Autore:  Vari Data documento:  21/05/1947
Titolo:  PROCESSO ALLE APPARIZIONI DI GHIAIE: VERBALE DELLA 1A SEDUTA

 IL PROCESSO ALLE APPARIZIONI DI GHIAIE DEL 1944
TESTO INTEGRALE DEL VERBALE DELLE SEI FASI DEL PROCESSO DEL TRIBUNALE DIOCESANO DI BERGAMO

Le sei sedute del Tribunale furono così distribuite:
1) Interrogatorio di Adelaide Roncalli (21 Maggio 1947).
2) Interrogatorio di Suor Bernardetta e poi di Adelaide (23 Maggio 1947).
3) Viene intercalata una seduta senza interrogatori (2 Giugno 1947).
4) Interrogatorio di Suor Bernardetta e poi di Adelaide, poi confronto tra Adelaide e Don Cortesi (6 Giugno 1947);
5) Interrogatorio del Parroco di Ghiaie Don Cesare Vitali (9 Giugno 1947);
6) Interrogatorio di Don Italo Duci curato coadiutore di Ghiaie, poi di Nunziata Roncalli, poi di Suor Celestina Algeri (10 Giugno 1947).

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TRIBUNALE DIOCESANO PER L’ESAME DEI FATTI DI GHIAIE DI BONATE
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PRIMA SEDUTA
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Sono presenti tutti i membri del tribunale in sala a sinistra dell’ingresso principale della Casa del Noviziato delle suore della sapienza, in via S, Giacomo, 8. Sono le ore 10.10 del 21 maggio 1947. Alle ore 10.15 entra la bambina Adelaide Roncalli, accompagnata dalla Superiora, la quale esce subito.
Il Presidente del tribunale apre il plico dell’interrogatorio preparato dal promotore della fede, Mons. V. Cavadini e, dopo aver fatto giurare la bambina di dir tutta la verità e sola verità e di mantenere il segreto su quello che le verrà chiesto, le propone le singole domande.

1) Mi chiamo Adelaide Roncalli di Enrico, nata il 23 aprile 1937. Sono qui dal Luglio 1946. Qui mi chiamano Maria Rosa. Il perché me Io sono immaginato, qui ci sono tante bambine, per non far capire che sono io….

2) Sì, so cosa è il giuramento; ma non ho mai giurato.

3) Non mi sono immaginata il perché mi hanno chiamato. Ma adesso Io penso: cioè, per interrogarmi sulla Madonna. Nessuno mi ha suggerito nulla.

4) Ero andata a raccogliere i fiori, perché per andare nelle nostre stanze vi era una
scala con la statua della Madonna: è la casa di una, della “Fiura”. Nessuno, mi
aveva detto di andare a cogliere fiori. Era la prima volta. Andavo colle mie compagne. Non mi ricordo come era la statua della Madonna: mi sembra con le mani
giunte. Non so chi l’aveva messa. Delle compagne, una si chiamava Bettina, poi
c'era mia sorella Palmina; poi la Severa, la Giulia. Le altre non le ricordo. Erano sette o otto.

5) Era la prima volta che andavo in quel luogo a cogliere fiori.

6) Sono andata per mia spontanea volontà: nessuno mi aveva invitato.
Le compagne le ho chiamate io; andavo sempre insieme a giocare. Alcune erano più anziane di me. La Giulia aveva dieci anni: faceva la prima con me. Sono venute subito: siccome avevano la carriola, ci divertivamo colla carriola.

7) No, io non avevo mai sentito. Al teatrino una volta ho visto i fatti di Fatima: ci sono stati dei lampi e tre pastorelli, ma non parlavano; solamente si vedeva che avevano paura. Ai lampi mi sono spaventata. E dal palco è venuto su un fuoco. C’era
sotto una suora che Io faceva venir su. Non so se era vero o finto: si vedevano le scintille. Credevo allora che rappresentasse l'inferno e mi sono spaventata. Non mi ricordo quando fu fatto il teatro; ma era d'estate, perché c'era il sole. Io allora andavo all’asilo. E poi hanno fatto un’altra recita e c'erano gli angeli e anch’io facevo l'angelo. Stavo così, colle braccia incrociate; non ricordo se avevo le ali. E non mi sono mai mossa; ed avevo piacere, perché anch’io volevo diventare un angelo. Poi non mi hanno messo più nel teatro, perché avevo i capelli troppo corti: non era perché ero superbietta. Stavo lì proprio ferma perché pensavo: se diventassi anch'io un Angelo! Non li ho mai visti gli angeli venire a tirarmi le orecchie né a farmi carezze. Li avevo visti dipinti.

8) Non avevo pensato: pensavo che erano fortunati quei tre bambini.

= le altre domande dell’interrogatorio cadono.

Poi noi non abbiamo giocato a fare gli angeli, ma a far la maestra e a far le recite di quello che ci capitava. Così quando eravamo piccole, vedevamo qualcuno a morire e fingevamo anche noi di morire.

