Autore:  Vari Data documento:  19/02/2003
Titolo:  Un processo farsa colmo di gravi irregolarità

 UN PROCESSO FARSA COLMO DI GRAVI IRREGOLARITA’
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Le cinque sedute del Tribunale Ecclesiastico furono così distribuite:
1) Interrogatorio di Adelaide Roncalli (21 Maggio 1947);
2) Interrogatorio di Suor Bernardetta e poi di Adelaide (23 Maggio 1947).
Viene intercalata una seduta senza interrogatori (2 Giugno 1947).
3) Interrogatorio di Suor Bernardetta e poi di Adelaide, poi confronto tra Adelaide e Don Cortesi (6 Giugno 1947);
4) Interrogatorio del Parroco di Ghiaie Don Cesare Vitali (9 Giugno 1947);
5) Interrogatorio di Don Italo Duci curato coadiutore di Ghiaie, poi di Nunziata Roncalli, poi di Suor Celestina Algeri (10 Giugno 1947).
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Pagine tratte dal libro “Adelaide speranza e perdono”, dello scrittore Giuseppe Arnaboldi Riva, Edizioni Villadiseriane.

Proprietà riservata dell’Autore e dell’Editore

ADELAIDE PROCESSATA SENZA ALCUNA DIFESA A SCAPITO DI QUALSIASI NORMA E RISPETTO DEL DIRITTO

Mons. Bramini, comunque, non ha certo deciso di arrendersi e continua inoltre a chiedere nuove indagini, esprimendo egli stesso la grande attesa per il riconoscimento delle apparizioni, un’attesa “viva quanto mai in Italia e ancor più nel resto del mondo cattolico”. Egli confida soprattutto, che un organo istituzionale imparziale può ascoltare e tenere in giusto conto l’opera della difesa da lui condotta. Così, nel tentativo di contrastare quel processo inarrestabile messo in moto dalla Commissione Teologica, nel febbraio 1947, dopo poco più di un anno dalla sua nomina, chiede ufficialmente al Vescovo la soppressione della Commissione e l’apertura di un Tribunale Ecclesiastico per eseguire un corretto esame delle apparizioni secondo la procedura canonica per i processi ordinari di beatificazione e canonizzazione dei servi di Dio. E il Vescovo, da parte sua, accetta, dimostrando piena disponibilità ad accogliere le istanze del difensore delle apparizioni.

Purtroppo però, con grande stupore di mons. Bramini, nel documento di istituzione del Tribunale, la Commissione non è soppressa, ma tenuta in vita e, addirittura, con “maggiore libertà di iniziativa”; anzi: il Tribunale è istituito come strumento minore, “a lato della Commissione”, la quale viene confermata con un ruolo primario e decisivo, superiore a quello del Tribunale, che alla stessa Commissione deve riferire le proprie conclusioni. Gli atti episcopali mostrano così, ancora una volta, una intrinseca difficoltà deliberativa dovuta alla necessità di compromessi. Questa volta però, il rovesciamento di posizioni rispetto alle richieste di mons. Bramini si rivela ancor più evidente nella scelta delle persone nominate quali membri del Tribunale, due delle quali sono trasferite direttamente dalla Commissione al Tribunale: mons. Merati e mons. Magoni.
Mons. Paolo Merati, Canonico della Cattedrale, amico di don Cortesi, è nominato Presidente ed Istruttore del Tribunale. Mons. Magoni, Censore dell’Enciclopedia Ecclesiastica, già segretario della stessa Commissione, viene chiamato a ricoprire l’incarico di notaio del Tribunale.
Oltre a loro, sono eletti altri tre “giudici aggiunti” del Tribunale: il Rettore del Seminario di Bergamo, dove don Cortesi era stimato professore di filosofia; il Parroco di Borgo S. Caterina in Bergamo; un altro Canonico, mons. Cavadini, quale Promotore della Fede, che vedremo presto all’opera interrogare personalmente la piccola Adelaide leggendo alla bimba le pagine più angoscianti del volume di don Cortesi.

