VIDI UNA CANDIDA CROCE SFAVILLARE NEL CIELO
Testimonianza di Marcella Zonca in Garghentini di Vedano Olona (VA) rilasciata il 25 aprile 1996
------------------------------------------------------------
Il giorno (con precisione non so ancora oggi se fosse il 20 o il 21 maggio, perché a quel tempo avevo solo cinque anni e mezzo e dopo non mi è interessato saperlo, perché non è il giorno in sé stesso quello che conta, ma quanto è successo), quindi il giorno di maggio 1944 quando è girato il sole io mi trovavo a Ghiaie di Bonate in località Torchio con la zia di mia madre, la signorina Airoldi Maria. Essendo io molto piccola di statura quel giorno, come gli altri addietro, la zia mi aveva messa al riparo dalla folla mettendomi sotto un gelso che si trovava poco discosto dalla cascina che si trova alla sinistra della cappella delle apparizioni. Piovigginava ed io vedevo solo le persone che erano vicino a me. Ad un tratto da più parti si sentì dire:
"Guardate il sole". Gli ombrelli si chiusero ed io vidi tutti i colori passare sui volti delle persone: verde, rosso, giallo, blu, ecc. in una girandola vorticosa. Alzai gli occhi per vedere da dove provenissero quei raggi colorati e vidi un disco violetto che roteava impazzito nel cielo. Era sorto alla mia destra e vorticando si spostava sulla mia sinistra, (oggi so che quel punto è ovest e l'altro est, allora non conoscevo ancora i punti cardinali). La gente si era prostrata a terra. Chi pregava, chi si confessava apertamente e chi gemeva. In questo modo mi lasciarono un'ampia visuale del cielo. Guardavo sempre in alto ed a un tratto vidi una candida croce sfavillare nel cielo proprio dove dicevano che c’era la Madonna. Era solo la croce, grande, ma senza il Cristo e dall'incrocio dei bracci partivano dei raggi più bianchi della croce stessa. Un candore che sulla terra non ho ancora visto. Mentre guardavo sorpresa quella croce, sentii un colpo sulla spalla sinistra, come se mi fosse caduto addosso un peso, ma non ci feci caso. Sul gelso c’erano delle persone ed una di esse mi era caduta addosso. Ebbi un contraccolpo su me stessa, ma non distolsi lo sguardo da quella croce che mi affascinava. L'ho impressa nella mente come se fosse successo pochi minuti fa. Poi, non so come, tutto finì. Adelaide veniva riportata a casa in braccio e la gente cominciava a disperdersi. La zia lasciò scemare un po' di persone, poi dicendomi: "Marcelì (così venivo chiamata), hai visto? Andiamo a casa". Feci per muovere un passo, e un gemito mi sfuggì. Tirando per il vestito la zia, dissi: "Zia Granda (così la chiamavamo, perchè era alta quasi un metro e novanta), non posso camminare. Mi fa male il piede". In contemporanea guardammo i miei piedi e vedemmo quello sinistro molto gonfio. Altre persone si erano fermate a guardare ed erano alquanto sorprese.
Io calzavo delle scarpine bianche alla bebè e la zia mi disse di provare a slacciare il cinturino. Obbedii, ma come lo feci il piede si gonfiò in modo spropositato. Congiungendo le mani, inorridita e spaventata, la zia mormorò: "Come facciamo a ritornare a casa. Io, poi, non ho soldi con me. (Era infatti una suora terziaria francescana e non portava mai denaro con sé). Se anche andassimo alla stazione di Ponte S. Pietro non potremmo prendere il treno. Qui non conosco nessuno per farti portare a casa. Recitiamo il rosario, affinché la Madonna ci aiuti ad arrivare a casa". Risposi con un semplice: "Si, zia", e ci incamminammo. Il mio sì era per il rosario, non alla zia. Zoppicavo, ma non sentivo troppo male. Un'Ave Maria dietro l'altra ed un canto della strofa dell'inno "Dolce cuor del mio Gesù" ogni decina, arrivammo a Carvico. Un uomo in bicicletta proveniente da Sotto il Monte ci fu vicino all'altezza del ponte dove sopra passavano i carrelli della Italcementi. La zia lo fermò e gli chiese chi era e dove stava andando. Intanto si continuava a camminare. Anche l'uomo camminava con noi, spingendo a mano la bicicletta. Rispose che veniva da Sotto il Monte e che stava recandosi alla Italcementi per il turno di notte. Poi ci chiese cosa ci facevamo a quell'ora sulla strada, che già era l'ora del coprifuoco. La zia spiegò delle Ghiaie e quanto mi era successo. Disse che andavamo a Calusco e che lei era la Mariett del Tabachì. L'uomo accese un fiammifero e ci guardò, poi esclamò: "Si, la riconosco. Io sono il figlio del… (e qui disse il soprannome del padre, penso), ed io mi fermo sempre lì da voi a comprare le sigarette". Intanto avevamo già oltrepassato la piazza di Carvico e stavamo discendendo la discesa che ci portava fuori dall'abitato. Il piede cominciava a dolermi sempre di più ed anche il mio zoppicare era più