Così una volta sul palco una sembrava morta davvero: ma poi l’ho vista camminare e allora ho capito che non era morta.

9) Non se n’è parlato. Andavamo nel campo dei pini, a prendere fiori; e non pregavamo. Nessuno aveva parlato di apparizioni. Mia mamma mi raccontava delle storie che lei stessa inventava; ma non mi parlava della Madonna. Eravamo andati colla carriola e la menavamo un po' ciascuno. Era una carriola piccola che aveva fatto mio padre.

10) Ho visto una luce che veniva avanti e mi sono spaventata e dopo a poco a poco ho visto una persona. Era una luce in forma di ovale: ho detto tra me: “Cosa è quella luce?” Mi sono spaventata e mi sono sentita male e non riuscivo più a parlare. Non ricordo se sono caduta a terra. Ho visto una faccia e il corpo dentro questa luce. Non so quanto tempo è durata. Era un po’ in alto distante due o tre metri ma un po' più basso di questo soffitto (e indica il soffitto della stanza altro pressappoco 4 o 5 metri). Ho visto una Signora. Mi sembra di averla vista vestita di bianco con il manto celeste non tanto lungo e la fascia celeste. Aveva delle rose sui piedi; una per piede; non ricordo il colore. Roselline così un po’ più grandi di quei batuffoli che mettono sulle scarpe. Le mani erano giunte. Non ricordo se guardava il cielo o a me. Era alta un po' più della mia mamma e più magra.

11) Le compagne mi dissero: “Ti sei sentita male? Dicci che cosa hai visto. La Madonna? (mi ha detto una)”. E io ho detto che se mi conducevano fino a un certo punto della strada colla carriola glielo dicevo.

12) Così, spontaneamente ho detto così: per farle aspettare un po’.

13) Pensavo di dire una cosa seria. Io ho fatto per davvero.

14) Mentre (ero) all’apparizione la prima volta, mia sorellina mi ha detto che è corsa a casa dalla mamma a dire che l’Adelaide era morta in piedi.
Non mi ricordo di aver detto più tardi mentre ero dalle Orsoline di non aver visto la Madonna alla mamma. E non ricordo di non averlo detto neppure a D. Cortesi. E neppure ricordo di averlo detto alle Suore Orsoline.

NB = Si contesta alla bambina la negazione da lei fatta alla mamma e si legge la relazione che è in atti. La bambina dichiara di non ricordare. E aggiunge:
“Forse l’ho detto per scherzo”. Alle parole della relazione: “è proprio vero che non ho visto la Madonna” ripete: “l’avrò detto per scherzo. Ma io l’ho vista la Madonna”. Allora ho abbassato la testa spontanea, perché l’avevo detto per scherzo”. E continua a dire che l’avrà detto per scherzo. “Io non ricordo di averle mandato un biglietto; né alla mia mamma, né al Vescovo. Io l’avrò detto che non era vero, ma l'avrò detto per scherzo”.

Il giudice continua a leggere la relazione ed ella soggiunge: “In collegio ci stavo volentieri. Credo che mi abbia domandato se volevo andare a casa”.
Il giudice continua a leggere a relativa domanda la bambina aggiunge: “La Maria o l’Annunciata non mi hanno detto niente”. “Io so che un giorno è venuta la mia mamma a trovarmi e mi ha detto così: ma io l’ho detto per scherzo. E mi hanno chiesto se era vero che non avevo visto la Madonna: ma io ho detto per scherzo”.
La bambina non ricorda quanto si afferma nella relazione riguardo alla confessione sua alla mamma nella notte.
E a rispettive domande aggiunge: “A don Cortesi non ricordo se ho risposto si o no, se avevo visto la Madonna. Con don Cortesi avevo confidenza. Non è mai stato duro con me; mi portava le caramelle e anche i confetti, e una volta, durante le apparizioni mi portò un uovo grande credo di legno, con dentro i dolci.”

La bambina continua a ripetere che non ricorda se ha detto a don Cortesi di non aver visto la Madonna. Msg. Cavadini legge a pag. 228 del 3° volume di don Cortesi. La bambina dichirara di non ricordare quanto viene letto. Non ricorda di aver detto di non aver visto la Madonna, neppure alle Suore Orsoline e continua:
“Le Suore Orsoline certe volte me le davano, quando dicevo di aver visto la Madonna; per es. Suor Ludgarda; così anche al lavoro, quando per es. non avevo l'ago. Allora dicevo che l’aveva vista lo stesso anche se mi battevano. Non mi battevano però tanto forte forte. Me le davano anche quando dicevo di aver visto la Madonna. Non ricordo di aver detto neppure a Sr. Rosaria e a Sr. Michelina. Io non so se le suore credevano o no se avevo visto la Madonna.

