Autore:  D. Argentieri Data documento:  11/04/2006
Titolo:  Il cupo genio del male

 Riportiamo alcune pagine interessantissime del libro verità "LA FONTE SIGILLATA" di Domenico Argentieri, pubblicato nel 1955, ed. V. Scalera, che la Curia di Bergamo di quel tempo si affrettò a far mettere all'indice e a vietarne la lettura, come fece anche per il libro verità di Achille Ballini "Una fosca congiura contro la storia" del 1954.

Dopo l'analisi approfondita del testo integrale, molti elementi, citazioni e riferimenti minuziosi fanno pensare seriamente che dietro il nome di Domenico Argentieri, si celasse invece il difensore delle Apparizioni di Ghiaie di Bonate, Mons. Angelo Bramini.
Infatti, nell'incartamento di Mons. Angelo Bramini, abbiamo trovato molti elementi e riferimenti che avvalorano questa tesi.

Ecco quanto scrisse Domenico Argentieri al capitolo IV, intitolato "Il cupo genio del male", pag. 28 ÷ 39.

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Fonti:
- La Fonte Sigillata - autore Domenico Argentieri - 1955, ed. V. Scalera,
- Archivio Mons. Angelo Bramini, Curia di Lodi.
- Archivi privati.

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IL CUPO GENIO DEL MALE

Don Chisciotte, Don Ferrante, Don Cortesi: di questi tre personaggi conosciamo le biblioteche e i libri preferiti.

Il capitolo sesto del capolavoro del Cervantes è intitolato: "Curioso inventario generale che il Curato e il barbiere fecero nella libreria del nostro ingegnoso gentiluomo".

Alla fine del capitolo precedente, la governante di Don Chisciotte, allarmata per le stramberie del suo padrone, andava imprecando: "Maledetti, cento volte maledetti quei libracci che l'hanno ridotto in questo stato!"

Nel capitolo XXVII de "I Promessi Sposi" leggiamo: "Don Ferrante passava di quand'ore nel suo studio, dove aveva una raccolta di libri considerabile, poco meno di trecento volumi: tutta roba scelta, tutte opere delle più reputate, in varie materie: in ognuna delle quali era più o meno versato. Nell'astrologia era tenuto, e con ragione, per più che un dilettante; perché non ne possedeva soltanto quelle nozioni generiche, e queI vocabolario comune, d'influssi, d'aspetti, di congiunzioni; ma sapeva parlare a proposito, e come dalla cattedra, delle sue dodici case del cielo, de' circoli massimi, de' gradi lucidi e tenebrosi, d'esaltazione e di desezione, di transiti e di rivoluzioni...".

L'astrologia libresca lo guidò fino alla sua morte immatura: persuaso che la peste derivasse da influssi di Giove e di Saturno non prese nessuna precauzione per difendersene, e per ciò morì prendendosela con le stelle, come gli eroi del Metastasio.

La biblioteca di Don Cortesi è molto ricca, perché concerne tutto lo scibile e qualche cosa di più. Ma a noi interessa in modo particolare conoscere i titoli dei libri che più frequentemente consultava nel periodo delle apparizioni di Bonate e subito dopo.

In quell'epoca, sulla sua scrivania, facevano bella mostra di sé i seguenti volumi.
Anzitutto, il "Manuale di psichiatria" di Giulio Moglie, pubblicato nel 1940 in
Roma dall'Editore Luigi Pozzi.
"Questo è il testo dei nostri Studenti" asseriva Don Cortesi, come se egli fosse un docente di psichiatria e si vedesse davanti i suoi studenti.
A pag. 91 aveva collocato un segnalibro.

Poi venivano due libri un po' più antichi, ma già classici:
Il trattato "Neuropsichiatria infantile" di S. De Santis pubblicato in Roma nel
1925 dalla Casa Editrice Alberto Stoch; Il trattato "Guida pratica alla Semeiotica neuropsichiatrica della età evolutiva" pubblicato in Roma nel 1934 dall'Editore Giovanni Bardi.

