Autore:  Vari Data documento:  10/06/1947
Titolo:  PROCESSO ALLE APPARIZIONI DI GHIAIE: VERBALE DELLA 6A SEDUTA

 IL PROCESSO ALLE APPARIZIONI DI GHIAIE DEL 1944
TESTO INTEGRALE DEL VERBALE DELLE SEI FASI DEL PROCESSO DEL TRIBUNALE DIOCESANO DI BERGAMO

Le sei sedute del Tribunale furono così distribuite:
1) Interrogatorio di Adelaide Roncalli (21 Maggio 1947).
2) Interrogatorio di Suor Bernardetta e poi di Adelaide (23 Maggio 1947).
3) Viene intercalata una seduta senza interrogatori (2 Giugno 1947).
4) Interrogatorio di Suor Bernardetta e poi di Adelaide, poi confronto tra Adelaide e Don Cortesi (6 Giugno 1947);
5) Interrogatorio del Parroco di Ghiaie Don Cesare Vitali (9 Giugno 1947);
6) Interrogatorio di Don Italo Duci curato coadiutore di Ghiaie, poi di Nunziata Roncalli, poi di Suor Celestina Algeri (10 Giugno 1947).

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LA SESTA FASE DEL PROCESSO:

IL PROCESSO “FARSA” FINISCE QUI

(Commento di Alberto Lombardoni)

Dopo l’interrogatorio di don Cesare Vitali avvenuto in Curia il 9 giugno 1947, il Tribunale (se vogliamo chiamarlo così) si trasferisce il giorno successivo nella casa parrocchiale di Ghiaie di Bonate per interrogare don Italo Duci (curato di Ghiaie di Bonate e collaboratore del difensore delle apparizioni, mons. Bramini), Annunciata Roncalli (la cugina di Adelaide) e suor Celestina Algeri (dell’Asilo di Ghiaie).

Sarà l’ultima seduta di un processo “farsa” con sentenza già scritta due anni primi, nel 1945, dall’Inquisitore don Luigi Cortesi. Una seduta decisamente a favore delle apparizioni di Ghiaie, ma inutile per i giudici che avevano già deciso prima che si chiudesse il processo e si trasmettessero gli atti alla Commissione e al Vescovo. L’inspiegabile fretta di chiudere ad ogni costo “l’Affare Ghiaie” imporrà ai giudici di escludere qualsiasi altro intervento compreso quello fondamentale della difesa di Adelaide e delle Apparizioni.

Ancora una volta, ci troviamo di fronte ad un verbale impreciso, con parecchi errori e correzioni, nel quale le domande fatte alle persone interrogate non risultano quasi mai verbalizzate e talvolta mancano anche certe risposte (per esempio si passa dal paragrafo 1 al paragrafo 3, nel verbale dell’interrogatorio di Annunciata Roncalli). Il verbale contiene anche degli elementi che comprovano la non imparzialità dei giudici che non attesero la fine del dibattimento per prendere certe decisioni (vedasi per esempio l’ordine di spogliazione della Cappella che i giudici ottennero dal Vescovo già il 9 giugno…). Inoltre, tanto era la fretta, che nessuno si prese la briga di rileggere attentamente il verbale altrimenti si sarebbe accorto di una grave incongruenza: nel documento che abbiamo consultato (che dovrebbe essere una copia fedele dell’originale) risulta che la data dell’ultima seduta è il 10 giugno 1946 quando i verbali delle sedute precedenti riportano invece l’anno 1947. Com’è possibile che l’ultima seduta, nella casa parrocchiale di Ghiaie di Bonate, si sia svolta un anno prima delle sedute precedenti, quando il Tribunale non era ancora costituito? Crediamo invece che si tratti di un errore di trascrizione da attribuire al notaio mons. Magoni.

Il fatto più grave invece è che nel verbale si dichiari che sono “presenti tutti i membri del Tribunale”, quando ci risulta, invece, che mons. Angelo Bramini “postulatore e avvocato per le apparizioni” (cfr. Decreto di mons. Bernareggi dell’08 maggio 1947, paragrafo 1/d, nomina di mons. Bramini) non era nemmeno presente a quella seduta. Di sicuro c’erano: mons. Merati, mons. Patelli e mons. Magoni, perché menzionati nel corso del verbale. Degli altri (mons. Cavadini, don Carrara, mons. Bramini) non vi è menzione.
Don Italo Duci, tra l’altro, scriverà nel suo diario alla data del 10 giugno 1947: “Membri del Tribunale di Bergamo passano alle Ghiaie per alcuni interrogatori”. Non parla assolutamente del Tribunale al completo, ma di “membri del tribunale”.

Non vi pare strano che nei verbali delle varie sedute, non risulti una sola volta che il postulatore e avvocato per le apparizioni”, mons. Bramini, abbia contro interrogato le persone chiamate a deporre? Non vogliamo minimamente pensare che qualcuno abbia volutamente omesso di verbalizzare tutti gli interventi del difensore delle Apparizioni, perché sarebbe un fatto di una gravità inaudita. Vogliamo credere invece che mons. Bramini per un motivo o per l’altro non sia stato presente agli interrogatori (esclusa la seduta tecnica del 2 giugno 1947, in cui risulterebbe presente - anche se all’inizio, il notaio mons. Magoni, nel verbale, lo dichiarerà, per errore, assente).