L'ultimo che mi ha interrogato credo che sia don Cortesi. Msg. Bramini qualche volta mi ha domandato qualche cosa; ma non proprio come qui. Non mi ha insegnato cosa doveva dire. Io non ricordo che sia stato qui P. Petazzi: qui non è stato mai nessuno fuori di Msg. Bramini.Il mio parroco è venuto qui un giorno o due prima che venisse il curato. Il Curato è venuto una sera in tempo di studio a trovarmi dopo Pasqua. Ho visto una volta il Superiore delle Suore Clarisse di Boccalone, un cappuccino.”

15 = 16) Le si mostra la lettera: la bambina, sorridendo al vederla esclama: “E’ la mia scrittura”. “Io avevo scritto su un foglio doppio; ma siccome il primo si è macchiato allora l’ho riscritto sul secondo. Io non ricordo se questo sia il primo o il secondo: mi pare il primo. L’altro foglio l’ho dato a don Cortesi: a me sembra di averlo dato a don Cortesi. Questi fogli li ho scritti in una stanza delle Orsoline in città bassa; c’era presente appena don Cortesi. Lo scritto me lo ha dettato lui. Mi dettava come in classe e io scrivevo. Io capivo le parole e le scrivevo.” Mons. Cavadini legge a Pag. 229 del vol. III° di don Cortesi. E la bambina soggiunge: “me la ha dettata lui: io non sapevo come scrivere. Io gli dicevo le cose in bergamasco e lui mi dettava in italiano quello che gli dicevo: ma ha messo bene in italiano.”

Mons. Merati legge la lettera della bambina alla stessa. Gliela mostra e la bambina dice: “Io ricordo di averla scritta e ho capito quello che ho scritto. Siccome don Cortesi mi diceva: «dimmelo, se non è vero», io non ti faccio niente”. Io glielo ho detto così.
A ogni proposta dei giudici di dire la verità, come se fosse in punto di morte, la bambina resta lungo tempo in silenzio soggiungendo sempre: sì, sì.
Mons. Cavadini domanda: “Hai scritto anche un’altra volta al Vescovo se hai visto o no la Madonna?” Visto il silenzio prolungato e imbarazzato della bambina (silenzio che dura alcuni minuti nonostante le ripetute insistenze di dire la verità) Mons. Merati le propone se vuol restare sola con lui. La bambina accetta volentieri e tutti i membri del tribunale escono.

Dopo alcuni minuti la bambina esce dalla sala; i membri si radunano di nuovo in sala e Mons. Merati riferisce quanto segue: “La bambina rimasta sola è di nuovo pregata di dire la verità, avvertita della gravità della cosa davanti a Dio e alla coscienza, la bambina dopo alcuni momenti di silenzio titubante, risponde: “la Madonna non l’ho vista” e lo ripete più volte. “Allora perché hai scritto un’altra lettera che avresti composto nell’asilo delle Ghiaie durante la tua dimora alle Ghiaie nelle vacanze del 1946?” la bambina risponde di non ricordare di averla scritta. Io aggiungo: “guarda che in quella lettera dicevi che non era vero quello che avevi scritto prima al Vescovo e che era vero che avevi visto la Madonna”. La bambina risponde: “non ricordo di avere scritta questa seconda lettera. Ma io la Madonna non l’ho vista.”
“E allora cosa vedevi quando guardavi in cielo?” “Delle nuvole”. E allora io ho creduto di non insistere più oltre ed ho lasciato andare la bambina dicendo che il Signore la benedirà perché ha detto la verità.
La seduta è tolta alle 11.50.
Can. Paolo Merati
Sac. Cesare Patelli
Don Benigno Carrara
Can. Vincenzo Cavadini promot. della Fede
Sac. G.B. Magoni
(segue)
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A SCAPITO DI QUALSIASI NORMA E RISPETTO DEL DIRITTO
COMMENTO AL VERBALE DELLA PRIMA SEDUTA

Alla prima seduta del Tribunale, il 21 maggio 1947, svolta presso la casa del Noviziato delle Suore della Sapienza erano presenti soltanto cinque giudici (Can. P. Merati, Sac. C. Patelli, Sac. B. Carrara, Can. V. Cavadini, Sac. G. B. Magoni). Mons. Bramini, il difensore delle Apparizioni non era presente.


1) LA NON IMPARZIALITÀ DEI GIUDICI
Almeno tre membri del Tribunali facevano parte della stretta cerchia di don Cortesi.
mons. Paolo Merati, Canonico della Cattedrale, nominato Presidente ed Istruttore del Tribunale, era amico di don Cortesi. Mons. Magoni, già segretario della stessa Commissione, nominato notaio del Tribunale, era anche Censore dell’Enciclopedia Ecclesiastica a cui lavorava anche don Cortesi. Mons. Cesare Patelli era Rettore del Seminario dove don Cortesi era stimato professore di filosofia.