rimarcato. Prendendo il coraggio a due mani, la zia disse all'uomo: "Visto che La conosco e conosco la sua famiglia, Le chiedo se mi può portare la bambina fino a casa. Alla mamma, la Felice dei Remecc, dica che io arrivo tra poco e si faccia pure dare le sigarette, anche se è chiuso". Io non volevo, ma la zia insistette e così l'uomo mi issò sulla canna della bicicletta e partimmo. Il piede, essendo ciondoloni, cominciò a dolermi in modo indicibile, tanto che cominciai a piangere. L'uomo mi chiese se piangevo perché avevo paura ed io risposi di lasciarmi giù, perché il male era troppo forte. Non voleva, ma arrivati alla curva del Valtulina, mi mise a terra dicendomi di non muovermi, che lui ritornava indietro a prendere mia zia. Mi sedetti su una pietra miliare ed attesi. Lì seduta ripensai a tutto quello che avevo visto. Il male al piede era meno intenso. Quando arrivarono, mia zia scese dalla bicicletta, salutò e mi rimproverò acerbamente. Mi disse che le avevo fatto fare una cosa spaventosa. Salire su una bicicletta di un uomo. Mi disse anche che a questo punto tanto valeva andare a vedere l'apparizione della Madonna. Protestai dicendo che io la Madonna non l'avevo vista e lei arrabbiatissima mi disse di non dire mai che avevo visto la Madonna perché era un peccato mortale e che avrei meritato l'inferno. Con fermezza mi specificò che solo l'Adelaide la vedeva. Con dolcezza poi mi chiese ”Hai visto il sole come girava”. In queste parole c'era tutta la sua emozione. Risposi che io non avevo visto il sole, ma solo un disco viola in cielo che girava e che la gente cambiava i colori. Mi disse che quel disco era il sole ed i colori, i colori del sole. Replicai che il sole non si poteva guardare perché bruciavano e piangevano gli occhi, invece quello lo guardavo e gli occhi non mi piangevano. Con enfasi mi spiegò che quello era il miracolo. Ero troppo piccola e non potevo capire. Tacqui però il fatto della croce. Temevo la sua reazione. Quello fu sempre il mio segreto fino a molti anni dopo. Eravamo quasi arrivati a casa e la zia intonò la Salve Regina. Quando la zia spiegò ai miei genitori del mio piede, mia madre gridò: "È questo il miracolo che ti ha fatto la Madonna ?" Tacqui perché mia madre era lesta di mano e non avevo voglia di prenderle. Mentre lei litigava con la zia, mio padre e mia zia Maria (sorella di mia madre) mi guardarono il piede. Era gonfio e violaceo da far paura. Fecero per muoverlo, ed un urlo mi sfuggì. Per loro era rotto. Me lo fasciarono e mi portarono a letto. Devo specificare che mio padre era stato per cinque anni in ospedale per una gamba rotta ed in quel periodo aveva seguito il Prof. Lussana per tre anni in sala operatoria come assistente. Mia zia era un'infermiera Crocerossina e lavorava nell'ambulatorio della Pirelli. Quella notte dormii poco. Il male era lancinante. Il mattino dopo il medico mi visitò e sentenziò: "Questo piede è rotto, bisogna ingessarlo”. Mio padre replicò che non l'avrebbe mai permesso, perché se fossi cresciuta in altezza in quel mentre, rischiavo di rimanere zoppa. Il medico a sua volta replicò che se non l'avessimo ingessato sarei rimasta sicuramente storpia. Discussero un bel po' senza giungere a nessuna decisione. Il medico ad un certo punto chiese come mi ero fatta male e quando, dal momento che lui mi aveva vista correre e saltare il pomeriggio alle due del giorno prima. Mio padre spiegò che non sapeva ancora bene che cosa mi fosse successo ed il medico lo chiese direttamente a me. Io gli spiegai delle Ghiaie, del sole che girava, dei colori sulle facce della gente e del colpo che avevo sentito sulla spalla. Il piede l'avevo visto quando dovevo venire a casa e gli raccontai la mia piccola odissea. Come parlando a sé stesso, il medico disse: "Se questa bambina ha camminato con un piede rotto da là a qua, vuol dire che veramente qualcosa è successo alle Ghiaie. Bisogna che vada a vedere”. Poi rivolgendosi a mio padre disse che, visto che non voleva che mi ingessassero, avessimo almeno a prendere due assicelle di legno da mettere ai lati della gamba e fare una bella fasciatura. Così fecero. Avrei dovuto tenermele per quaranta giorni. Il quarto giorno venne la zia Granda in camera e mi disse con voce concitata: "Guarisci, Marcelì, guarisci, perché il ventotto riprendono le apparizioni ed io vorrei andare là. Se tu non guarisci, io non posso andare perché non posso recarmi là da sola". Risposi con un semplice: "Si, zia”, ma quel sì era diretto a vedere il sole, i colori e la croce. Mia mamma entrò in quel momento in camera, e vedendo la zia le gridò dì andarsene e di non farsi più vedere, che di male me ne aveva fatto già abbastanza.