Dobbiamo purtroppo concludere che nonostante mons. Bramini fosse membro di diritto di quel Tribunale, non fu mai accettato come tale dagli altri membri. E questa è una gravissima irregolarità processuale, una violazione dei diritti della difesa, soprattutto nel nostro caso dove si stava processando una bambina di solo 10 anni!

Da sessant’anni si continua a dire che “Tutto si è svolto regolarmente!” “I giudici hanno lavorato bene e seriamente”, “Non è stata riscontrata nessuna irregolarità” da parte degli esperti in diritto canonico chiamati ad esaminare il copioso incartamento. “Tutto è apposto”, continua a ripetere l’attuale Vescovo di Bergamo. Ci sono seri dubbi che non abbiano veramente letto quelle carte, altrimenti…
Ai lettori le conclusioni!

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VERBALE DELL’ULTIMA SEDUTA DEL TRIBUNALE DIOCESANO
Per l’esame dei fatti di Ghiaie (Sesta parte - Interrogatori di don Italo Duci, Annunciata Roncalli e suor Celestina Algeri, svoltosi il giorno 10 giugno 1947)

Nella casa del parroco delle Ghiaie, presenti tutti i membri del tribunale alle ore 16 del giorno 10 giugno 1946. È ammesso il curato D. Italo Duci. Il teste giura di dire la verità e di mantenere il segreto.

1) So che durante i 10 giorni che l'Adelaide è rimasta a casa nel luglio 1946, ha scritto una dichiarazione per ritrattare la negazione di prima, dicendo che era vero che aveva visto la Madonna. Io fino al 1945 non mi ero interessato dei fatti; dopo Mons. Bramini mi ha incaricato di occuparmi e in quell'epoca mi ha spedito la fotografia della prima lettera in cui la bambina diceva di non aver visto la Madonna. L'aveva scritta a Bergamo. Mons. Bramini disse che poteva scegliersi dei collaboratori e a ciò sceglieva me che ero in luogo, non sceglieva il Parroco perché la cosa era più delicata. Quando la bambina doveva venire a casa Mons. Bramini mi disse di verificare se persisteva o no nella negazione, mandandomi la fotografia della lettera. Al tribunale consegnerò la corrispondenza di Mons. Bramini.
Venuta a casa deve essere alla fine di giugno o in principio di luglio 1946 io ero qui fuori e vidi che la bambina si presentò subito al parroco. C'era Mons. Bramini, don Piccardi, Padre Molteni barnabita. La bambina avrebbe confermato di aver visto la Madonna. Io non ero presente né so chi l'abbia interrogata: credo don Piccardi e il Parroco. Mons. Bramini rimase fuori. La bambina è rimasta qui in casa del parroco finché venne il babbo a prenderla. Ricordo che i sacerdoti presenti rimasero ben impressionati perché la bambina aveva confermato di aver visto la Madonna.

2) Don Cortesi passò qui e disse che non era vero nulla. E io a tutti dicevo questa cosa. Ma nessuno credeva all'ipotesi che la bambina avesse inventato tutto. Della lettera di negazione, leggendo i volumi di don Cortesi ho pensato che bisognava crederci perché lui aveva avuto in mano la bambina. Certo però sono rimasto un po' impressionato dagli interrogatori di don Cortesi quasi abbia influenzato la bambina, l'abbia suggestionata. So poi che Mons. Bramini ha fatto periziare la scrittura. Degli altri non so l'impressione sulla lettera ed anche la gente venne a sapere della negazione anche perché io lo dicevo a tutti i forestieri che chiedevano.

3) Il fatto avvenne così: una sera venne nella mia casa con l'Annunziata. Dopo qualche parola le dissi: “È poi vero che hai visto la Madonna o no?” E mi rispose di sì; e allora le mostrai la lettera di negazione. La bambina si meravigliò. Dall'Annunziata seppi che la meraviglia sarebbe stata originata dal fatto che mentre don Cortesi avrebbe promesso di non far vedere a nessuno la lettera invece la vedeva nelle mie mani. E anche perché don Cortesi le aveva fatto scrivere che non era vero che aveva visto la Madonna mentre l'aveva vista. Allora io insistetti che dicesse la verità ed essa confermò: “Sì l'ho vista.” E allora come facciamo? Se è vero, bisogna che tu torni a scrivere che l'hai vista anche perché il vescovo vorrà sapere qualche cosa e non ho aggiunto altro. La bambina andò poi a casa sua.
Mons. Patelli chiede se il teste non abbia riscontrato nella meraviglia della bambina un senso di vergogna di essere colta in contraddizione. Il teste pensa di sì. E continua. In quei giorni stava dalle Suore e Annunziata un'altra sera era venuta da casa con la bambina. Io ero all'asilo verso le 19.20. In quel momento seppi dalle suore che l'Adelaide era giunta con l'Annunziata e stava scrivendo sola. Le suore sapevano cosa voleva scrivere. È rimasta sola un momento; poi è uscita ed è venuta subito da me contenta a mostrarmi il foglio scritto che portava nome e cognome in principio poi ancora Bergamo e la data. C'era scritto soltanto “è vero che ho visto la Madonna”. Allora io ho detto: bisogna dire anche perché prima hai detto che non era vero. Allora voleva entrasse anche l'Annunziata ma nessuno entrò; scrisse ancora da sola e uscendo mostrò il foglio sul quale aveva aggiunto: “ho scritto che non è vero perché me lo ha dettato don Cortesi; ed io per ubbidire avevo scritto così.” La lettera la consegnò a me ed allora io ho pensato a far fare delle firme a tutti i presenti e l'ho firmata anch'io.