2) L’ASSENZA DEL POSTULATORE E AVVOCATO DELLA DIFESA
Il notaio mons. Magoni commise subito un grave errore di verbalizzazione.
Secondo il decreto del Vescovo, i giudici dovevano essere 6 (Merati, Patelli, Carrara, Cavadini, Bramini e Magoni). Mentre da una parte il notaio verbalizzò che: “Sono presenti tutti i membri del tribunale…”, alla fine, il verbale fu sottoscritto dai soli 5 membri presenti cioè: Merati, Patelli, Carrara, Cavadini e Magoni. Infatti, Mons. Bramini non poté presenziare alla prima seduta del processo perché non fu (volutamente) avvisato in tempo dell’apertura dei lavori.
Adelaide fu accompagnata in aula soltanto dalla Superiora e lasciata sola davanti a quei 5 giudici. Quel giorno, mons. Bramini doveva essere assolutamente escluso dal dibattimento, perché nessuno potesse verificare durante la prima seduta la legittimità degli atti, nessuno potesse prendere le difese di Adelaide e contestare le modalità usate per l’interrogatorio e l’esattezza della verbalizzazione delle sue risposte.

La conferma che i membri del tribunale presenti erano solo 5 (e non 6) viene data inequivocabilmente nel verbale della seconda seduta quando Suor Michelina riferisce al punto 9) che Adelaide aveva detto alle aspiranti: “Oh, che paura! eran cinque sacerdoti. Ma non posso dir niente perché mi han fatto giurare.”

3) LA SEDUTA NON VENNE SOSPESA E AGGIORNATA PER L’ASSENZA DEL DIFENSORE
La seduta avrebbe dovuto essere immediatamente sospesa e aggiornata ad altra data per l’assenza del postulatore e avvocato per le apparizioni Mons. Angelo Bramini, difensore della piccola Adelaide. Fu una gravissima violazione dei diritti alla difesa, soprattutto perché in quel procedimento era implicata una bambina di 10 anni, minorenne ed priva della capacità di agire.

4) SI FA GIURARE UNA BAMBINA MINORENNE COME SE FOSSE UN ADULTO
Si chiede ad una bambina minorenne e priva della capacità di agire che cos’è un giuramento e la si fa giurare come un adulto. Nelle terza seduta, si raggiungerà il colmo, facendole anche leggere e sottoscrivere il verbale.

5) NESSUN DIFENSORE DELLA BAMBINA, TUTORE, CURATORE O GENITORE ERA IN AULA
Si processò una bambina di 10 anni minorenne violando il codice di diritto canonico.
Infatti, il codice di diritto canonico can. 1648, attuale can. 1478 (nuovo Codice) prevedeva che i minori potevano stare in giudizio soltanto tramite i loro genitori o i tutori o i curatori e nelle cause spirituali (§ 3) per il tramite di un curatore costituito dal giudice.

In questa seduta, Adelaide fu interrogata da sola, senza difensore e non tramite un curatore, contravvenendo gravemente al canone 1648 e alle disposizioni del decreto del Vescovo del 8/05/47: “… Il tribunale così costituito procederà nei suoi atti a norma di diritto, applicando ai singoli atti, secondo la loro natura, sia le norme procedurali comuni sia quelle proprie delle cause di beatificazione…”.
Per questo fatto molto grave, invalidante, il procedimento già dalle prime battute è da ritenersi VIZIATO e quindi NULLO a tutti gli effetti.

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Ecco quanto prevedeva il canone 1648 del Codice Pio Benedettino
Titolo IV – capitolo I
Can. 1648
§1 Pro minoribus et iis qui rationis usu destituiti sunt, agere et rispondere tenentur eorum parentes aut tutores vel curatores.
§2. Si iudex existimet ipsorum iura esse in conflictu cum iuribus parentum vel tutorum vel curatorum, aut ipsos tam longe distare a parentibus aut tutoribus vel curatoribus, ut hisce uti aut minime aut difficulter liceat, tunc stent in iudicio per curatorem a iudice datum.
§3. Sed in causis spiritualibus et cum spiritualibus connexis, si minores usum rationis assecuti sint, agere et respondere queunt sine patris vel tutoris consensu; et quidam, si aetatem quatuordecim annorum expleverint, etiam per se ipsos; secus per tutorem ab Ordinario datum, vel etiam per procuratorem a se, Ordinarii auctoritate, constitutum.
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Nuovo Codice di Diritto canonico
Capitolo I: Attore e convenuto
Can. 1478
§1. I minori e coloro che non hanno l'uso di ragione, possono stare in giudizio soltanto tramite i loro genitori o i tutori o i curatori, salvo il disposto del §3.
§2. Se il giudice reputa che i loro diritti siano in conflitto con i diritti dei genitori, dei tutori o dei curatori, o che questi non possano sufficientemente tutelarne i diritti, stiano in giudizio tramite un tutore o un curatore assegnato dal giudice.
§3. Ma nelle cause spirituali e connesse alle spirituali, se i minorenni hanno raggiunto l'uso di ragione, possono agire e rispondere senza il consenso dei genitori o dei tutori, anzi personalmente se hanno compiuto i quattordici anni di età; se non li hanno ancora compiuti, per il tramite di un curatore costituito dal giudice. …
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6) IL NOTAIO NON VERBALIZZO’ LE DOMANDE MA SOLO LE RISPOSTE
Il notaio mons. Magoni stese un verbale confuso, impreciso e incompleto della seduta, perché tra l’altro non furono verbalizzate le domande poste dai giudici, ma solo le risposte date dalla bambina.