Il tentativo di rinnovare i metodi della ricerca della verità provoca dunque una opposizione ancora più sorda e più dura da parte del cerchio curiale che si è stretto ancor più attorno alla figura di don Cortesi.
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Lo stesso mons. Bramini, nominato ufficialmente difensore delle apparizioni, viene subito escluso dai lavori del Tribunale: non sarà nemmeno avvisato dell’apertura dei lavori.

Così, la prima sessione del Tribunale, che prevede l’interrogatorio della piccola Adelaide, inizierà senza mons. Bramini, e la bimba sarà lasciata ancora una volta sola e priva di ogni difesa, alla completa mercé dei suoi accusatori.

Questa prima seduta sarà davvero determinante perché rivelerà le modalità con le quali i membri del Tribunale hanno deciso di procedere, a scapito di qualsiasi norma e rispetto del diritto, ancor peggio di quanto è stato fatto in Commissione.
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L’interrogatorio della bimba avviene in una sala della Casa del Noviziato delle suore della Sapienza in Bergamo, il 21 maggio del 1947, alle ore 10,10.
Il Presidente del Tribunale, Canonico mons. Merati, apre il plico preparato dal Canonico mons. Cavadini, fa giurare la bambina come un adulto. Poi inizia subito a porre domande alla piccola chiedendole di ricordare ai giudici la storia della prima apparizione...
Ma i giudici non sono certo interessati a sapere di più.
A loro non importa approfondire quella storia sacra. E in assenza del difensore, intendono perseguire un chiaro obiettivo: costringere Adelaide a ricordare l’episodio della “confessione”, farla crollare un’altra volta e arrivare sbrigativamente alla chiusura dei lavori.
Per questo i giudici concentrano subito le domande su quell’episodio tanto doloroso, mettendo la piccola Adelaide in gravissima difficoltà. “La bambina continua a ripetere che non ricorda se ha detto a don Cortesi se ha visto la Madonna.” verbalizza il Canonico Magoni nel suo resoconto. I giudici però, rifiutandosi di capire il grave disagio della bimba, insistono ancora sopra questo punto mostrando l’intenzione di collocare la bimba, già priva del difensore, sul banco degli accusati.
Ed è lo stesso mons. Cavadini a prendere l’iniziativa aprendo, davanti alla piccola il volume di don Cortesi. Il Canonico, Promotore della Fede, che evidentemente, come don Cortesi, considera Adelaide una minaccia per la stessa purità della Fede, legge alla bimba la pagina 228 del volume del prete inquisitore.
È la pagina nella quale don cortesi descrive “l’assalto” finale alla piccola Adelaide, l’epilogo del suo confronto con la bimba, scritto in forma di dialogo come un interrogatorio investigativo fra un commissario di polizia e una imputata, fra un Inquisitore e una presunta piccola strega. In tal modo mons. Cavadini sceglie di ricollocare di nuovo la bimba in quella situazione angosciosa, febbrile e paurosa vissuta nei Conventi delle Orsoline, esponendola coscientemente a rivivere i tormenti fisici e psichici, lo spavento terrificante per le minacce di finire all’inferno, sovrapponendo così l’interrogatorio di don Cortesi al proprio, in modo che Adelaide possa vedere in lui, l’immagine stessa del suo Inquisitore e accusatore, don Cortesi, quando, solo a solo con lei, nel silenzio notturno del convento delle Orsoline, le chiedeva : “..come stai Adelaide? anche dentro stai bene nell’anima?...vengo sempre a sapere tutto sai… per esempio che non ti sei ancora confessata… non ti sei ancora confessata di quella bugia circa la tua Madonna… mi vengono le vertigini. Perché hai detto una bugia così grave? Ti piaceva farti ammirare vero ?…”

“La bambina dichiara di non ricordare quanto viene letto” annota ancora il Canonico Magoni. Adelaide tuttavia, riesce a reagire. Controbatte questo assalto dei giudici, e sebbene sia sola, rivela al Tribunale il clima di oppressione vissuto nei conventi delle Orsoline: “Le Suore Orsoline certe volte me le davano, quando dicevo di aver visto la Madonna: per esempio Suor Lutgarda, così anche al lavoro, quando per esempio non avevo l’ago. Allora dicevo che l’avevo vista lo stesso anche se mi battevano”.