4) Io ho parlato col parroco di questa lettera; così mi sembra, però non ricordo di preciso e non ricordo di avergli mostrata la lettera. La lettera è stata consegnata a Mons. Bramini.

5) Con l'Annunziata ne parlava; e l'Annunziata mi disse che una delle prime sere la bambina era inquieta e le disse che non era vero che aveva vista la Madonna. Dopo che invece venne da me e riconfermò la verità delle apparizioni la bambina era più contenta. Non mi consta che qualcuno l'abbia influenzata con minacce, manifestandole le conseguenze che sarebbero avvenute se diceva il falso.

6) Io sono andato qualche volta dalle suore della Sapesse; ed era contenta. Là la condussi io con l'Annunziata. Ricordo che nel viaggio le dissi che avremmo data la seconda lettera al vescovo ed essa era contenta, confermando la verità delle apparizioni. E le ha confermate anche circa due mesi fa.

7) Io rarissime volte: qualche volta sì anche per verificare le cose. La sera del 13 maggio sono andato là con alcuni giovani e c'era moltissima gente. So che il parroco ci va la festa sera. Io col prevosto non ci sono andato e non abbiamo condotto nessuno noi a pregare ufficialmente. Nelle sere del mese di maggio sono andato solo il 13 maggio. Dicevo anch'io qualche Ave Maria. Il parroco mi ha detto lui che ci è andato qualche volta; la sera per es. del 13 maggio c'era anche Mons. Bramini. Mi hanno detto che essi hanno recitato il rosario con la gente che c'era lì. Nessuno ha predicato sul luogo eccetto forse qualche forestiero.
Mons. Merati domanda: “che impressione ne avrebbe lei se la bambina continuasse a negare?” Il teste risponde: “sarebbe una cosa un po' sbalorditiva e non riuscirei a spiegarla. Io la bambina prima dei fatti non la conoscevo. Io non credo che l'abbiano montata. Quanto alla seconda lettera certo l'Annunziata deve averle detto: “se è vero che l'hai vista scrivi”. Ma al momento si è decisa da sola a scrivere.”
Il teste conferma e si sottoscrive: Don Italo Duci.

Mons. Merati aggiunge: “dal decreto del vescovo è proibito ogni manifestazione di culto collettiva. Ce n'è stata qualcuna?” Il teste risponde: “oltre il rosario no. So che sono venuti dal di fuori dei pellegrinaggi. Di solito vengono senza preannunciarsi. Di solito fanno la Comunione e sentono la Messa.”
Don Italo Duci.

Nell'intermezzo il parroco afferma di essersi ricordato che l'Adelaide mentre era a casa ha scritto all'asilo la seconda lettera, però egli non l'ha vista.

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Alle ore 17 entra la Nunziata Roncalli la quale giura di dire la verità e di mantenere il segreto.