7) NON CHIESERO NULLA DELLE ALTRE 12 APPARIZIONI
Mons. Cavadini chiese alla piccola di ricordare ai giudici la storia della prima apparizione che venne però raccontata solo in parte. Non venne fatto nessun approfondimento e i giudici non chiesero nulla delle altre 12 apparizioni.

8) LA NON VALIDITÀ E L’INATTENDIBILITÀ DELLA LETTERA DI RITRAZZAZIONE
Adelaide venne costretta a ricordare l’episodio della lettera (o biglietto) di confessione. I giudici vollero farla crollare un’altra volta per arrivare sbrigativamente alla chiusura dei lavori. In assenza del difensore, concentrarono quindi le domande su quell’episodio tanto doloroso, mettendo la piccola Adelaide in gravissima difficoltà e collocandola in tal modo sul banco degli accusati.

Le venne mostrata la sua lettera di ritrattazione (o meglio il biglietto) e la si interrogò su quel documento che non aveva nessuna validità giuridica:
a) perché dettato da don Cortesi che lo aveva estorto con l’inganno provocando la la paura in una bambina che aveva allora 8 anni;
b) perché il biglietto era stato scritto non in presenza di testimoni validi;
c) perché il biglietto era manomesso in quanto la scrittura non era spontanea e alcune lettere e parole non appartenevano alla grafia di Adelaide;
d) perché il contenuto del biglietto era stato reso pubblico subito da don Cortesi;
Inoltre don Cortesi aveva provveduto a far fotografare il biglietto e a divulgarne le copie presso amici e conoscenti contravvenendo al segreto istruttorio, tanto che, in seguito, cercò di ritirare tutte le copie distribuite, ma non vi riuscì completamente.

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Il biglietto di ritrattazione in questione:

“Non è vero che ho visto la Madonna.
Ho detto una bugia perché non ho visto niente. Non ho avuto coraggio di dire la verità, ma poi ho detto tutto a don Cortesi. Adesso però sono pentita di tante bugie.
Bergamo-15-Settembre 1945”
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Gli atti del Tribunale e il resoconto del notaio non riportano però la ragione della macchia sul foglio, perché proprio quella macchia era il segno del pianto disperato di Adelaide e del suo martirio. Il primo foglio era stato sostituito da don Cortesi perché macchiato dalle lacrime disperate della piccola Adelaide cadute sull’inchiostro.

Si sa ora per certo che, il 15 settembre 1945, Don Cortesi terrorizzò la bambina prima di estorcerle il biglietto di negazione delle Apparizioni. Adelaide raccontò alla cugina Annunciata quanto segue: “Don Cortesi per farmi scrivere il biglietto mi diceva che mio papà e mia mamma erano stati messi in prigione per colpa mia; che le mie sorelle erano state portate lontano, e la casa era stata chiusa con la chiave; non c’era più nessuno. Tutto per colpa mia, perché ho detto che ho visto la Madonna. Se sempre dicevo che l’avevo vista il papà e la mamma sarebbero sempre stati in prigione, e le mie sorelle non sarebbero più venute a casa. Non avrei più visto nessuno. Dopo mi ha dato la sua penna stilografica e la carta per scrivere il biglietto”. (Fonte: Achille Ballini, “Una fosca congiura contro la storia”, pag. 115; e altre testimonianze riservate).

Da tempo però, don Cortesi aveva preparato il terreno per indurre Adelaide alla ritrattazione. L’aveva prima vezzeggiata all’inverosimile conquistando morbosamente tutto il suo affetto, poi l’aveva confusa ed impaurita con la paura del peccato mortale e la minaccia di dell’inferno, provocandogli sensi di colpa e traumi che porterà con sé per molti anni.

9) IL TRIBUNALE SORVOLÒ SULLE VIOLENZE FISICHE E MORALI DENUNCIATE
Benché, già in questa prima seduta, la bambina avesse denunciato violenze fisiche e morali, il Tribunale ignorò totalmente i fatti e per nulla indagò.