E le parola "infantile" e "età evolutiva" egli le associava sempre a quella
bambina che si chiamava Adelaide Roncalli.

Sfogliando - nocturna diurnaque manu - quei libroni, egli imparò un mucchio di "parole" e credette di avere imparato una "scienza" come quel discepolo che fu a scuola di Mefistofele, di cui si parla nella prima parte del Faust di Goethe:

"Mefistofele - In generale, figliuolo mio, tenetevi alle parole e senza alcun fallo entrerete per la porta maestra nel santuario della certezza".
"Scolaro: - Nondimeno, nelle parole dovrebbe trovarsi qualche concetto, per quanto io mi so".

"Mefistofele: - S'intende! Ma non bisogna troppo angustiarsene: perché appunto dove manca il concetto, le parole tornano bellamente a proposito. Per via di parole si disputa alla distesa, e una parola non patisce che le venga tolto un jota".

Così fu che per via di parole Don Cortesi seppe disputare alla distesa sulle apparizioni di Bonate, tanto alla distesa, che in breve tempo poté pubblicare "alla macchia" ben tre volumi sull'appassionante argomento.

Per far stampare questi tre volumi Don Cortesi non dubitò di prelevare ottantamila lire dalle elemosine lasciate dai fedeli sul luogo delle apparizioni perché si costruisse un Santuario, si celebrassero Messe, si accendessero perennemente candele, ecc. Il prelevamento di quella imponente somma (che oggi - nel 1955 - supera 4 milioni) per devolverla a scopi nettamente contrari alle intenzioni degli oblatori, impone l'obbligo della restituzione. Non so se qualcuno abbia autorizzato Don Cortesi a fare quel prelevamento. Questa autorizzazione non cancellerebbe l'obbligo della restituzione, ma soltanto lo sposterebbe.

Una cosa è certa: due membri della ristretta commissione laica costituitasi con l'approvazione del Vescovo per il mantenimento dell'ordine pubblico e per la raccolta delle oblazioni, cioè il Sig. Verri e il Sig. Gerosa, sentirono il bisogno di dimettersi, proprio per i continui prelevamenti di somme, fatti da Don Cortesi, prelevamenti di cui non rendeva mai conto.

Ecco i titoli dei tre volumi del Cortesi:
1) "Storia dei fatti di Ghiaie";
2) "Le visioni della piccola Adelaide Roncalli";
3) "Il problema delle apparizioni di Ghiaie".

Qui è necessario domandarsi: Don Cortesi, scrivendo quei volumi, era in buona o in mala fede?

A questo interrogativo può rispondere il lettore solo che consideri le parole scritte dal Cortesi al Padre Gemelli:
"... sospesi il giudizio su di essa (normalità dell'Adelaide) e la trascurai come cosa oscura, sterile; dispostissimo a negarla, qualora non si potesse conciliarla con una spiegazione naturale delle visioni".

Dunque il Cortesi, già prima di fare ogni indagine, era convinto che le visioni di Ghiaie dovevano avere un'origine puramente naturale!
Questo pregiudizio assiomatico, non solo esclude l'obbiettività ma esclude anche la buona fede.
Dirò di più: esclude anche la fede!

Infatti, poiché la spiegazione naturale è per lui una premessa ad ogni e qualsiasi indagine, questa premessa assiomatica vale non solo per Bonate, ma per tutte le manifestazioni soprannaturali in ogni tempo e in ogni parte del mondo.

Ho saputo a Bergamo e mi è stato confermato a Bonate che il Cortesi dichiarò pubblicamente che le apparizioni di Fatima non sono autentiche e quelle di Lourdes non le aveva ancora studiate...
Si metteva, cioè, contro l'autorevole giudizio della Chiesa per Fatima, ed era dispostissimo a mettersi contro il giudizio della Chiesa per Lourdes.

