PARTECIPAI INTIMAMENTE SENZA UN INCARICO SPECIALE
Nel suo libro “Storia dei fatti di Ghiaie”, S.E.S.A. Bergamo, pubblicato tra il 1944 e 1945 senza l’imprimatur della Chiesa, Don Cortesi confessa chiaramente e senza nessun dubbio, alle pagine 125, 130, 131, di avere operato senza un “incarico speciale” adossandosi tutta la responsabilità del suo operato. ============================================================ Pagina 125 “… Questo fu l'unico contatto che Ad. ebbe con estranei nella nostra casa, perché, dopo le prescrizioni di Don Cortesi, non fu più avvicinata se non da quelli che avevano autorizzazione”. “Le prescrizioni di Don C., veramente, prescrizioni non erano, poiché, sia detto subito, non avevo alcuna autorità di farle, ma modesti consigli, che la bontà altrui ? sorpresa dalla mia audacia, sospetterà forse il lettore maligno ?, si degnò accogliere come prescrizioni, supplendo alla originaria deficienza di titolo. Anche i miei contatti colla bambina non erano nulla meno che furti; anch'io sorpresi la buona fede delle suore, quando, in quel mercoledì 24 maggio, penetrai nel convento e, sotto la malleveria di Verri, ottenni di rivedere la piccina; le suore non mi chiesero le credenziali, che non avevo, ma il vescovo, sabato 27 maggio, a mezzogiorno, presente Verri, poté bene accennarmi un bonario rimprovero. Solo in seguito, i miei furti furono abbondantemente legalizzati. Sicchè le «prescrizioni» erano consigli. E i consigli, va da sé, miravano a soddisfare le esigenze sopra notate, che avevano suggerito l'isolamento della fanciulla e a sanare i guasti eventuali, che aveva operato in lei l'ambiente delle Ghiaie. In particolare, pregavo: che, fino a quando l'entusiasmo dell'opinione pubblica non si fosse abbassato a un livello tollerabile, si vietasse a chiunque di vedere e di interrogare la piccola, senza una espressa autorizzazione del vescovo, che le suore stesse si astenessero dall'interrogarla circa le sue visioni, limitandosi soltanto a registrare ciò che essa avrebbe spontaneamente comunicato…”
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Pagine 130 - 131 Sabato 27 maggio 1944 «A mezzogiorno, Verri ed io siamo in episcopio; informiamo il Vescovo di ciò che fu fatto, di ciò che si vuoi fare, dello stato di Ad., delle raccomandazioni fatte alle suore e sollecitiamo da lui istruzioni e consigli per questa sera e per domani. Alla fine del rapido colloquio, S. E. mi rimprovera di aver accostato la bambina in convento, senza quel permesso che io esigevo dagli altri. Non c'è che dire: debbo incassare in silenzio. Per fortuna, il vescovo non me ne vuoi troppo male. Tant'è vero che col carissimo collega Prof. Don Guido Sala, mi permette di assistere alle visioni dei giorni seguenti.
“È ora che mi confessi. Partecipai intimamente ai fatti di Ghiaie senza un incarico speciale, mosso soltanto da interessi personali di studio, che, tutto sommato, non costituiscono ancora un incarico o una autorizzazione. Anzi, assistendo alle visioni, violavo un espresso divieto generale del vescovo. Tuttavia credevo bene che, salva l'opportunità del divieto generale, l'autorità ecclesiastica doveva tollerare una epicheia e perfino desiderare che alcuno in particolare violasse il divieto per indagare e riferire esattamente la verità. Difatti, quando il 22 maggio, consigliato dagli amici, diedi al vescovo un ampio resoconto orale sul fatti del 21 maggio, non ebbi un rimprovero, che del resto non mi attendevo, ma un ringraziamento, che del resto non meritavo.
Me no vaIsi come di un permesso sottaciuto: continuai a sorvegliare la piccina, a studiare Il suo comportamento e la sua storia, anche, e soprattutto, nel suo rifugio di Bergamo, che pure doveva essere incognito e chiuso a ogni estraneo. Peraltro la mia azione era impacciata e dovevo, allora, farmi presentare da Verri: capivo che quel lunghi contatti colla bambina erano lunghi furti quotidiani.
Poi, il 27 maggio, il furto fu legalizzato, il permesso sottaciuto divenne permesso esplicito, come fu narrato. Nelle nostre mani, per le esigenze della situazione, quell'incarico ? che forse era soltanto un permesso ? si dilatava a vista d'occhio: non soltanto presenziammo alle visioni, ma assistevamo la bambina per gran parte della sua giornata, si accompagnava al convegno colla Madonna ? il che al vescovo, per buone ragioni, non piacque, come mi significava il 30 maggio - e si riaccompagnava a Bergamo, si interveniva nelle molteplici questioni amministrative, organizzative e scientifiche, che gli avvenimenti creavano.
Anche queste dilatazioni abusive furono ratificate e confermate il 14 giugno con un’amplissima autorizzazione scritta di “vigilare perché non si verifichi alcun inconveniente religioso relativamente ai fatti di Ghiaie e di intervenire per far cessare gli eventuali inconvenienti che si verificassero”. Del resto S. Eccellenza si degnava affidarmi vari incarichi, consigliarmi il da farsi, approvare ciò che facevo; il che valeva bene un'autorizzazione generale per tutti i problemi creati dai fatti di Ghiaie. Per cui un bello spirito poté definirmi il «segretario della Madonna di Bonate».
L'esame dei cosiddetti miracoli veniva alacremente condotto dalla Commissione medica preparatoria. Lo studio psicologico di Ad. era affidato a chiari specialisti. Restava a fare lo studio del contenuto e della storia delle visioni. Aspettai che alcuno fosse deputato a cosiffatto lavoro fondamentale, massacrante. Ma non si poteva aspettare a lungo, giacché, allontanandosi dai fatti, la memoria di Ad. e dei testimoni si sarebbe irrimediabilmente oscurata. Allora, per la confidenza e la consuetudine, che aveva con me la piccina, per le amicizie che avevo contratto alle Ghiaie, per l'ampia esperienza personale che avevo dei fatti, mi credetti in grado di assumermi quel lavoro; Don Guido si offriva per assistermi ed aiutarmi. Così, interrogando ripetutamente, sistematicamente la piccina, raccogliendo deposizioni orali o sollecitando relazioni scritte da tutti quelli, vicini o lontani, che avevano intimamente partecipato ai fatti, e sfruttando il mio diario personale, potei compilare questo studio. Il quale, dunque, fu l’ultima mia usurpazione. Senonché, anche questa fu convalidata dalla benignità del vescovo, che si compiacque accogliere il mio lavoro e il materiale da me raccolto.
Questo dovevo dire non certo per aggiudicarmi tutto il merito di quello che feci di buono, ma per addossare sulle mie spalle di privato tutta la responsabilità di quello che feci e feci male, di quello che feci e non dovevo fare, di quello che non feci e dovevo fare. Accuse (oltre a questa, l'unica che giunse fino a me e davvero inconfutabile: Don C. sarà bene tutto quello che si vuole, ma non ha ancora i capelli bianchi) mi sarò pure attirato, Dio mio, chissà quantel Ma non possono colpire il vescovo, il quale nelle delicate faccende delle Ghiaie si condusse colla saggezza, che tutti sanno.”
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