1) Adelaide è venuta a dormire in casa mia tutte le sere in cui è stata a casa nel 1946: 8 o 9 volte. Anche prima veniva da me. In una di quelle sere, la prima, io le ho domandato: “È poi vero che hai visto la Madonna?” Siccome però si mise a piangere ho lasciato lì. L’ho interrogata allora la seconda sera. Allora la bambina si è messa a piangere di nuovo: “perché piangi?” “Perché non è vero che ho visto la Madonna”. Aveva il fastidio di aver detto una cosa così grossa di aver visto la Madonna mentre non l’aveva vista. “E perché hai fatto una cosa così che nessuno ti ha messo in testa?” – “Non so neppur io”. “E diceva che aveva visto delle immagini e si regolava su quelle”. “Mai più che non ne hai viste”. E lei continuava a piangere e allora le ho domandato io: “Come facevi allora tutte le sere a dire che la Madonna ti aveva parlato?” Questo non c’era sull’immagine ed essa abbassava la testa e continuava a piangere. Allora io ho pensato che fosse messa su da qualcuno e sono rimasta molto male. E ho pensato di portarla al curato. Difatti sono venuta qui e non c’era. Allora ho aspettato un’altra sera e le ho detto: “Ho bisogno di una grazia; non faresti una novena con me?” Lo scopo era di ottenere dalla Madonna la verità sui fatti molto più che per tre o quattro sere continuava ad affermare che non aveva visto la Madonna e diceva: “però guarda che cosa grossa ho fatto. Quanta gente c’è al mondo e io sono la più cattiva di tutte.” E questo lo diceva per la bugia che aveva detto. E dopo: “verrà un momento che tutti mi abbandoneranno anche il papà e la mamma e le mie sorelle non mi vorranno più bene.” “Ed io non ti abbandonerò”. E voleva incominciare essa stessa a dire alle persone che venivano che non era vero che aveva visto la Madonna. Io le ho detto: “Non tocca a te far questo. Ci sono persone sopra te e me e le ho proibito di far ciò e poi ho fatto la novena.” E al terzo giorno venne dal curato che l’ha interrogata. Io avevo preso la scusa di portare qualche cosa alla mamma del curato; il curato non sapeva nulla di quello che la bambina aveva detto a me prima. E ha incominciato a interrogarla se era vero che aveva visto la Madonna o no. E la bambina rispose di sì. Ed io tra me dicevo: “O è bugiarda o è la Madonna che l’ha ispirata.” Ma non ho detto niente. E la bambina ha ripetuto che l’aveva vista tredici volte. Nell’andare a casa era più quieta. Dal collegio era venuta a casa triste; ma quella sera dopo che ebbe parlato col curato era contenta. “Mi trovo come un uomo che ha confessato dei peccati grossi e si trova contenta.” Ed io: “perché a me hai detto di no prima?” Lei non ha parlato: era allegra ma non parlava: e a casa mi disse: “ah, la novena l’hai fatta per me, non per te.” Prima di parlare col curato diceva di no poi diceva sempre di sì. Io dissi tutto, mi pare il giorno dopo, al curato. Ed egli restò lì: dopo le ha chiesto perché aveva negato prima. Ed essa rispose che era stata messa su da don Cortesi e aveva scritto una lettera in cui negava di aver visto la Madonna; ed anch’io l’ho vista ed avendo detto questo alla bambina, mi domandò come l’aveva vista. “Perché me l’ha mostrata don Cortesi”.
“Che bugiardo”. Anche lui l’ha fatta grossa: e intendeva alludere alla promessa fattale di non mostrare la lettera a nessuno. E il curato le suggerì di fare un’altra lettera in cui smentiva la prima. E difatti un’altra sera l’ho condotta all’asilo: per la strada le dissi: “ti interrogheranno ancora un po’ e tu devi dire la verità: se hai visto la Madonna devi dire che l’hai vista per non far torto alla Madonna.” All’asilo non voleva ritirarsi da sola a scrivere, perché temeva di non essere capace. Ed allora io: “Ah, io non entro per carità; devi arrangiarti da sola.” Difatti si è arrangiata da sola. C’erano lì le suore e mi pare che l’abbiano interrogata. Il curato era in sacrestia coi ragazzi e l’ho avvertito io che era venuta. E lui disse che la si lasciasse scrivere. Le fu data penna e calamaio e ha scritto da sola. La lettera ce la lesse il curato e noi l’abbiamo firmata. Essa uscì col biglietto piegato e l’ha consegnata al curato. Egli lo lesse ad alta voce e la bambina nella lettera diceva che aveva negato perché glielo aveva fatto scrivere don Cortesi.

3) Dalle suore della Sagesse io sono andata due volte: la prima ad accompagnarla col curato e poi è giunta la dottoressa Maggi e mentre la superiora condusse il curato e la dott. a vedere il collegio io e la bambina siamo state in chiesa. Io non ho mai portato biglietti. Mentre era alle Orsoline gliene portavano e li consegnavano alle Suore. Mons. Merati chiede se la teste abbia detto a qualcuno le negazioni della bambina fatta a lei. E la teste dice di averle fatte presente alla mamma; e continua: “alla Sagesse una volta io ho chiesto alla bambina se si trovava bene in coscienza; e rispose: “sono quieta in coscienza e sono calma. Ma poi più nulla ho detto perché la Superiora mi ha rimproverata.”

4) Io penso ancora che la bambina negando sia stata messa su da qualcuno. E anche adesso, se dicesse di no, penserei che qualcuno l’avesse messa su. È venuta a casa con l’idea formata dalle Orsoline. E come si sfogava. Io ricordo di aver detto alla bambina che piangeva: “Il Signore sa cavar bene anche dal male” nel senso che mentre lei diceva di essere stata cattiva lasciasse fare il Signore. Io non vedo più l’Adelaide da molto tempo.

5) Durante il mese di maggio il parroco è venuto una sera sul luogo col mons. di Lodi. Qualche volta vengono il parroco e il curato sul luogo a fare un giro. Io non li ho visti a pregare sul luogo. È la sorella dell’Adelaide, Maria che ha detto che sono venuti a dire il rosario. Mons. di Lodi è stato qui il giorno 13 di maggio. Secondo me l’Adelaide non è capace di dire bugie così grosse; per questo penso che sia stata messa su da qualcuno. Mons. Patelli domanda se don Cortesi in principio era favorevole. La teste risponde: “Altro! Era infervorato più di tutti e io l’ho rimproverato dicendogli che non desse troppi vizi alla bambina; questo atteggiamento è durato un po’ di tempo fino a quando hanno fatto la cappella. Con lui c’erano il Sign. Verri e la mia cugina Maria, ora suora. Le davano troppo vizi. Io non so come don Cortesi ha fatto a cambiare idea. Poi mi rimproverava perché ci credevo.”
La teste conferma e si sottoscrive:
Roncalli Annunciata

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Alle ore 18.10 entra suor Celestina Algeri, che giura di dire la verità e di mantenere il segreto.
1) Mi trovavo all’asilo.

