tanto dispiacere quando seppe che non sarebbe più ritornato.” Anche Sr Michelina e Sr. Rosaria davanti alla Commissione hanno detto dell’affetto della bambina per D. Cortesi e della fiducia che aveva in lui, e che per far piacere a lui si sforzava anche di imparare a leggere bene. A questo punto (si era a metà giugno 1946) decisi di rivolgermi ad uno studioso assai quotato di problemi psicopedagogici, chiedendogli che sulla base delle relazioni stampate del Cortesi, studiasse dal punto di vista psicopedagogico il trattamento e gli interrogatori da lui fatti alla bambina. Il 15 agosto 1946 egli giungeva alle sue conclusioni e me le comunicava con una completa relazione accompagnata da una lettera. Esse si possono rapidamente riassumere in questi sommi capi :
1. Gli interrogatori imposti alla bambina Roncalli non furono adatti alle condizioni intellettuali e psichiche della bambina, ed appaiono infarciti di reattivi che possono aver suggestionato la paziente in senso contrario alla affermazione della realtà delle visioni e del loro contenuto ; 2. Il trattamento usato alla bambina durante gli interrogatori non va esente da mende che possono aver influenzato le risposte della bambina in senso contrario alla supposta realtà delle apparizioni ; 3. La dimestichezza, la famigliarità, la confidenza troppo spinte dei rapporti della piccola con l’interlocutore possono aver provocato effetti opposti alle intenzioni di chi le permetteva e favoriva. E’ stato oltrepassato il limite, oltre il quale non è più il caso di parlare di sana pedagogia. Talvolta i fanciulli mentiscono con coloro coi quali abbondi la dimestichezza ; mentre non lo fanno o lo fanno più raramente con chi li tratta con benintesa cordialità. 4. L’ambiente famigliare di Adelaide, piuttosto povero di sentimentalismi, non induce a ritenere normali certi tratti affettivi praticati con Adelaide in collegio, né d’altra parte, alcune situazioni di Adelaide durante gli interrogatori paiono le più adatte a dette manifestazioni affettive. 5. La così detta ritrattazione di Adelaide - appunto perché influenzata da elementi suggestivi - non può considerarsi come definitiva conclusione dei fatti di Ghiaie. Dalla suggestione Adelaide può essere stata costretta a negare le visioni che aveva tenacemente affermato per molto tempo, ma che col tempo possono aver perduto nella memoria di lei quella forza di nitidezza e di immediatezza, atte a farle superare l’influenza di fattori esterni di più vivo interesse e di ben più scottante attualità.” E nella lettera con cui accompagnava la relazione lo specialista aggiungeva :”...La così detta negazione risulta sprovvista di quella forza, di quella convinzione e di quel valore che permetterebbero di ritenerla conclusiva e definitiva. La suggestione ha certamente avuto gran parte nelle risposte di Adelaide ; la posizione di difesa assunta dalla bambina appare evidente in tutti gli interrogatori subiti che la portano ad una qualche negazione...” Ora si sa dunque quale valore attribuire alla così detta ritrattazione di Adelaide.
