Articolo del giornalista Alberto Comuzzi, pubblicato su JESUS, gennaio 1990)
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LA SINCERITÀ DI ADELAIDE
Elementi più chiari – che potrebbero anche mutare il giudizio, per ora, sospensivo della Chiesa – presenta invece il caso di Adelaide Roncalli, la veggente di Ghiaie di Bonate (Bergamo). All’epoca dei fatti la protagonista, che attualmente vive con il marito a Milano, aveva sette anni. I suoi incontri con la Madonna sarebbero avvenuti in due cicli: il primo, dal 13 al 21 maggio del 1944, con nove «apparizioni»; il secondo, dal 28 al 31 maggio dello stesso anno, con quattro «apparizioni». Tra il primo e il secondo ciclo Adelaide venne affidata alle suore Orsoline di Bergamo, dove sarà riportata lo stesso 31 maggio, al termine dell’ultima «apparizione».
Molte circostanze portarono (e portano) i più a credere alla piccola Adelaide. L’allora vescovo di Bergamo, Adriano Bernareggi, autorizzò addirittura la costruzione di una cappella (tuttora esistente) sul luogo delle presunte apparizioni. Da un rapporto stilato da padre Agostino Gemelli – che in qualità di medico fu incaricato dall’arcivescovo di Milano, cardinale Ildefonso Schuster e dal vescovo di Bergamo di visitare la bambina -, risultò che «quanto riferito dalla veggente è attendibile, anche perché la bambina non ritorna spontaneamente sul discorso delle visioni; interrogata, abbassa la testa, si fa seria, tace.»
Che cosa vide e sentì esattamente Adelaide Roncalli? Che tipo di messaggio le sarebbe stato affidato? La risposta è nel diario della veggente, raccolto dal francescano conventuale pare B. Raschi che incontrò la giovane nel 1952. La Madonna sarebbe apparsa a Ghiaie di Bonate (con due colombe in mano quale simbolo dell’unità coniugale) per riaffermare i valori del matrimonio cristiano e l’importanza della famiglia. Alla bambina, poi, la Vergine avrebbe testualmente raccomandato (e in questo c’è chi ha ravvisato straordinarie analogie con i casi di Lourdes, Fatima e La Salette): «Devi essere buona, ubbidiente, rispettosa con il prossimo e sincera. Prega bene e ritorna in questo posto per nove volte a quest’ora». In un successivo messaggio ad Adelaide sarebbero state preannunciate le difficoltà e le amarezze alle quali sarebbe andata incontro se fosse rimasta fedele alla descrizione dei fatti di cui era protagonista. Cosa che puntualmente avvenne.
Fonte di grandi sofferenze per lei fu monsignor Luigi Cortesi, un sacerdote unanimemente riconosciuto come pio e di profonda cultura, docente di filosofia nel seminario diocesano di Bergamo. Monsignor Cortesi interrogò a lungo la veggente fino a farle ammettere che le apparizioni eRano una storia da lei magistralmente inventata e raccontata. Crollavano così, in modo brutale, le speranze di alcune centinaia di migliaia di persone accorse a Bonate con tanta fiducia. Sia il Comando tedesco, sia quello alleato si occuparono della vicenda per la rilevanza che aveva assunto: il 31 maggio 1944, incuranti dei bombardamenti, si concentrarono a Bonate 350.000 persone. Secondo più di uno studioso del caso Roncalli, monsignor Cortesi, in assoluta buona fede, avrebbe però estorto la ritrattazione. In pratica la bambina sarebbe stata costretta ad ammettere la propria malafede perché minacciata «di non vedere più i genitori» (in quel periodo si trovava in osservazione in un istituto religioso), e, ancor peggio, «di andare all’inferno, se avesse sostenuto di avere visto e parlato con la Madonna».