2) Sì, il curato prima disse a noi di interrogare la bambina, perché i primi giorni non parlava; era sotto incubo; e allora suor Genoveffa ha chiesto un giorno: “È poi vero che hai visto la Madonna?” E la bambina al momento è rimasta un po’ esitante e poi la suora di nuovo: “Ma è poi vero sì o no?” e la bambina: “Si è vero” e ha aggiunto: “adesso devo andare a confessarmi perché ho parlato”. Si capisce che aveva l’obbligo di non parlare. E noi: “perché devi andare a confessarti?” – “Perché non posso parlare. Adesso l’ho detto: come faccio?” E noi: “non è vero che non puoi parlare: non sei in collegio, sei con le tue suore.” Allora ha fatto un sospiro come a dire: “È vero che posso parlare”. Poi le abbiamo chiesto come era vestita la Madonna e le cose di prima. E essa confermava. E al curato noi l’abbiamo riferito e al giorno dopo l’abbiamo presa su consiglio del curato esortandola a scrivere quello che sentiva. E le abbiamo dato un quadernetto su cui ha scritto qualche cosa. Alla sera l’abbiamo detto al curato il quale pure ha chiesto alla bambina se era vero che aveva visto la Madonna e la bambina di nuovo ha confermato. E allora il curato: “Perché hai scritto quella lettera di negazione?” – “Perché me l’ha detto don Cortesi.” – E il curato “non ti farebbe male a scriverlo sul quaderno? Se non oggi sarà domani. Devi mettere quanto ricordi.” La bambina: “Lo faccio anche subito”. E allora ha preso il suo quadernetto con il calamaio ed è entrata sola nella sala dell’asilo; e ha scritto: “È vero che ho visto la Madonna”. E ha mostrato il foglio al curato, il quale ha espresso il desiderio che scrivesse anche il motivo perché prima aveva detto che non era vero. La bambina ha esitato un momento; si trovava in fastidio. E noi: “Dì un’Ave Maria alla Madonna che saprà lei ispirarti”. E di fatto si è di nuovo ritirata e ha scritto: “ho detto che non avevo visto la Madonna perché l’ha dettato don Cortesi.” Era di sera alle 8.30; era con l’Annunziata; la lettera l’ha data al signor Curato e allora abbiamo firmato tutte noi presenti. E avendo il curato aggiunto che il foglio l’avrebbe portato al vescovo la bambina rispose: “a me non fa niente, faccia pure”. E dopo era tutta contenta. E avendo la suora permesso a lei un croccante, essa disse che era contenta non per questo, ma perché aveva detto la verità.

3) Ho sempre sentito l’Adelaide dire che aveva vista la Madonna. Che abbia detto ad altri che non l’aveva vista, non ho mai sentito. Noi non abbiamo saputo più niente dopo portata via la lettera del curato. Qualche volta alla festa sera andiamo con le ragazze a dire il rosario sul luogo delle apparizioni.
La teste conferma e si sottoscrive:
Suor Celestina Algeri


NB. In seguito il tribunale decide, su autorizzazione del vescovo, chiestagli oralmente il 9 giugno dal cancelliere, di avvertire il parroco e il curato che è necessario attuare in pieno il decreto che proibisce sul luogo ogni atto di culto. Difatti si avvertano che verrà fatto un decreto in cui si imporrà di rimuovere dalla cappella tutti gli ex-voto, i candelabri con le lampade, i fiori, i banchi; si chiuderanno gli ex-voto nella stanzetta posteriore consegnandone la chiave alla Curia. I membri del Tribunale si recano sul luogo per verificare lo stato delle cose. Mons. Merati poi e il cancelliere si recano alla casa della Adelaide a interrogare la mamma la quale, di fronte alle affermazioni e alle negazioni della figlia, dice di essere disposta ad accettare la soluzione che verrà data dalla Autorità intorno ai fatti successi alla sua figlia colà.

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COMMENTO

PERCHÉ TANTA FRETTA DI CHIUDERE?

Si chiude quindi un processo iniquo irto di irregolarità processuali che avrebbe dovuto essere dichiarato nullo dalla prima fase del dibattimento; un processo in cui è stata totalmente negata la difesa; un processo privo di interventi autorevoli (Padre Gemelli per esempio) e di testimonianze di persone miracolate o molto bene informate sui fatti.