Se non che, mentre il dotto religioso psicopedagogista attendeva ignaro al suo studio, nuovi e gravissimi dati di fatto andavano maturando. Il 5 luglio u.s. Adelaide, per concessione della S. E. Rma, ritornava in famiglia per un breve periodo di vacanze, che si chiuse il 15 luglio successivo, quando, per disposizione ancora di S. E. Rma, veniva accolta nell’Istituto La Sagesse. Intorno alla breve permanenza di Adelaide a Ghiaie presso i suoi, al suo contegno, ai suoi atteggiamenti, alla sua condotta, a quello che ebbe a dire con i famigliari e con gli estranei, a quanto ebbe spontaneamente a scrivere, esiste tutta una documentazione, costituita da relazioni e testimonianze scritte di non poche persone tutte degnissime di fede e tutte disposte a confermare con giuramento la verità di quanto hanno scritto. Ne riassume per brevi e sommi capi il contenuto. Da questa documentazione risulta : 1. Adelaide - anche secondo quanto ebbe a concludere il succitato psicopedagogista che ha studiato la documentazione relativa a questi dieci giorni - ha fornito le prove a posteriori della suggestione subita in senso negativo circa la realtà delle apparizioni con il suo primo atteggiamento imbarazzato e contraddittorio. 2. Ella ha dimostrato più col contegno che colle parole di essere nei primi due o tre giorni tuttora sotto l’incubo di una imposizione che le proibiva di parlare delle apparizioni. 3. Poi, liberatasi dall’uno e dall’altro vincolo, ha riaffermato decisamente e spontaneamente la realtà delle apparizioni, ricordandone anche non pochi particolari esattamente coerenti con quelli manifestati nel maggio 1944. 4. Il 12 luglio poi, spontaneamente, in piena libertà di sé, e ritiratasi da sola in una sala dell’asilo di Ghiaie con penna e calamaio, ha scritto di tutto suo pugno la seguente dichiarazione : “È VERO CHE HO VISTO LA MADONNA. IO HO DETTO CHE NON HO VISTO LA MADONNA PERCHÉ MI AVEVA DETTATO DON CORTESI ED IO PER UBBIDIRE A LUI HO SCHRITTO COSI’ - Firmato : Roncalli Adelaide. 5. Della reale ed effettiva spontaneità, libertà piena colla quale la bimba ha scritto la precedente dichiarazione, e del fatto che l’ha scritta da sola in un aula dell’Asilo fanno fede sette testimoni, i quali, per significare questa testimonianza, aderendo anche al desiderio della piccola, hanno controfirmato la suddetta dichiarazione scritta da Adelaide. 6. I testimoni assicurano anche che Adelaide è giunta alla rivelazione prima scritta e poi ripetutamente orale della imposizione ricevuta da Don Cortesi e della dettatura da lui fattale della così detta sua ritrattazione, gradualmente, dimostrando di provare molta pena e rammarico per questa rivelazione. 7. Con non minore rammarico la piccola ha anche rivelato i non buoni trattamenti ricevuti nell’ambiente dove era stata fino allora, ma senza rancore neppure minimo contro chicchessia e parlando sempre con molto rispetto delle sue prime educatrici. 8. Durante i brevi giorni trascorsi in famiglia è andata con molta frequenza e sempre spontaneamente e sempre molto volentieri, da sola e in compagnia di altre persone a pregare e recitare il rosario sul luogo delle apparizioni. 9. A casa ella si è dimostrata sempre buona, pia, assidua alla Comunione, pronta sempre a levarsi di buon mattino - nonostante i ripetuti inviti a rimanere a letto - per ascoltare la prima Messa. Quanti l’hanno avvicinata hanno avuto l’impressione che fosse tornata alla primitiva semplicità. 10. I numerosi testi sono concordi nel rilevare che la piccola, dopo essersi liberata dal duplice incubo sopra cennato e dopo aver riaffermato pienamente e decisamente la verità delle apparizioni e rivelato le ragioni della sua precedente negazione, ridiventò serena, tranquilla, gioiosa, mentre prima, per due giorni ebbe a dimostrarsi, con persone intime e altri testi, agitata, timorosa, incerta, scoraggiata, e facile al pianto. 11. La bimba, avvisata che la sua nuova dichiarazione scritta sarebbe stata portata al Vescovo, senza scomporsi e con piena sicurezza, disse : “Sono contenta, portategliela pure, perché è così.”