Ed è a quest'uomo che il Vescovo di Bergamo aveva affidato l'insegnamento della filosofia nel suo Seminario!

La commissione di inchiesta per i fatti di Banneux rendeva all'Abate Jamin questa bella testimonianza: "Il n'est certes pas crédul, mais il est sympathique au surnaturel".

Invece, il soprannaturale è antipatico al Cortesi, che è sicuro che nelle pretese apparizioni della Madonna si può sempre trovare una spiegazione naturale.

Il Vescovo di Liegi, Mons. Kerkhofs, scrive:
"M. L'Abbé Jamin, dès les premiers jours, est resté en contact étroit et constant avec son Evêque. Il n'entreprit quoi que ce soit sans son conseil et sans son approbation".

Quanto diversa, invece, la condotta del Cortesi!
Dalle pagine 130 e 131 "in nota" del primo volume, il Cortesi stesso afferma di avere partecipato intimamente ai fatti di Ghiaie "senza un incarico speciale" e confessa di violare per ciò "un espresso divieto generale del Vescovo", e afferma anche che "quei lunghi contatti con la bambina erano lunghi furti quotidiani".

Il Cortesi scrive anche, dopo un'udienza dal Vescovo il giorno 27 Maggio 1944: "Alla fine del rapido colloquio S. E. mi rimprovera di avere accostato la bambina in convento senza quel permesso che io esigevo dagli altri. Non c'è che dire: debbo incassare in silenzio. Per fortuna il Vescovo non me ne vuol troppo male".

Conosciamo il carattere ondeggiante del Vescovo, e per ciò non dobbiamo meravigliarci se in quello stesso giorno, subito dopo il rimprovero, il Vescovo lo incaricò di presenziare l'apparizione del 28 Maggio.

Nel diario del Vescovo affidato alla Commissione d'inchiesta trovasi annotato
in data 29 Maggio 1944:
"Dò istruzioni a Don Cortesi che non si faccia vedere come un direttore dei
movimenti, per togliere pretesto all'osservazione fatta da qualche confratello che,
ora che si è cercato di togliere la bambina alla suggestione dei famigliari, sono i sacerdoti che sembrano suggestionarla".

Quelle istruzioni non furono ascoltate da Don Cortesi che apparve invece come un vero "direttore dei movimenti" fino al punto di filmare con un apparecchio di presa cinematografica le scene delle apparizioni.

Ma la più grave "usurpazione" di Don Cortesi fu proprio quella vietata a tutti nel n. 5 del decreto vescovile 14 Giugno 1944:
"Nessun Sacerdote o laico, qualunque sia l'autorità sua o l'incarico che dicesse avere, è autorizzato a fare inchieste o indagini se non con licenza scritta dell'Ordinario di questa Diocesi e in relazione con gli organi di inchiesta già debitamente costituiti".

Qui il Vescovo dimenticava che in realtà non aveva ancora costituito quegli "organi di inchiesta" che dava già per costituiti; solo quattro mesi più tardi, il 28 Ottobre, Egli costituiva la Commissione d'inchiesta. Ne si può pensare che potesse alludere alla piccola commissione di laici da lui approvata per il mantenimento dell'ordine e per la raccolta delle oblazioni. Quell'accenno agli "organi d'inchiesta già debitamente costituiti" mentre non lo erano fu dunque una... distrazione del Vescovo.

Ma non per questo il Cortesi aveva il diritto di violare quel decreto.

"Restava a fare - scrive il Cortesi - lo studio del contenuto e della storia delle visioni. Aspettai che alcuno fosse deputato a così fatto lavoro fondamentale, massacrante. Ma non si poteva aspettare a lungo, giacché, allontanandosi dai fatti, la memoria di Adelaide e dei testimoni si sarebbe irrimediabilmente oscurata. Allora, per la confidenza e la consuetudine che aveva con me la piccina, per le amicizie che avevo contratto alle Ghiaie, per l'ampia esperienza personale che avevo dei fatti, mi credetti in grado di assumermi quel lavoro".