Aperti il 21 maggio 1947, i lavori del Tribunale incaricato di esaminare i “Fatti di Ghiaie”, dopo soltanto cinque sedute con interrogatori e una senza, si chiuderanno in fretta tre settimane più tardi, precisamente il 12 giugno 1947, due giorni dopo l’ultima seduta. Tre settimane per liquidare un’apparizione che aveva fatto accorrere milioni di persone! Non si capisce come fece il Tribunale a preparare quel giorno 12 tutto l’incartamento, a verbalizzare le sue conclusioni e a rimetterle lo stesso giorno (o la notte stessa) alla Commissione Vescovile che avrebbe dovuto riunirsi con regolare convocazione per esaminare il tutto, trarre le sue conclusioni e trasmetterle al Vescovo per l’esame finale. Ci si chiede anche come fece il vescovo mons. Bernareggi, così oberato dai lavori di curia e di pastorale, ad esaminare tutto l’imponente “dossier Ghiaie” e ad emettere il 13 giugno, giorno successivo alla chiusura dei lavori del Tribunale, il decreto di spoliazione della Cappella. Probabilmente il vescovo, consenziente, non guardò nemmeno quelle carte e lasciò fare perché tutto era stato già deciso prima. Perché mai tanta fretta di cancellare quelle apparizioni?

E non è finita! Il 14 giugno, due giorni dopo che il Tribunale aveva chiuso il dibattimento e un giorno dopo il decreto di spoliazione della Cappella (decreto del 13 giugno 1947), il notaio del Tribunale, mons. Magoni, commise un’altra grossolana irregolarità. “Dimenticando” che il Tribunale aveva già esaurito il suo compito, il notaio scrisse quel giorno al difensore Mons. Bramini che “Il Tribunale era ancora in attesa dei documenti richiesti”. Che bella presa in giro!

UNA SENTENZA SCRITTA DUE ANNI PRIMA

Il 15 settembre 1945, lo stesso giorno in cui estorse con l’inganno il biglietto di ritrattazione alla piccola Adelaide, don Cortesi chiudeva il suo libro scrivendo a pag. 230 la seguente sentenza: “Nelle cosiddette apparizioni di Ghiaie non consta il carattere soprannaturale, anzi consta il carattere naturale.” Tre settimane dopo, il libro, che fino a pag. 206 era già stato dato in stampa subito dopo il 31 dicembre 1944, era già in circolazione, e non soltanto tra la cerchia ristretta degli “addetti ai lavori” come ha affermato più volte la Curia di Bergamo, ma era anche diffuso presso un pubblico più vasto e successivamente era consultabile anche in biblioteca.

E non si venga a dire che i giudici sono stati imparziali! Come ricorderete, nel verbale della prima seduta era scritto che mons. Cavadini interrogava la bambina leggendo la pag. 229 del 3° libro di don Cortesi. ll giudice proseguirà la lettura fino alla pagina successiva, proprio la 230, perché solo lì è riportato il testo del biglietto di ritrattazione di Adelaide del 15 settembre 1945 di cui stavano dibattendo. Ed è proprio ad una riga sotto che è scritta la sentenza: “non consta il carattere soprannaturale, anzi consta il carattere naturale…” ben evidenziata in lettere maiuscole.

Ad avvalorare la tesi che tutto era stato deciso da tempo, è la nota scritta dal notaio in calce all’ultimo verbale. Mons. Magoni verbalizzò che già il 9 giugno 1947 i giudici avevano ottenuto oralmente dal Vescovo l’autorizzazione per la proibizione di ogni atto di culto sul luogo e la spogliazione della cappella (e questo a dibattimento ancora in corso!). L’ennesima irregolarità processuale!
Quindi anche il vescovo Mons. Bernareggi era a conoscenza dei lavori della Commissione e del Tribunale ed infine concordava anche lui. (Tanti hanno cercato in varie misure di salvare la figura del vescovo nel caso Ghiaie, ma molti fatti smentiscono).

La fretta del Tribunale, della Commissione, del Vescovo di chiudere “l’Affare Ghiaie”, fanno pensare che si volesse soltanto salvare le apparenze, per dare una vernice di legalità a decisioni maturate molto prima. Tutta quella fretta dimostra senza ombra di dubbio la predeterminazione a demolire le Apparizioni di Ghiaie e di cancellarne l’autenticità.


UN DIRITTO CANONICO DIVERSO TRA BERGAMO E ROMA?

Qualcuno (di cui non citeremo il nome per ovvi motivi) che, nell’arco di questi sessant’anni, ha avuto la possibilità di consultare l’incartamento “Ghiaie” gelosamente custodito dalla Curia di Bergamo, ci ha confidato, a titolo personale, che è rimasto esterrefatto dalle allucinanti pagine scritte da don Luigi Cortesi e che il “dossier” è costellato di irregolarità, non solo processuali. Ha aggiunto che il caso è stato purtroppo gestito a quel tempo con molta superficialità e poca competenza.

Non c’è da meravigliarsi che certi cultori del Diritto canonico chiamati a studiare le carte nel corso degli anni ed altri che dicono di studiarle ora non abbiano riscontrato proprio nulla di irregolare. Troppi interessi sono in gioco… Si preferisce non vedere, come lo sta facendo qualche ecclesiastico esperto di diritto canonico che si ostina a cercare in una decina di righe di appunti negativi attribuiti al card. Schuster un appiglio per denigrare le apparizioni di Ghiaie di Bonate, sapendo benissimo che quegli appunti (la conferma ci viene direttamente da un altro prelato della Curia di Milano) non rispecchiano assolutamente il pensiero personale del cardinale Schuster sui Fatti di Ghiaie, ma sono soltanto note riassuntive del materiale che gli fu inviato da don Cortesi e da altri della Curia di Bergamo.