Il già citato religioso psicopedagogista, dopo aver studiato tutta la documentazione completa riguardante questi dieci giorni unitamente alle tre relazioni già ricordate sopra delle Suore della Sapienza intorno alla bambina, in data 6 gennaio c. a. conclude :
a) I documenti provano ad evidenza che, ad un dato momento, l’atteggiamento di don Cortesi, il trattamento delle suore Orsoline e perfino il contegno delle compagne di scuola influenzavano Adelaide e la inducevano a negare la realtà e il contenuto delle visioni ; da cui risulta che la suggestione in senso negativo non proveniva solo dal modo di imporre gli interrogatori, ma anche da tutto l’ambiente mobilitato in tal senso da don Cortesi. La fanciulla subisce l’influsso di quell’ambiente a tal segno da essere indotta a negare una dopo l’altra le visioni, in precedenza asserite vere, e da riportare una perturbazione psichica ancora palese parecchio tempo dopo aver lasciato il Collegio delle Orsoline. b) L’orgasmo psichico - notevole fin dal tempo degli interrogatori di D. Cortesi - è particolarmente accentuato nell’ultimo periodo di permanenza al Collegio delle Orsoline (periodo nel quale Sr. Lutgarda Beretta rileva in Adelaide un rilassamento nella condotta e specialmente nella pietà), nel breve tempo che la fanciulla trascorse in famiglia (vedi documentazione relativa) e anche nei primi giorni di permanenza presso le RR. Suore della Sapienza (v. loro relazioni)...Col tempo, a fatica, e dopo tergiversazioni e sbandamenti la fanciulla si svincola dalla suggestione e torna a pensare e ad agire in piena libertà di spirito...Va perciò rilevato ancora una volta quanto importasse far cambiare ambiente alla fanciulla.”
L’affermazione ripetuta oralmente e messa in scritto da Adelaide che fu don Cortesi a imporle e a dettarle la così detta ritrattazione smentisce in pieno quanto afferma don Cortesi ;
1. A pag. 230 del suo terzo volume, quando scrive : “Il 13 settembre, alle ore 10, ecc. Adelaide scriveva SPONTANEAMENTE quanto segue : ecc.” 2. nell’interrogatorio fattogli dalla Commissione il 16 gennaio 1946, quando sotto giuramento di dire la verità dichiara : “Si, confermo tutto quello che ho scritto”, quando alla domanda del Vescovo se la ritrattazione fu scritta dalla bambina spontaneamente, rispondeva : “Io già a Ranzanico alla fine di luglio le proposi di scrivere ciò che le dettava il suo cuore : glielo ricordai a settembre, ed ella non l’aveva ancora scritta. E allora la volle scrivere subito. E adoperò la mia penna stilografica. Io giravo nella sala ed essa mi chiedeva se si dovesse scrivere qualche parola coll’h o no.” Quando riferendo il vescovo avrebbe disdetto questa ritrattazione, egli rispondeva, con una excusatio non petita : “...Me non accuserà mai la bambina.” La rivelazione di Adelaide spiega pienamente quanto ella ebbe a dire alla mamma che la interrogava se avesse visto la Madonna o no : “Non posso dirlo, perché altrimenti faccio peccato di disubbidienza e quando vado a confessarmi devo dirlo al confessore.” Ma si deve credere alla bambina ? Il confronto fra la fotografia della dichiarazione scritta dalla piccola il 15 dicembre 1945 e il manoscritto di quella da lei stesa il 12 luglio 1946 rende evidente :