Eppure mons. Bramini e tanti altri avevano denunciato, già da tempo per scritto, le violenze fisiche o morali a cui era stata sottoposta la bambina da alcune suore e dal suo inquisitore don Cortesi.
Qui emergono gravi responsabilità di mons. Merati, Presidente del Tribunale che, facente parte della Commissione, era stato scelto dal Vescovo perché potesse “procedere con maggior competenza e celerità in base alle cognizioni già da lui acquisite come membro della Commissione” e altrettante responsabilità del Can. G. B. Magoni, segretario anche della Commissione. Non potevano non sapere delle violenze subite dalla bambina visto che, alla Commissione di cui facevano parte, erano giunti esposti e relazioni (Cfr.: la relazione del 17/06/47 di suor Bernadetta e suor Maria Maddalena nella quale vengono descritti i metodi “anti-pedagogici” usati dalle suore; la relazione di mons. Bramini del 02/02/47 che denuncia le violenze morali e fisiche subite da Adelaide; la relazione dell'11/07/1944 e le osservazioni di Padre Gemelli e della sua assistente contro i metodi usati da don Cortesi, le ammissioni dello stesso don Cortesi riportate nei suoi 3 libri; … ).

Mons. Merati e mons. Magoni erano perfettamente a conoscenza di quanto era avvenuto il 5 luglio 1944 nel convento di Gandino, quando il prof. Ferdinando Cazzamalli, dietro richiesta di don Cortesi (per contrastare il giudizio di Padre Gemelli), eseguì, in presenza dell'inquisitore, la visita completa della bambina e l’odiosa e traumatica visita delle pudende (parte intima), ampiamente descritta nella relazione che il prof. Cazzamalli, esperto occultista, descrisse nella relazione che consegnò al Vescovo e alla Curia di Bergamo nella primavera del 1945 e nel suo libro “La Madonna di Bonate - Apparizioni o visioni?” (da pag. 43 a pag. 45). Nell’introduzione del suo libro F. Cazzamalli afferma a pag. 15 che: il Presule “mi ha ormai sciolto dal vincolo del doveroso e impegnativo riserbo, dopo che la mia Relazione, come quella del M. rev. prof. Don Luigi Cortesi, hanno trovato presso gli esperti Teologi delle Curie Bergamasca e Romana una profonda valutazione. Sicché osservazione scientifica e disamina teologica sono giunte per vie diverse ad una identica conclusione.”
Furono accettate le tesi di don Cortesi e del prof. Cazzamalli e fu invece ignorato il giudizio di un grande scienziato esperto in materia, Padre Gemelli.


Nella sua Relazione alla Commissione Teologica, datata 02/02/1947, mons. Bramini, difensore di Adelaide, denunciò il vergognoso comportamento di don Cortesi verso la piccola veggente: “…nessuna autorità avrebbe mai potuto approvare tutto quello che egli ha fatto nei riguardi della bambina Roncalli, quando la sottoponeva a lunghi interrogatori e ad esperimenti non sempre commendevoli, a prove di assai discutibile saggezza, prudenza e pedagogia, quando la coccolava, la abbracciava e baciava e si lasciava da lei baciare, quando la cumulava di regali anche vistosissimi, quando la visitava ad ogni ora del giorno e della sera avanzata, quando la fotografava e faceva fotografare in tutte le pose e in tutte le fogge di vestire, come fosse una diva del cinema (e di ciò fa fede il copioso, troppo copioso documentario fotografico in atti), quando la faceva visitare da questo o da quello, nonostante la disposizione dell’isolamento...”

10) IL LIBRO IN MANO AI GIUDICI ERA DI DOMINIO PUBBLICO DA MOLTO TEMPO
Nel verbale viene dichiarato per due volte che mons. Cavadini interrogava la bambina con in mano il 3° libro di don Cortesi aperto prima alla pag. 228, e in seguito alla pag. 229, leggendo alla bambina le pagine angoscianti di quel volume.

La pag. 228 è quella dove don Cortesi descrisse “l’assalto” finale alla piccola Adelaide, l’epilogo del suo confronto con la bimba, scritto in forma di dialogo come un interrogatorio investigativo fra un commissario di polizia e una imputata, fra un Inquisitore e una presunta piccola strega. In tal modo mons. Cavadini, leggendo quella pagina, scelse di ricollocare di nuovo la bimba in quella situazione angosciosa, febbrile e paurosa vissuta nei Conventi delle Orsoline, esponendola coscientemente a rivivere i tormenti fisici e psichici, lo spavento terrificante per le minacce di finire all’inferno, sovrapponendo così l’interrogatorio di don Cortesi al proprio, in modo che Adelaide potesse vedere in lui, l’immagine stessa del suo Inquisitore e accusatore, don Cortesi, quando, solo a solo con lei, nel silenzio notturno del convento delle Orsoline, le chiedeva : “..come stai Adelaide? anche dentro stai bene nell’anima?...vengo sempre a sapere tutto sai… per esempio che non ti sei ancora confessata… non ti sei ancora confessata di quella bugia circa la tua Madonna… mi vengono le vertigini. Perché hai detto una bugia così grave? Ti piaceva farti ammirare vero ?…”