Perché molti sacerdoti che gestiscono santuari o luoghi di grande afflusso di pellegrini non vedono volentieri una soluzione positiva del caso Ghiaie? La risposta è venuta da uno di loro: “Toglierebbe una gran parte dei pellegrini al nostro santuario… riducendone ovviamente le entrate”.

Forse per tutti quegli ecclesiastici cultori del diritto canonico, sequestrare una bambina, usare violenza psicologica verso di essa, sottoporla ad offensiva visita ginecologica, picchiarla, calunniare pesantemente lei e la sua famiglia, interrogarla e processarla da sola senza la presenza di un difensore, obbligarla a cambiare identità e a vivere lontano da Bergamo e dalla sua famiglia, strapparle senza motivo il velo monacale, sono tutti atti leciti contemplati dal codice di diritto della Chiesa cattolica? Che il diritto canonico in vigore allora a Bergamo fosse diverso da quello in vigore a Roma?


ANDREMO A CANTARE IL MISERERE A GHIAIE

Se sono vere le parole attribuite recentemente ad Adelaide che quanto è venuto alla luce è “solo una parte di quello che le hanno fatto”, dobbiamo dedurre che ben altro è celato in quelle carte che la Curia di Bergamo impedisce di consultare!

Che cosa fece di tanto grave don Luigi Cortesi perché, nel 1959, membri della Curia di Bergamo chiamassero lo studioso Achille Ballini, perseguitato da molti anni, per contrattare la salvezza dell’inquisitore contro l’approvazione delle apparizioni di Ghiaie (cfr. Lettera di A. Ballini a E. Poli, del 12/07/1965)? Si trattava soltanto di nascondere l’opera denigratoria di don LuigiCortesi o c’erano altre responsabilità da insabbiare? Di che cosa era venuto a conoscenza mons. Carozzi per dissuadere Papa Giovanni XXIII dal riaprire il caso Ghiaie (Cfr. lettera di mons. Carozzi del 03/09/1960)? Perché, secondo mons. Carozzi, l’apertura del caso avrebbe gettato una manata di fango sulla venerata memoria del vescovo Bernareggi, suscitando molto pettegolezzo e divisione tra il clero bergamasco?

Lasciamo per intanto l’interrogativo ai nostri lettori con la promessa di ritornare successivamente sull’argomento.

“Andranno a cantare il Miserere a Ghiaie” sembra abbia detto il Beato Papa Giovanni XXIII. Tempo al tempo e, per un motivo o per un altro, ci andremo tutti!
Alberto Lombardoni


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QUEL LIBRO DEL CORTESI MI NAUSEA!
Testimonianza di don Italo Duci
(A cura di Alberto Lombardoni)

Don Italo Duci era curato della Parrocchia di Ghiaie di Bonate durante il periodo delle Apparizioni del maggio 1944. Divenne parroco alla morte di don Cesare Vitali. Morì nella casa di riposo di Scanzorosciate nel settembre 2003, proprio mentre a Ghiaie si festeggiava mons. Roberto Amadei in visita pastorale. Nel 2001, lo andai a trovare alla casa di riposo per chiedergli una testimonianza scritta da includere nel mio sito sulla Madonna delle Ghiaie. Mi disse: “Preghi per me perché non ho fatto abbastanza per salvare le Apparizioni del 1944. Non posso rilasciare nessuno scritto perché devo ubbidire al Vescovo che mi ha proibito di parlare di Ghiaie in questo posto.” Mentre uscivo dalla sua stanza mi richiamò e mi disse ad alta voce con le lacrime agli occhi: “Le dico che è vero, la Madonna è veramente apparsa allora!”
Consultando l’archivio privato di Mons. Bramini, difensore delle Apparizioni del 1944, ho trovato questa lettera molto significativa di don Italo Duci che riguarda don Luigi Cortesi e il suo libro “Il problema delle apparizioni di Ghiaie” contro i quali don Italo usa toni molti duri e critici.

Ritengo sia doveroso riportarlo a conclusione del lungo lavoro di redazione e commento al processo di Ghiaie. In fondo tanti la pensano allo stesso modo del curato don Italo Duci.


Ghiaie - 11 - 6 - 46

Rev.mo Monsignore,
dietro suo invito mi son deciso a stendere qualche osservazione personale sull’opera di D. Cortesi alle Ghiaie. Avrei tralasciato volentieri di far osservazioni su persone e specie su D. Cortesi, ma lo faccio per l’onore della Madonna e per il trionfo della verità. Per questo ciò che dirò in questa mia relazione non lo dirò per infamare, ma con l’intenzione unica di giovare alla causa del bene, e sempre salvando le intenzioni.