a) che lo scritto del 15/9/1945, steso da Adelaide dopo la sua seconda elementare, è correttissimo eccezion fatta della c minuscola iniziale del cognome Cortesi, reca virgole e punti esattamente collocati, contiene una correzione non dovuta ad altro che ad una macchia di inchiostro caduta sopra le due ultime lettere della parola “visto”, in seguito alla quale è stata ripetuta (more adultorum) la parola completa sopra quella parzialmente macchiata, presenta i ritorni a capo regolarmente al termine di ogni pensierino, manifesta un certo senso di proporzione e di misura nella disposizione della scrittura entro il quadro della facciata e il rispetto accurato di un margine piuttosto largo a sinistra, margine, si noti bene, determinato solo da una linea verticale ideale, perché la carta è rigata solamente in senso orizzontale, e infine porta la firma di Adelaide scritta more adultorum, dando cioè la precedenza al nome sul cognome. b) che lo scritto del 12/7/1946, steso da Adelaide al termine della sua terza elementare, contiene invece diverse scorrettezze ortografiche : un “vito” in luogo di “visto”, corretto more puerorum scrivendo in alto sopra la parola, tra le due lettere i e t, una piccola s ; un “ubbedire” in luogo di “ubbidire” ; uno “schritto” con l’h, un “edi” invece di “ed” ; non ha né virgole né punti, ma solo una parentesi che racchiude la seconda parte della dichiarazione, non conosce ritorni a capo se non costretti dalla fine della riga e della carta, così che, allo scopo di contenere le parole, entro lo spazio disponibile, se ne vanno rimpicciolendo le lettere terminali more puerorum ; non rivela nessun senso di proporzione e misura nella disposizione della scrittura entro il quadro della facciata ; rispetta forzatamente un piccolissimo margine a sinistra solo perché determinato da una riga verticale, dato che il foglio ha la rigatura a quadretti ; porta infine due volte la firma della bambina, scritta sopra e sotto la dichiarazione, ed ambedue le volte more puerorum, dando cioè la precedenza al cognome sul nome ; la data presenta prima “Bergamo” con l’aggiunta in carattere più piccolo di “Ghiaie”, dovuta al fatto che la piccola, abituata ormai a datare da Bergamo, non pensò che in quel momento si trovava al suo paese ; poi se ne ricordò, e fece l’aggiunta. Da questi rilievi sui due scritti appare di evidenza solare che la dichiarazione del 15 settembre 1945 non può essere stata scritta dalla bambina sola, ma che questa dovette essere stata aiutata da altri e con aiuto ben più efficace di quello che poteva dargli “chi girava intorno alla sala” e si limitava a “rispondere alle domande della piccola se si dovesse scrivere qualche parola con l’h o no” (come afferma di aver fatto D. Cortesi) Se infatti Adelaide, dopo la terza elementare, da sola ha scritto nella maniera che si è visto, non si può ammettere che abbia scritto da sola nel modo rilevato un anno prima e dopo la seconda elementare. Questa conclusione irrefutabile conferma oggettivamente l’affermazione della bambina che la dichiarazione del 15/9/1945 le fu dettata da D. Cortesi, ed esige anzi di più di quello che ha affermato la bambina, perché una semplice dettatura non basta a spiegare le profonde differenze grafiche che corrono tra la dichiarazione scritta dopo la terza elementare e quella scritta dopo la seconda. La bimba, ha detto meno di quello che poteva dire, e questo depone a favore della sua sincerità, e perché no? anche della sua rettitudine. Fattori psicologici e morali di indubbio valore stanno inoltre a suffragare la veridicità della rivelazione della bimba. Dalla documentazione già accennata risulta esplicitamente affermato da testimoni ineccepibili e molteplici che la piccola riaffermò subito e spontaneamente e decisamente la realtà delle apparizioni, ma fu assai lenta nel rivelare le cause della negazione precedente. Interrogata, naturalmente, sul perché delle negazioni ogniqualvolta affermava le visioni, dapprima e per qualche giorno taceva chinando il capo e mostrando che l’entrare in quell’argomento le faceva male, poi arrivò persino ad incolpare solo se stessa con significativa frase : “Allora io non capivo niente.” Disse e scrisse della imposizione ricevuta e della dettatura della dichiarazione solo quando comprese che bisognava