Ma i giudici non intendono credere alle parole della bimba considerandola evidentemente una mentitrice, e non arrestano qui il loro interrogatorio. Al contrario: decidono invece di proseguirlo cercando di scoprire eventuali influenze esterne sulla piccola Adelaide, sospettando del Parroco e del Curato di Ghiaie, dello stesso difensore di Adelaide mons. Bramini, e del gesuita padre Petazzi.

Poi, d’un tratto, mons. Cavadini, volendo tornare a battere lo stesso chiodo, mostra alla bimba il foglio della “confessione”. “È la mia scrittura” - conferma Adelaide - “Io ho scritto su di un foglio doppio, ma siccome il primo si è macchiato allora l’ho riscritto sul secondo. Questi fogli li ho scritti in una stanza delle Orsoline in Città Bassa; era presente appena don Cortesi. Lo scritto me lo ha dettato lui. Mi dettava e io scrivevo”.

Gli atti del Tribunale e il resoconto del notaio non riportano però la ragione della macchia sul foglio, perché proprio quella macchia è il segno del pianto disperato di Adelaide e del suo martirio. Il primo foglio è stato sostituito da don Cortesi perché macchiato dalle lacrime disperate della piccola Adelaide cadute sull’inchiostro.

Questi giudici, trascurando volutamente ogni testimonianza sui tormenti sopportati da Adelaide, mostrano un progetto comune: tutti loro infatti, avendo adottato il volume di don Cortesi scelgono deliberatamente di approvare i mezzi illegali usati dal prete bergamasco, rivelando inoltre chi sono i “Superiori” indicati da don Cortesi come garanti della Inquisizione da lui condotta su Adelaide.

Questi giudici, infine, condividendo l’immagine orribile di Adelaide come nodo di vipere, che costituisce l’accusa di don Cortesi, ammettono di approvare anche il modo inquietante nel quale lo stesso don Cortesi si è configurato nel suo stesso volume, come “ inquisitore e accusatore”.
Per questo il Tribunale della Curia di Bergamo confermando l’Inquisizione di don Cortesi, ripete la sua accusa contro Adelaide e istituisce contro la bimba un vero processo.
Un processo, oltretutto, arbitrario e illegale. Mancando lo stesso difensore mons. Bramini, nessuno può verificare la legittimità degli atti. Nessuno può contestare le modalità usate per l’interrogatorio di Adelaide e l’esattezza della verbalizzazione delle sue risposte ; come, del resto, nessuno si è mai sognato di controllare l’azione di don Cortesi.
I dubbi di illegittimità, evidentemente, non possono nemmeno essere presi in considerazione da questi giudici, perché li costringerebbero ad aprire un nuovo procedimento a carico di don Cortesi, dei membri della Commissione, e di loro stessi.