Successivamente, mons. Cavadini continuò la lettura di altri brani del libro di don Cortesi passando alla pag. 229, che descrive la conclusione dell’“assalto” definitivo, con il quale don Cortesi, trionfante, pensò di aver incenerito le apparizioni, sommergendo la bimba, ormai completamente piegata dalle percosse, dai terrori e dall’asfissia di interrogatori senza fine.
“… Sei tremenda !..Cosa debbo pensare ?.. Perché hai detto una bugia tanto grave ? Desideravi che venisse tanta gente ? Perché muovevi le labbra quando guardavi in cielo ? Perché pregavi ? Sei sincera ?” - la tormentava il prete dopo una buona dose di umiliazioni e percosse ricevute dalle suore - “Dimmi la verità, Fuori la verità ! Tu certamente avrai vergogna di confessare la tua bugia, Perciò facciamo in questo modo: tu scrivi una lettera e io la porterò al Vescovo. Penso che mons. Vescovo vorrà conoscere questa storia della Madonna…”

Don Cortesi concluse la stesura del suo 3° libro “Il problema delle apparizioni di Ghiaie” il 15/09/1945, proprio il giorno della ritrattazione di Adelaide. Tre settimane dopo, il libro stampato in tutta fretta era già in circolazione (di sicuro l’8 ottobre 1945, come indicato da don Italo Duci, curato di Ghiaie, nel suo diario). Nessuno si è mai chiesto come fece l’inquisitore, con i mezzi a disposizione di allora (non c’erano i computer), a preparare e a pubblicare in meno di tre settimane un libro così complesso? Ebbene Don Cortesi aveva già dato alla stampa, da molti mesi i suoi scritti, ed aveva anche fatto leggere a qualcuno i suoi appunti, almeno fino alla pagina 206, datata 31 dicembre 1944, dove dava già per scontato che l’origine delle apparizioni non era divina ma era “umana” (Cfr.: ammissione di don Cortesi alla pag. 207).

Mons A. Pesenti, un tempo archivista della Curia, ha affermato, in un articolo del 20/02/1977, “che i libri di Mons. Cortesi fossero in circolazione è falso. Mons. Cortesi venne incaricato di preparare qualcosa come un’istruttoria… stampata in un numero assai limitato di copie e venne data, sotto grave obbligo di segreto, ai membri della Commissione teologica e ai vari periti chiamati ad interloquire. Le altre copie avanzate, furono rigorosamente poste sotto chiave nell’archivio segreto della Curia. Quindi niente: circolazione.”
Ci dispiace contraddire mons. Pesenti, perché risulta invece, da numerose testimonianze emerse, che il libro di don Cortesi circolava in molti ambienti estranei agli addetti ai lavori, perché l’inquisitore di Adelaide e delle Apparizioni diffuse clandestinamente i suoi scritti, compreso il 3° libro che doveva essere “segreto”, in molti ambienti bergamaschi e fuori provincia e anche a Roma dove fu molto criticato. (Cfr.: lettera di mons. Masoni al parroco di Ghiaie don Cesare Vitali del 20/11/1945, lettere di sacerdoti e altre fonti private).
Tra l’altro, il libro “Il problema delle apparizioni di Ghiaie” fu presto depositato anche alla Biblioteca civica Angelo Maj di Bergamo, a due passi dalla Curia, a disposizione dei lettori e degli studiosi che, da molti decenni, hanno potuto consultarlo liberamente.

La cosiddetta “istruttoria” di don Cortesi, che era invece di dominio pubblico dall’ottobre 1945, quasi due anni prima del processo, non poteva e non doveva, a questo punto, essere acquisita agli atti dal Tribunale ecclesiastico.

11) IL VALORE PERITALE DELLA TESI DI DON CORTESI È NULLO PER VIZIO DI FORMA
a) Il valore peritale della tesi di Don Cortesi, in mano ai giudici, è nullo per vizio di forma, perché emise nel suo libro “Il problema delle Apparizioni di Ghiaie”, S.E.S.A. 1945, delle disquisizioni di natura medico-psichiatrica, con sentenze personali di diagnostica clinica e semeiologica, con chiari riferimenti di biotipologia nei confronti di Adelaide e dei suoi familiari e congiunti, senza averne i titoli accademici necessari. Consta che in quel periodo don Cortesi fosse laureato in Filosofia ma non avesse conseguito nessun dottorato in medicina e chirurgia, in psichiatria o in psicologia, e non fosse abilitato e tanto meno specializzato in quelle materie.

b) Don Cortesi emise dei giudizi personali pesanti di natura medico-psichiatrica che pubblicò e che si prese la libertà di diffondere a molti amici e conoscenti ma anche a persone fuori provincia (tutti estranei agli addetti ai lavori), anticipando le conclusioni del Tribunale Ecclesiastico e della Commissione, scavalcando così quei due organi e il Vescovo stesso.