La prima cosa che non mi è piaciuta in D. Cortesi sin da principio è stato il modo di raccogliere testimonianze. Nulla in casa parrocchiale. Di suo arbitrio andava e veniva, interrogava Tizio, Caio senza la presenza di testimoni qualificati che potessero garantire e dar valore alle deposizioni. Notai come una stonatura ch’egli non poche volte andasse e venisse per il paese anche alla festa durante le S. Funzioni con poca edificazione dei fedeli, anche se per interrogarli.

Per le ragioni suesposte il lavoro di D. Cortesi lo considero un semplice studio personale. Per queste ragioni anche gli interrogatori intorno ad Adelaide temo manchino di forza per mancanza di controllo e di serietà. Solo lui difatti avea il monopolio della bambina. Per mancanza di testimoni anche le sue conclusioni intorno ad Adelaide si possono considerare un semplice studio personale. Come sacerdote poi dovea farsi rispettare di più, non usare certe confidenze, e non permettere che Adelaide ne usasse con lui.

Ma D. Cortesi dovea condurre a termine uno studio sulla psicologia della bambina e perciò lo si lasciò fare. E senza alcun protocollo giunse difatti al termine del suo studio con la pubblicazione del lussuoso volume: “Il problema delle apparizioni di Ghiaie”. Le conclusioni in esso dedotte mi sembrarono paradossali e tragiche da farmi passare alcune notti insonni.
A proposito di questo libro sul mio diario dell’8 ottobre 1945 trovo segnate queste osservazioni: “… È giunto il libro di D. Cortesi, libro che nega tutto. L’ho letto e sono stato male; son venuto a questa conclusione: o mi trovo innanzi ad un uomo ed allora devo credere alle sue conclusioni, oppure mi trovo di fronte ad un anormale, un pazzoide…”
“Nausea il contegno e la famigliarità con la bambina, nausea l’aria di dotto, di psicologo, di medico che vuol assumere. Nausea la cartella clinica ch’egli stesso stende di Adelaide circa la continenza. Nausea la prima parte ch’egli ha avuto di entusiasta esagerato per voler apparire critico profondo. Nausea la maniera naturalistica di spiegare tutto, conversioni, bene spirituale, fatti prodigiosi…” Si potrebbe aggiungere: nausea sino a far ribrezzo il fatto di baciare la bambina sui capelli quando gli dice che non ha visto la Madonna.

Anche secolari mostrarono il loro dissenso circa l’opera di D. Cortesi. Ha regalato due vestiti: uno al fratello di Maria e l’altro a Candido. Al dir di secolari abbondavano anche le sigarette. Lo scopo forse fu quello di riuscir meglio nei suoi interrogatori. In ultimo devo aggiungere che D. cortesi ha avuto da noi molte relazioni, documenti, certificati medici riguardanti il problema delle Ghiaie. Di tutto questo materiale noi non ne conserviamo copia. Sarebbe perciò desiderabile, ora che D. C. ha ultimato il suo mandato, che tale materiale tornasse all’archivio parrocchiale, perché potrebbe tornare utile per altre indagini. Sarebbe una stonatura che la parrocchia non conservasse copia degli atti che riguardano fatti sì importanti. Avevo mostrato questo mio parere sin da principio, che cioè la parrocchia fosse il centro di raccolta dei documenti, ma si è agito altrimenti…

Prima di ultimare questa mia relazione ci tengo a dichiarare che anche la cappella sorta qui e che venne poi chiamata rifugio è sorta contro la nostra volontà; in questa costruzione parte importante l’ebbe anche D. Cortesi.

Per il metodo usato su Adelaide, lo trovo contrario al buon senso, perciò i risultati da esso ottenuti lasciano molto dubitare.

Ecco le poche mie osservazioni. Le stesi non con l’intenzione d’infamare, ma per l’amor della verità, sicuri che tutto rimarrà segreto.
Con sensi di profonda stima mi dico di lei umilissimo servitore.
D. Italo Duci

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Il presente articolo è pubblicato integralmente sulla Rivista SENAPA - Anno X - Numero 2 – 2005
Edizioni Villadiseriane

Fonti:
- Fonti private e riservate.
- Curia di Lodi - Incartamento di Mons. Bramini.
- Curia di Bergamo - Incartamento del processo alle Apparizioni di Ghiaie di Bonate.
- Curia di Milano - Incartamento del Card. Schuster riferito ai Fatti di Ghiaie di Bonate
- Archivio privato di don Italo Duci.
- Archivio privato di don Cesare Vitali
- “Il problema delle apparizioni di Ghiaie” - Don Luigi Cortesi - SESA, 1945
- La Domenica del Popolo
- Rivista “Amici del Beato Papa Giovanni” - Anno 4 - n. 1 - gennaio / Febbraio 2005
- Tavola Rotonda su Ghiaie di Bonate - Radio Maria 30/11/2004
- Diario di mons. Patelli
- Archivio di Stato
- Rivista “Senapa” - Edizioni Villadiseriane
- Biblioteca Angelo Maj di Bergamo
- Codice di Diritto canonico

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Allegato   Data inserimento:  10/06/1947