Metodi inquisitori La realtà è che il 30 aprile 1948 dalla curia di Bergamo usciva quel documento – a firma del vescovo – che tuttora fa testo. In esso si legge che: «Non consta della realtà delle apparizioni e rivelazioni della Beata Vergine Maria ad Adelaide Roncalli a Ghiaie di Bonate nel maggio 1944. Con questo non intendiamo escludere che la Madonna, fiduciosamente invocata da quanti in buona fede la ritenevano apparsa a Ghiaie, possa avere concesso grazie speciali e non ordinarie guarigioni, premiando in tal modo la loro devozione verso di lei. Ma in virtù del presente atto ogni forma di devozione alla Madonna, venerata come apparsa a Ghiaie di Bonate, a norma delle leggi canoniche resta proibita». Qualche dubbio nel siglare il documento deve però essere sorto a monsignor Bernareggi perché alla definitiva formulazione «Consta che non» (che avrebbe chiuso il caso) è stata preferita «Non consta» (che lascia la porta aperta ad una eventuale revisione).
Un giudizio negativo sui metodi inquisitori di monsignor Cortesi si riscontra in una lettera di Giovanni XXIII a monsignor Battaglia, vescovo di Faenza e amico personale del Papa. La missiva porta la data 8 luglio 1960 ed è spedita dalla Città del Vaticano. Questo il testo; «Cara eccellenza… Circa l’”affare Ghiaie», comprendete che si ha da cominciare… dal piano: qui devesi tener conto delle circostanze, che van studiate e tenute in gran conto. Ciò che vale è la testimonianza della veggente e la fondatezza di quanto ancora asserisce a 21 anni ed in conformità della sua prima asserzione a 7 anni: e ritirata in seguito alle minacce, alle paure dell’inferno fattele da qualcuno. Affezionatissimo Giovanni XXIII». Papa Giovanni era convinto che Adelaide Roncalli fosse sincera. Non desiderava però che la riapertura dell’«affare Ghiaie», come egli stesso lo definiva, partisse da Roma. Temeva che qualcuno potesse strumentalizzare la vicenda accusandolo di forzare i fatti perché la veggente, bergamasca come lui, si chiamava Roncalli. Di fatto, né dall’alto né dal basso, non si mosse nulla. Nessun gruppo o comitato di qualche consistenza si è mai organizzato per reclamare riconoscimenti. Quello che è certo è che la gente non ha mai smesso di frequentare Ghiaie di Bonate, come ci conferma il parroco, don Elio Artifoni, 45 anni. «Il 13 maggio», dice, «qui non si trova un parcheggio fin dalle prime ore del mattino. Ai pellegrini delle città vicine – Lecco, Como, Varese, Milano – si aggiungono quelli provenienti dalla Svizzera, dal Belgio e persino dal Portogallo. Durante l’anno, invece, sono soprattutto i giorni di festa e il sabato quelli scelti per la preghiera nella cappella. Chi viene si comporta molto bene. Non ci sono mai state lamentele da parte dei residenti. I pellegrini recitano il rosario, fanno qualche canto, sostano in meditazione.
Abbonda la fede Attorno alla cappella, c’è un po’ di verde e, poco distante, il deposito di un demolitore di autovetture. Nessuna traccia – e questo ha favorevolmente impressionato – di bancarelle per la vendita di oggetti religiosi. Gli abitanti di Bonate, per rispetto all’autorità ecclesiastica, non parlano delle «apparizioni». Raramente ammettono di visitare il luogo e quando lo fanno, dicono di andare a pregare «verso la cappella». A parte taluni segni (guarigioni inspiegabili, ricomposizione insperata di matrimoni sull’orlo del fallimento e la previsione azzeccata della veggente, quando era bambina, che un suo amico sarebbe diventato sacerdote), a Ghiaie di Bonate c’è un tasso di religiosità che non si riscontra in nessun altro paese della zona. La notizia viene da padre Michelangelo Corna, 51 anni, monfortano, impegnato da tempo in una missione popolare nel circondario. «Qui partecipa alla messa festiva il 90 per cento degli abitanti» confida il religioso. «Se ci si sposta a Ghiaie di Sotto o a Ghiaie di Sopra la percentuale scende rispettivamente a 30 e a 40. Non voglio trarre conclusioni avventate, ma questo è un paese anomalo, almeno per quanto riguarda la pratica religiosa. Durante la nostra missione, su una popolazione di 1.100 abitanti, siamo riusciti a costituire diciassette centri di ascolto della Parola di Dio animati tutti da laici. Un risultato che non ha precedenti». Alberto Comuzzi ------------------------------ Archivio Jesus Archivio privato
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