pur spiegare le ragioni della negazione precedente, e spiegarle in modo esauriente e secondo coscienza. I testi sono concordi nell’affermare che quando Adelaide comprese questo, dimostrò, più con l’atteggiamento che con le parole, un profondo rammarico di dover dire la verità anche su quell’argomento. Quando poi si decide a scrivere la sua riaffermazione, ella dapprima si limita a quella, quasi a voler significare che si sarebbe volentieri astenuta dal resto. Solo quando, presentato il suo scritto, le viene osservato che era necessario mettere per iscritto anche la ragione della precedente negazione che aveva manifestato oralmente, ella ritorna nella sala, sempre da sola, ed aggiunge alla sua dichiarazione la seconda parte. E qui lo scritto dice pure qualche cosa. Adelaide di suo pugno, come si vede, ha chiuso tra parentesi la sua rivelazione aggiunta, quasi a dimostrare che quell’aggiunta, da lei stesa a malincuore, aveva nella sua mente un’importanza minore e secondaria nei confronti della prima parte del suo scritto. Ancora :le accuse che la piccola muove a D. Cortesi e all’ambiente nel quale fino allora aveva vissuto, non sono state buttate là quasi come un alibi al quale ci si aggrappa per cavarsela lì per lì, così che, superato l’imbarazzo, lo si mette a dormire e non se ne parla più. Dalle relazioni delle Suore della Sapienza risulta chiaramente che Adelaide non ha dimenticato né dimentica ciò che nei fatti denunziati le hanno fatto soffrire, e ne soffre tuttora, e tuttora, per quanto a malincuore, con grande rammarico, in modo conciso, con frasi staccate, e generiche, lo rievoca. Il racconto di tali cose “Adelaide - scrivono le Suore - lo fa con profonda commozione, con quella intima oppressione che si intuisce e si sente in un’anima che svela ciò che la fa o l’ha fatta soffrire”, così che “è più espressivo il tono e il complesso del suo atteggiamento che le parole stesse”. Si noti che Le Figlie della Sapienza sono state lige agli ordini ricevuti di non mai interrogare la bimba intorno ai fatti di Ghiaie. Nessuno quindi in quell’ambiente, neppure dopo le sue brevi vacanze in famiglia, l’ebbe a interrogare, come era avvenuto a Ghiaie. Qualsiasi stimolo in tale senso le è quindi completamente mancato, e la bimba avrebbe potuto benissimo lasciare nel silenzio le sue accuse, se mai vi avesse fatto ricorso unicamente per togliersi dal primo imbarazzo. Invece no : è lei che spontaneamente, suo malgrado, ci ritorna sopra e sfoga il suo animo con chi le è più vicino e più le ispira confidenza. Non è poi senza significato che la piccola abbia incominciato questi sfoghi con la sua madre maestra due mesi dopo che era stata ammessa a fare vita comune con le aspiranti, e dopo che indubbi segni aveva dato alle suore dei suoi propositi e dei suoi sforzi per rendersi spiritualmente migliore e persino di aspirare alla santità. Il più importante di essi è avvenuto il 1° novembre 1946, dopo che alla madre maestra aveva confidato di sentirsi inclinata alla vita religiosa per chiedere il suo consiglio, e dopo aver spontaneamente parlato delle apparizioni in modo che “sembrava - son parole delle suore - rievocasse qualche cosa di vivo.” Nello sfogo poi - notano le suore - la piccola non ha misconosciuto i suoi torti” e non ha mostrato di serbare rancore con chicchessia. E che cosa ha confidato la bimba alle suore ? Ecco ciò che esse dicono : “Durante il periodo delle visioni Adelaide ha sofferto sensibilmente la separazione dalla famiglia, il disagio di un ambiente nuovo, diverso dal suo e che, per forza di cose, imponeva sacrifici, pur presentandole comodità che a casa sua non aveva... Adelaide mostra di aver sofferto per il biasimo e diffidenza circa la verità delle sue visioni...provenienti dai suoi capricci. A questo proposito ha detto : “Non è vero che la Madonna si faccia vedere solo ai buoni, ma anche ai cattivi perché diventino buoni.” Nel periodo seguente alle apparizioni la bimba ha sofferto molto per tutto ciò che ha accompagnato e seguito la scrittura della lettera negativa, che lei afferma esserle stata imposta e dettata parola per parola... Ella afferma : “Mi ha detto: scrivila, ne ho bisogno, e te ne troverai contenta. E io ho pensato...se mi dice che me ne troverò contenta...