Occorre allora chiudere, e chiudere in fretta, confermare la bambina come mentitrice e indemoniata e distruggere così le apparizioni.
Allora mons. Cavadini continua la lettura di altri brani del libro di don Cortesi passando all’ultima pagina, la pagina 229 che descrive la conclusione dell’“assalto” definitivo, con il quale don Cortesi, trionfante, pensa di aver incenerito le apparizioni, sommergendo la bimba, ormai completamente piegata dalle percosse, dai terrori e dall’asfissia di interrogatori senza fine.
“Sei tremenda !..Cosa debbo pensare ?.. Perché hai detto una bugia tanto grave ? Desideravi che venisse tanta gente ? Perché muovevi le labbra quando guardavi in cielo ? Perché pregavi ? Sei sincera ?” - la tormentava il prete dopo una buona dose di umiliazioni e percosse ricevute dalle suore - “Dimmi la verità, Fuori la verità ! Tu certamente avrai vergogna di confessare la tua bugia, Perciò facciamo in questo modo: tu scrivi una lettera e io la porterò al Vescovo. Penso che mons. Vescovo vorrà conoscere questa storia della Madonna”
Il Promotore della fede conclude infine il suo interrogatorio leggendo alla bimba la sua “confessione”.
“Me l’ha dettata lui: io non sapevo come scrivere” si difende nuovamente Adelaide.
Ma il presidente del Tribunale e i giudici, si rifiutano di pensare che questa confessione è stata estorta con la forza e la seduzione.
Chiudono gli occhi di fronte alla sproporzione fra le due persone: un prete forte e colto, cui era stato concesso un potere illimitato, e una povera bimba di sette anni, dimenticando volutamente il vero confronto: quello fra don Cortesi e padre Gemelli.
Non vogliono vedere che la piccola, sradicata, indifesa, prigioniera e maltrattata, è stata indotta dal suo Inquisitore anche a disprezzare le proprie radici e la propria povertà, costretta ad uscire dal proprio registro linguistico dialettale e dalla propria misera condizione, annullata nella propria persona, e nella propria identità, per essere, come ha scritto don Cortesi, “rinverginata” nell’anima.

Ma ancora non basta; ed ecco intervenire di forza lo stesso Presidente del Tribunale Mons. Merati, che legge alla bimba, per l’ennesima volta, la “confessione”, mostrandole il pezzo di carta sbandierato da don Cortesi come una vittoria.
Costretta, ancora una volta, a ricordare con terrore i mesi vissuti lontano da casa, compressa violentemente, torchiata, minata nella fiducia in se stessa, costretta in una condizione di solitudine angosciosa, trattata a suon di umiliazioni e punizioni immotivate, alla bimba, sempre più sola e sempre più incalzata, ormai in grave difficoltà, non rimane altro che tentare un’altra volta di difendere la propria integrità mentale, minacciata un’altra volta.
“Ad ogni proposta dei giudici di dire la verità, come se fosse in punto di morte - si legge nel verbale del Tribunale - la bambina resta a lungo in silenzio soggiungendo sempre: sì, sì”.
Abituata da don Cortesi a pensare che dopo la morte per lei c’è solo l’inferno, rispondere come fosse in punto di morte, è il terrore.
E tuttavia, ancora il Canonico mons. Cavadini la incalza.
Ma la bimba ormai si è chiusa nel suo silenzio, arroccata in un’estrema difesa, terrorizzata, in balia della situazione processuale che la vede ormai giudicata come malvagia.

COSTRETTA ANCORA ALLA CONFESSIONE
A questo punto il Canonico mons. Magoni continua ad annotare :
“visto il silenzio prolungato e imbarazzato della bimba, silenzio che dura da alcuni minuti, viste le ripetute insistenze di dire la verità, Mons. Merati le propone se vuol restare sola con lui”.
Ecco dunque profilarsi la svolta determinante: il Tribunale, già privo del difensore, si è completamente dissolto, e i giudici lasciano lo spazio ad un intervento personale dello stesso Presidente che ripete l’arbitrio di don Cortesi : l’ultima flebile soglia di legittimità viene sorpassata. È lo stesso Mons. Merati, infatti, che ripropone maldestramente la medesima situazione asfissiante di “solo a solo” nella quale don Cortesi ha chiuso la bimba per lunghi mesi.
E la bimba è di nuovo costretta alla paura, al terrore, alla “confessione”.
Nessuno può difenderla e portarla via di li, sottrarla a quella nuova strettoia.
Allora, “tutti i membri del Tribunale escono, e dopo alcuni minuti si radunano di nuovo in sala; e Mons. Merati riferisce quanto segue:
“La bambina rimasta sola, avvertita della gravità della cosa davanti a Dio e alla coscienza, è ancora pregata di dire la verità.”