Non so come seppi che era il ventotto. So solo che alle due del pomeriggio mi tolsi la benda, mi vestii e scappai fuori, passando dal retro della casa. Imboccai via Lupi di Toscana e mi fermai solo quando fui fuori dalla visuale di casa mia. Poco dopo la zia mi raggiunse. Alla sera la mamma mi accolse con un sorriso, non mi rimproverò, né mi chiese niente. Era contenta e basta.
Con la zia ritornai tutti i giorni alle Ghiaie fino al trentuno di maggio. Il mio posto era sempre sotto il gelso e quel giorno vidi le due tortore della Madonna. Quando sentii gli altri dire: "Guardate le tortore della Madonna", io pensai che per me sembravano due piccioni piccoli, ma non dissi niente. Ricordo però che un signore vestito di fustagno verde con a tracolla un fucile aveva esclamato rabbioso: "Macché tortore della Madonna, quelle le hanno lasciate andare loro, altro che storie!". Avevo alzato gli occhi a guardarlo in faccia e lui, non so come mai, mi guardò. Lo guardavo con rimprovero, questo si, ma nient’altro. Dopo avermi guardato, divenne rosso, ed io pensai: "Verrà un giorno che verrai a chiedere aiuto alla Madonna". So che puntualmente questo è avvenuto, perché mi è stato riferito. Questo però non riguarda la mia storia. Quello che tengo a dire è che il ns. medico era molto valente come tale, ma era anche un ateo di primo grado. Andava in chiesa a Messa alta, la domenica, perché era la Messa delle Autorità del Paese, lui era l'ufficiale sanitario, ma solo per questo. In casa sua, pur vivendo sotto lo stesso tetto, era diviso dalla moglie e conviveva con una donna che in paese chiamavano: la "Sandrina del dutur". Dopo essere andato alle Ghiaie, aveva preso la decisione che aveva sollevato un poco scalpore in paese. Aveva mandato via la convivente, non buttandola sulla strada, questo no, ed aveva ripreso a vivere con la moglie. Inoltre, tutte le mattine si recava alla Messa prima delle cinque o cinque e mezzo a seconda della stagione. Era diventato un vero credente.
Nell'anno 1961, il mese di ottobre, per una caduta dalla bicicletta mi ruppi la stessa gamba. Al Matteo Rota di Bergamo mi fecero la radiografia e riscontrarono una vecchia doppia frattura, che li metteva in difficoltà nell'eseguire l'ingessatura. Ricordo molto bene i due dottori che, con in mano la lastra, mi si erano avvicinati, ed uno aveva detto: "Come facciamo ad aggiustare questa frattura, che c'è quest'altra vecchia e doppia, che rischiamo di...". Non avevo capito le ultime parole, ma non m'importava. So solo che chiesi loro di non curarsi della vecchia, ma di pensare alla nuova. Io ero lì per quella. Stringendosi nelle spalle e guardandosi l'un l'altro, si dissero: "Se lo dice Lei...". Così fecero. Specifico che porto a tutt'oggi scarpe con tacco alto e che cammino normalmente, come ho sempre fatto. In fede, Marcella Zonca Garghentini ------------------------------------------------------------ Archivio privato Archivio D. G. B.
|