è un sacerdote...”... Ricorda anche di aver molto pianto per la confessione che le suore l’hanno invitata a fare proprio per la lettera, e così lo racconta : “Dopo qualche giorno dalla scrittura della lettera, due suore e la madre mi chiamano e mi dicono : - Devi confessarti, ora. - Io ero stata due o tre giorni prima da don Cortesi che mi aveva confessata in gran fretta e mi aveva detto di tenere sempre quella parola che avevo scritto. Ho detto perciò alle suore che non avevo bisogno di confessarmi, e loro mi hanno risposto : - Sì, sì, hai bisogno di confessarti perché hai scritto quella lettera - Io sono rimasta meravigliata che lo sapessero, perché avevo avuto la promessa di don Cortesi. Non volevo confessarmi, ma il confessore ero venuto apposta e sono andata ; ho accusato qualche peccato e poi ho detto : mi accuso di una cosa, e sono scoppiata a piangere...” Nella relazione delle stesse suore in risposta a quesiti da me proposti, rilevo una preziosa osservazione. Il quesito al quale si risponde riguarda qui l’affermazione di D. Cortesi (3° vol. pag. 115) che a chi indaga sui ricordi delle sue visioni Adelaide fa l’impressione che “voglia celare un episodio doloroso e vergognoso della sua vita”. Ecco la risposta : “Se abbiamo avuto l’impressione che Adelaide voglia celare un episodio doloroso e vergognoso della sua vita, ciò è stato riguardo alla lettera di negazione delle apparizioni, che lei afferma esserle stata imposta. Di questo fatto non ne parla volentieri ; a questo riguardo possiamo dire che è stata costretta a parlarne”, costretta dall’andamento del colloquio, e che ha avuto soltanto qui qualche imbarazzo, qualche oscillazione, sul principio, quando sperava di eviatre tale argomento, ma che ben presto sono spariti. Adelaide afferma senza esitazione e con sicurezza sorprendente la verità delle apparizioni e lo fa con evidente gioia : non nasconde il fatto della negazione scritta e lo fa con evidente dispiacere.” Tutto questo sta a dimostrare che le rivelazioni della bimba sono più che mai attendibili. Resta ora la questione assai delicata : il Prof : D. Cortesi si è servito anche del sacro tribunale della Penitenza per esercitare la sua imposizione sulla bambina ? I fatti sembrano insinuarlo. Che D. Cortesi si sia fatto confessore della piccola affiora tra i colloqui tra Adelaide e la mamma che ci sono noti, risulta dai colloqui tra Adelaide e la sua attuale maestra già citato (“ero stata due o tre giorni prima da D. Cortesi, il quale mi aveva confessata in gran fretta”), dalle deposizioni di Sr. Michelina e Sr. Rosaria davanti alla Commissione il 16/1/1946. A me personalmente risulta da due fonti : da una persona autorevole che lo poteva sapere, e che il 22 maggio 1946 mi disse queste testuali parole : - “Don Cortesi confessava la piccola quasi abitualmente” - e dalla stessa Adelaide, che il 27 luglio 1946 , da me esplicitamente interrogata in proposito con la domanda : - Da chi andavi a confessarti quando eri nell’altro collegio ? - mi rispose decisamente : “Andavo quasi sempre da don Cortesi fino a quando è venuto in collegio.” Il Cortesi stesso (Storia dei fatti pag. 132) afferma di avere ascoltato la confessione della bambina il 27 maggio 1944 in occasione della sua prima Comunione, e