Adelaide esprimerà più tardi lo stato di terrore nel quale si è trovata in questi momenti, quando confiderà ad alcune compagne e alle suore della Sapienza: “Oh! Che paura! Erano cinque sacerdoti!”
Il Presidente del Tribunale non vuole capire lo stato alterato e soffocante nel quale egli stesso ha costretto la bimba, sovrapponendo alla propria figura di giudice, l’immagine del suo Inquisitore. E al rientro in sala pronuncerà il suo verdetto, come una sentenza.
“La bambina, alla domanda :
- Ma cosa vedevi quando guardavi il cielo? - ha risposto: - Delle nuvole -”
Con questa affermazione del Presidente, l’udienza aperta ufficialmente, chiude in forma privata.
In questo modo, mons. Merati, il Canonico della Cattedrale, conclude e conferma in sede processuale, l’Inquisizione del professore di filosofia del Seminario, don Cortesi.

Ma la tortura non è ancora finita per la piccola Adelaide che passerà le notti successive all’interrogatorio, agitatissima, nel pianto e nell’angoscia.
Adelaide, infatti, dovrà subire di nuovo un ulteriore interrogatorio e sarà costretta addirittura al confronto con don Cortesi!

Il Tribunale, ormai segnato da procedure illegali, le riproporrà ancora il volto seducente e terribile del suo Inquisitore, e dunque, ancora una volta, la stessa paura che l’ha turbata nel profondo, costringendola ancora e per l’ennesima volta alla confessione.

Il Sacramento della Confessione, che, in quei giorni di Grazia al Torchio di Ghiaie, ha costituito il passaggio di conversione per migliaia e migliaia di pellegrini, in Convento, e in Curia a Bergamo è diventato lo strumento di una rinnovata Inquisizione.


LA DENUNCIA AL SANT’UFFICIO
Gli interrogatori proseguiranno con il Parroco di Ghiaie, il 9 giugno; col Curato, don Italo, ormai sbigottito davanti a questi nuovi eventi, e infine con la cugina Annunciata, e Suor Celestina, il 10 giugno. E solo dopo due giorni, il 12 giugno 1947, il Tribunale, in tutta fretta, deciderà la chiusura dei lavori e il passaggio degli atti alla Commissione Teologica.

Il 13 giugno, tre giorni dopo l’ultimo interrogatorio, il Vescovo è costretto a emettere un decreto di spoliazione della cappelletta che egli stesso ha fatto costruire sul luogo delle apparizioni, invitando, assurdamente, don Cesare, a togliere dalla Chiesa parrocchiale anche la statua della Madonna di Lourdes, collocatavi da mons. Radini Tedeschi, perché considerata un’ulteriore minaccia: provenendo da un luogo di apparizione della Madonna, anche quella statua rappresenta per loro un pericolo per la purità della fede.
E proprio il 14 giugno, dopo che il Tribunale ha decretato la conclusione delle attività emettendo la sentenza di distruzione, il segretario mons. Magoni, evidentemente irridendolo, scrive a mons. Bramini : “Il Tribunale è ancora in attesa dei documenti richiesti”.
Che poteva fare a quel punto mons. Bramini ?
Interpellato a processo ormai concluso, totalmente ignorato, impedito nell’esercizio del proprio diritto e della propria funzione voluta dallo stesso Vescovo, escluso da ogni decisione, il difensore non può che arrendersi all’evidenza di un processo-farsa, chiuso in fretta per salvare le apparenze e dare veste di ufficialità a decisioni ormai definite precedentemente; e il 27 giugno decide di inviare al Card. Tumasoni Biondi, della Sacra Congregazione “de propaganda fide”, una lettera di denuncia con preghiera di inoltrarla al SS Tribunale del Santo Ufficio “presso il quale è depositata buona parte del materiale relativo alla materia”.
“Questo deve avvenire prestissimo ad arrestare almeno la marcia a gran passi verso il pronunciamento negativo” - scrive mons. Bramini - “sarebbe forse opportuno, dato quanto espongo, proporre che si studi la eventualità anche di delegare un’altra sede all’esame dei fatti”