12) LE CONCLUSIONI FINALI E LA SENTENZA ERANO GIÀ STABILITE NEI LIBRI DI DON CORTESI
Nel libro in mano ai giudici, don Cortesi concludeva a pag. 206:
“Tuttavia non nascondo il mio scetticismo: l’avvenire non ci recherà la convalidazione divina delle apparizioni, ma soltanto la dimostrazione della loro origine umana… la mia speranza di giorno in giorno s’illanguidisce e muore. Anzi è già morta.”
Conclusione scritta in data 31/12/1944.

E alla pag. 230 (successiva alle pag. 228 e 229 sulle quali mons. Cavadini interrogò Adelaide), don Cortesi aveva la spudoratezza di concludere:
“Tutto è finito. L’ipotesi prospettata sopra è ormai una tesi certa: NELLE COSIDETTE APPARIZIONI DI GHIAIE NON CONSTA IL CARATTERE SOPRANNATURALE, ANZI CONSTA IL CARATTERE NATURALE: esse sono una creazione pseudologica fantastica della bambina Adelaide Roncalli…”
“L'episodio si chiude PER SEMPRE, come uno dei più luttuosi che la storia umana registri”.

Mons. Cavadini interrogò la bambina con in mano un libro pubblicato che conteneva già le conclusioni a cui doveva giungere il Tribunale e anche il Vescovo con il decreto “non consta” (Cfr.: pagine 206 e 230) e riportava considerazioni irriguardose ed offensive verso la piccola Adelaide e la sua famiglia (Cfr.: Parte Terza da pag. 51 a pag. 148).

A che titolo la Commissione e, in seguito, il Tribunale ecclesiastico e il Vescovo mons. Bernareggi, permisero che un estraneo (che non era né membro della Commissione, né membro del Tribunale) si arrogasse irrispettosamente il potere di sentenziare senza appello (“si chiude per sempre” scrisse don Cortesi) e di anticipare ed imporre le sue tesi e conclusioni alla Commissione e al Tribunale, emettendo già il 15/09/1945 una sentenza di “non consta” che spettava soltanto al suo Vescovo emettere (decreto 30/04/1948).

Quindi, tutto era già scritto e deciso prima del processo “farsa” che già alla prima seduta poteva dirsi concluso.

13) UNA GRAVE IRREGOLARITÀ PROCESSUALE COMMESSA DAL PRESIDENTE MONS. MERATI
Dopo aver fatto uscire tutti, il Presidente mons. Merati interrogò la bambina da sola, senza alcun testimone, commetendo una gravissima irregolarità processuale perché, radunati di nuovi i membri del Tribunale, il Presidente riferì e fece verbalizzare quanto personalmente le disse la bambina assumendo sia la funzione di giudice Presidente, sia la funzione, incompatibile, di testimone diretto. Quindi quelle sue dichiarazioni sono nulle e inattendibili.

14) ADOTTANDO IL LIBRO I GIUDICI SCELSERO DELIBERATAMENTE DI APPROVARE I MEZZI ILLEGALI USATI DA DON CORTESI
Trascurando volutamente ogni testimonianza sui tormenti sopportati da Adelaide, e adottato il 3° volume di don Cortesi, i giudici scelsero deliberatamente di approvare i mezzi illegali usati dal prete bergamasco, condividendo l’immagine orribile di Adelaide come nodo di vipere, che costituisce l’accusa di don Cortesi che si è configurato nel suo stesso volume, come “INQUISITORE E ACCUSATORE”.

15) FU ISTITUITO UN PROCESSO ARBITRARIO E ILLEGALE
Questo Tribunale confermando l’Inquisizione di don Cortesi istituì contro la bimba un vero processo, oltretutto, arbitrario e illegale. Mancando lo stesso difensore mons. Bramini, nessuno potè verificare durante la prima seduta la legittimità degli atti. Nessuno poté contestare le modalità usate per l’interrogatorio di Adelaide e l’esattezza della verbalizzazione delle sue risposte; come, del resto, nessuno si era mai sognato di controllare l’azione di don Cortesi.
I dubbi di illegittimità, evidentemente, non potevano nemmeno essere presi in considerazione da quei giudici, perché sarebbero stati costretti ad aprire un nuovo procedimento a carico di don Cortesi, dei membri della Commissione, e di loro stessi.
Occorreva allora chiudere, e chiudere in fretta, confermando la bambina come mentitrice e indemoniata e distruggere così le apparizioni.

Chiusero gli occhi di fronte alla sproporzione di un prete forte e colto, cui era stato concesso un potere illimitato, e una povera bimba di sette anni e non vollero vedere che la piccola, sradicata, indifesa, prigioniera e maltrattata, era stata indotta dal suo Inquisitore anche a disprezzare le proprie radici e la propria povertà, costretta ad uscire dal proprio registro linguistico dialettale e dalla propria misera condizione, annullata nella propria persona, e nella propria identità, per essere, come ha scritto don Cortesi, “rinverginata” nell’anima.

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Fonti private

Articolo ripreso dalla Rivista SENAPA - Anno IX - Numero 2 - 2004


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Allegato   Data inserimento:  21/05/1947