di averla invitata a confessarsi da lui il 4 febbraio 1945 dopo la prima parziale negazione (3° vol. pag. 212) e il 31 luglio 1945 (Ivi, pag. 225). Non consta che l’invito del 4 febbraio sia stato accolto, mentre è detto che non fu accolto quello del 31 luglio. Dal colloquio citato tra la bimba e la sua maestra attuale risulta poi, come si è visto, che in quella confessione affrettata fatta da D. Cortesi questi ebbe a dire “di tenere sempre quella parola che aveva scritto”. Questo è quanto possiamo sapere attualmente intorno a questo delicato argomento. Ciò è pertanto più che sufficiente per poter affermare con sicurezza che D. Cortesi ha mescolato il foro esterno col foro interno sacramentale, dimostrando una assoluta mancanza di prudenza e di criterio che in un sacerdote fa paura. Ed è questo il meno che si possa dire. E siamo alla conclusione di questa prima parte. Per carità fraterna e in omaggio al Cuore Immacolato di Maria che ama maternamente tutti i suoi figli e specialmente i sacerdoti mi astengo di proposito dal precisare le responsabilità del M.R. Prof. D. Luigi Cortesi, responsabilità che - almeno dal punto di vista oggettivo - potrebbero benissimo essere precisate al massimo con il Codice di Diritto Canonico alla mano. Mi limito - come conclusione a formulare delle domande.
1. Se quanto il prof. Cortesi ha affermato per iscritto ed a e a voce con giuramento davanti alla Commissione intorno a questioni che egli ha ritenuto tanto gravi da considerarle risolutive in senso negativo del problema di Ghiaie è stato così largamente smentito, come si è dimostrato, che si dovrà pensare delle questioni da lui ritenute meno gravi e meno importanti?...E allora quale fiducia merita ancora l’intera sua opera ?... 2. Ci si rende esatto conto ora della imprescindibile necessità di controllare rigorosamente e integrare le relazioni storiche di lui intorno ai fatti di Ghiaie in modi e forme che possono garantire sotto ogni punto di vista la verità ?... 3. Circa il terzo volume del Cortesi, il cui malinconico epilogo consiste proprio nel crollo totale dell’edificio che egli con esso ha preteso di costruire, si prevede il grave pericolo che esso rappresenta in ordine allo eventuale riconoscimento canonico, che domani potrà avvenire, della realtà soprannaturale delle apparizioni di Ghiaie ?...Non si pensa che riguardo ad esso si impongono decisi provvedimenti adatti a prevenirlo ?... 4. Circa la persona del M.R. Prof. D. Cortesi non si dimostra ora necessario intervenire almeno per imporgli energicamente il più rigoroso silenzio intorno ai fatti di Ghiaie ?...E di intimargli sub gravi che consegni nelle mani del Vescovo quegli eventuali documenti che riguardano i fatti di Ghiaie che egli eventualmente tenesse ancora per sé ?... 5. Non appare ora in modo evidente la necessità di ricorrere a tutte quelle cautele prudenziali che il diritto suggerisce allo scopo di impedire che questa pagina poco edificante figuri domani nella storia degli avvenimenti di Ghiaie, o per lo meno non vi figuri in tutti i suoi particolari ?...
Lascio alla Rev.ma Commissione la risposta a questi interrogativi. A me basta in questo momento rilevare che il nemico acerrimo della Vergine benedetta ha dimostrato in questo caso un’audacia che non ha mai dimostrato nei casi similari precedenti. Forse perché ha intuito che dalle manifestazioni di Ghiaie e dal riconoscimento canonico di esse dipende tutto un grandioso piano di misericordia e di grazia a favore della povera umanità? Alla fine si potrà dire che anche questa singolarissima audacia infernale avrà servito a rendere ancora più splendido e grandioso il trionfo di Maria in quest’ora tormentatissima della storia della Chiesa.
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