E nella nota acclusa alla lettera così conclude: “Per essere completamente sincero dirò anche che si è concretata in me la convinzione che l’ambiente ecclesiastico di Bergamo non sia più nelle condizioni psicologiche che si richiedono per uno studio e per un esame sereno e obiettivo dei fatti in parola. Ritengo che anche l’E.mmo Card. Arcivescovo di Milano, Metropolita, inclini verso tale persuasione, come almeno mi è sembrato di capire dai vari colloqui avuti con lui in materia”.
Mons. Bramini infatti, si è rivolto allo stesso Card. Schuster, ricevendo dall’alto Prelato una risposta precisa : “Se l’opera sua è tanto contrastata è meglio dimettersi dall’ufficio che le è stato conferito.”
La questione viene così riportata dallo stesso difensore delle apparizioni al confronto con la Curia di “Bergamo”, agitata da un profondo contrasto, generato da un “cerchio” ecclesiastico, che, sostenendo attivamente la prassi di don Cortesi, sprofonda le proprie istituzioni nella sua pericolosa avventura, come aveva previsto padre Gemelli.
Ma il Vescovo si rifiuterà di chiudere il caso. La sua strenua difesa per arrestare quella marcia distruttiva si può ancora facilmente vedere nel decreto del 30 aprile 1948, in cui lo stesso mons. Bernareggi, alle ingiunzioni negative, vorrà aggiungere una frase estremamente significativa :
“Con questo non intendiamo escludere che la Madonna, fiduciosamente invocata da quanti in buona fede la ritenevano apparsa a Ghiaie, possa aver concesso Grazie speciali e non ordinarie guarigioni, premiando in tal modo la loro devozione verso di Lei.”
Contrariamente a don Cortesi che ha indicato il Torchio di Ghiaie come luogo infernale, il Vescovo affermerà invece che la Madonna, in quel luogo, ha concesso guarigioni, legittimandolo perciò come luogo di Grazia.

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ADELAIDE DAVANTI AL SINEDRIO
Tratto in parte da: “La Fonte sigillata” di Domenico Argentieri).

Il 21 Maggio 1947 il Tribunale ecclesiastico tenne la sua prima seduta in una sala a sinistra dell’ingresso principale della Casa del noviziato delle Suore della Sapienza in via San Giacomo n. 8.

Dopo aver fatto entrare la bambina Adelaide, il Presidente del Tribunale aprì il plico degli interrogatori preparati dal Promotore della Fede Mons. Cavadini, fece giurare alla bambina di dire tutta e sola la verità e di mantenere il segreto su quanto le verrà chiesto, e in seguito le propose le singole domande.

Non è stato possibile avere le domande dell’interrogatorio ma, in base alle presunte risposte verbalizzate da Magoni, si può risalire per lo meno al tipo di domande poste.

Le risposte di Adelaide, riportate nel libro “La Fonte sigillata” di Domenico Argentieri, sono quelle verbalizzate dal Notaio del Tribunale mons. Magoni la cui tendenziosità nello svolgimento del processo è risultata chiaramente di parte.

Ecco la limpida e bellissima deposizione di Adelaide Roncalli. Un po' disorientata, è vero: ma ciò è dovuto al disordine dell’interrogatorio.

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Mi chiamo Adelaide Roncalli di Enrico, nata il 23 aprile 1937. Sono qui dal luglio 1946. Qui mi chiamano Maria Rosa. Il perché me lo sono immaginato: qui ci sono tante bambine, per non far capire... che so io...

Sì, so cosa è il giuramento; ma non ho mai giurato.

Mi sono immaginata il perché mi hanno chiamato. Ma adesso lo penso: cioè, per interrogarmi sulla Madonna. Nessuno mi ha suggerito nulla.

Ero andata a raccogliere i fiori, perché per andare nelle nostre stanze vi era una scala con una statua della Madonna; è la casa di una, della "Fiura”. Nessuno mi aveva detto di andare a coglier fiori. Era la prima volta. Andavo colle mie compagne. Non mi ricordo come era la statua della Madonna; mi sembra con le mani giunte. Non so chi l’aveva messa. Delle compagne, una si chiamava Bettina, poi c'era mia sorella Palmina; poi la Severa, la Giulia. Le altre non le ricordo. Eravamo sette o otto.

Era la prima volta che andavo a quel luogo a cogliere fiori.

Sono andata per mia spontanea volontà: nessuno mi aveva invitato.

Le compagne le ho chiamate io; andavamo sempre insieme a giocare. Alcune erano più anziane di me. La Giulia aveva dieci anni: faceva la prima con me. Sono venute subito: siccome avevamo la carriola, ci divertivamo colla carriola.

No, io non avevo mai sentito. Al teatrino una volta ho visto i fatti di Fatima: ci sono stati dei lampi e tre pastorelli, ma non parlavano; solamente si vedeva che avevano paura. Ai lampi mi sono spaventata. E dal palco è venuto su un fuoco. C’era sotto una Suora che lo faceva venir su. Non so se era vero o finto: si vedevano le scintille. Credevo allora che rappresentasse l’inferno e mi sono spaventata. Non mi ricordo quando fu fatto il teatro; ma era d’estate, perché c’era il sole. Io allora andavo all’asilo. E poi han fatto un’altra recita e c’erano gli angeli e anch’io facevo l’angelo. Stavo così, colle braccia incrociate; non ricordo se avevo le ali. E non mi sono mai mossa; e avevo piacere, perché anch’io volevo diventare un angelo. Poi non mi hanno messo più nel teatro, perché avevo i capelli troppo corti: ma non era perché ero superbietta. Stavo lì proprio ferma, perché pensavo: Se diventassi anch’io un Angelo! Non li ho mai visti gli angeli a venirmi a tirare le orecchie né a farmi carezze. Li avevo visti dipinti. Non avevo pensato. Pensavo che erano fortunati quei tre bambini.

Poi non abbiamo giocato a far gli angeli, ma a far la maestra e a far le recite di quello che ci capitava. Così quando eravamo piccole, vedevamo qualcuno morire e fingevamo anche noi di morire.

Così una volta, sul palco, una sembrava morta davvero: ma poi l’ho vista camminare e allora ho capito che non era morta.

Non se ne è parlato. Andavamo nel campo dei pini, a prender fiori, e non pregavamo. Nessuno aveva parlato di apparizioni. Mia mamma mi raccontava delle storie che lei inventava; ma non mi parlava della Madonna. Eravamo andati colla carriola e la menavano un po’ ciascuna. Era una carriola piccola che aveva fatto mio padre.

Ho visto una luce che veniva avanti e mi sono spaventata, e dopo a poco a poco, ho visto una persona. Era una luce in forma ovale. Ho detto tra me: “cos’è quella luce?” Mi sono spaventata e mi sono sentita male, e non riuscivo più a parlare. Non ricordo se sono caduta a terra. Ho visto una faccia e il corpo dentro quella luce. Non so quanto tempo è durata. Era un po’ in alto, distante due o tre metri ma un po’ più basso di questo soffitto. Ho visto una Signora. Mi sembra di averla vista vestita di bianco, col manto celeste, ma tanto lungo, e la fascia celeste. Aveva delle rose sui piedi, una per piede; non ricordo il colore. Roselline così, un po’ più grandi di quei batuffoli che mettono sulle scarpe. Le mani erano giunte. Non ricordo se guardava il cielo o a me. Era alta un po’ più della mia mamma e più magra.

Le compagne mi dissero: “Ti sei sentita male? Dicci che cosa hai visto. La Madonna?” (mia ha detto una). E io ho detto che se mi conducevano fino a un certo punto della strada colla carriola glielo dicevo.

Così, spontaneamente ho detto così: per farle aspettare un po’.

Pensavo di dire una cosa seria. Io ho fatto per davvero.

Mentre ero all’apparizione la prima volta, la mia sorellina mi ha detto che è corsa a casa dalla mamma a dire che l’Adelaide era morta in piedi.

Non mi ricordo di aver detto più tardi mentre ero dalle Orsoline di non aver visto la Madonna, alla mamma. E non ricordo di averlo detto neppure a Don Cortesi. E neppure ricordo di averlo detto alle Suore Orsoline...

Io non ricordo di aver mandato un biglietto né alla mia mamma, né al Vescovo. lo avrò detto che non era vero, ma l’avrò detto per scherzo.

A Don Cortesi non ricordo se ho risposto sì o no, se avevo visto la Madonna. Con Don Cortesi avevo confidenza. Non è mai stato duro con me. Mi portava le caramelle e anche i confetti; e una volta, durante le apparizioni mi portò un uovo grande, credo di legno, con dentro dolci.

Le Suore Orsoline certe volte me le davano, quando dicevo che avevo visto la Madonna; per esempio, Suor Ludgarda; così anche al lavoro, quando per esempio non avevo l'ago. Allora io dicevo che l’avevo vista lo stesso, anche se mi battevano. Non mi battevano però tanto forte forte...

L'ultimo che mi ha interrogato credo che sia Don Cortesi. Mons. Bramini qualche volta mi ha domandato qualche cosa; ma non proprio come qui. Non mi ha insegnato cosa dovevo dire. Io non ricordo che sia stato qui Padre Petazzi. Qui non è stato mai nessuno fuori di Mons. Bramini
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COMMENTO FINALE
A cura di Alberto Lombardoni

Da questa prima seduta del processo, emergono gravi irregolarità commesse a scapito di qualsiasi norma e rispetto del diritto canonico della Chiesa.

1) Adelaide, aveva solo dieci anni al momento del processo. Fu fatta giurare e fu interrogata da sola contravvenendo gravemente all’articolo 1648 del Codice di Diritto Canonico (articolo 1478 del nuovo codice). Nessun tutore e nessun genitore era presente quella mattina in aula.

L’articolo 1478 (ex 1648) cita:
§ 1. I minori e coloro che non hanno l'uso di ragione, possono stare in giudizio soltanto tramite i loro genitori o i tutori o i curatori, salvo il disposto del § 3.
§ 3. Ma nelle cause spirituali e connesse alle spirituali, se i minorenni hanno raggiunto l'uso di ragione, possono agire e rispondere senza il consenso dei genitori o dei tutori, anzi personalmente se hanno compiuto i quattordici anni di età; se non li hanno ancora compiuti, per il tramite di un curatore costituito dal giudice.

2) Mons. Bramini, difensore di Adelaide, non venne convocato. Fu così impedita la difesa di Adelaide e la presenza di un difensore e testimone scomodo che avrebbe contestato subito le gravi irregolarità dei giudici.
La seduta avrebbe dovuto essere immediatamente sospesa.

3) Giuridicamente la negazione di Adelaide davanti ad una sola persona, Mons. Merati, non è valida né attendibile perché la testimonianza di un uomo solo non ha valore e perché un giudice non può, in uno stesso Processo, fare simultaneamente il giudice e il testimonio.

4) Inoltre che valore può avere una negazione provocata con la paura?
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Fonti:
- Tratto dal libro “Adelaide speranza e perdono” Giuseppe Arnaboldi Riva, Edizioni Villadiseriane, pag. 167 ÷ 177.
- Relazione di mons. Bramini alla Commissione del 02/02/1947. Archivio Vescovile di Lodi.
- "La Fonte sigillata" di Domenico Argentieri, 1955.
- Archivi privati.

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Allegato   Data inserimento:  19/02/2003