Dunque il Cortesi ammette che si assunse arbitrariamente l'incarico delle indagini sulle apparizioni di Bonate senza averne prima ottenuto il necessario mandato dalla suprema autorità diocesana; anzi, aggiungiamo noi, contro l'espresso divieto del Vescovo.

Tanta premurosa invadenza si spiega facilmente ricordando le parole già citate della lettera del Cortesi al Gemelli. Il Cortesi voleva far presto, e voleva fare da solo, per evitare il pericolo che altri indagatori potessero riconoscere il carattere soprannaturale delle visioni, cui egli attribuiva una spiegazione naturale.

La testimonianza di un solo uomo non è mai accettabile, e tutte le legislazioni richiedono almeno due testimoni. Perfino Gesù, parlando di se stesso, non dubitò di dire: "Si Ego testimoniuni perhibeo de meipso, testimonium meum non est verum (Giovanni, V, 31)". Testis unus, testis nullus!

Il Cortesi, volendo indagare da solo, per i suoi reconditi fini, escludendo l'assistenza di testi qualificati, senza saperlo, toglieva a quei suoi tre volumi ogni garanzia di veridicità.

Il Cortesi non dubitò di pagare alcuni testimoni con regali vistosi (vestiti) o rarissimi in quell'epoca (sigarette): ciò fu affermato dal Sig. Francesco verri davanti alla Commissione d'inchiesta.

Rifuggì sempre dal Clero locale; e preferiva fare le sue inchieste presso ragazzi e donnicciuole nei giorni festivi, quando il clero era occupato in Chiesa.
D'altra parte il clero lo ripagava con la stessa misura: taluni Sacerdoti ebbero a dichiarare di non aver mai voluto consegnare appunti scritti nelle mani del Cortesi, che non ispirava alcuna fiducia.

Durante tutto il periodo delle sue arbitrarie inchieste, Don Cortesi "pargoleggiando" con la bambina, riuscì a farla affezionare pazzamente. E' noto che tutti quei bambini, i quali nel seno di una numerosa famiglia non ricevono carezze e moine da genitori troppo occupati nel lavoro, tendono a innamorarsi del primo venuto che li accarezzi e li baci, mostrando per loro attenzione e preferenza. Nei collegi abbondano i casi di "amor platonico" ampiamente descritti dal Mantegazza nel suo libro "estasi umane". Per questo S. Giovanni Bosco vietò a tutti gli educatori di toccare i bambini.

Davanti alla Commissioni d'Inchiesta, la Dottoressa Maggi così depose:
"Non ho più chiesto di veder la bambina perché avevo l'impressione che subisse l'influenza di Don Cortesi. Ricordo che l'ho sgridata per la troppa confidenza con Don Cortesi. E pensavo che divenuta grande questa libertà le avrebbe potuto nuocere".

Non sempre le sue relazioni con la bambina furono innocenti. Egli stesso, a pag. 23 del terzo volume, parla di esperimenti delicati cui voleva sottoporla, ma che gli furono sconsigliati come disonesti.
La bambina arrivò al punto da desiderare che Cortesi fosse il suo vero padre, e una volta lo invitò a dormire con lei nel suo lettino. Naturalmente, nell'invito della bambina, non v'era ombra di sensualità data la sua tenera età.

Non dobbiamo perciò meravigliarci se, per far piacere all'oggetto del suo amore, la bambina giunse al punto di scrivere sotto dettatura la famosa ritrattazione, di cui abbiamo ampiamente parlato nel capitolo precedente.
L'onesto Cortesi aveva circondato di tante moine l'ignara bambina solo per condurla a poco a poco alle negazioni delle visioni.

Honest lago!

Poiché una tale negazione sarebbe a tutti parsa incredibile in una bambina normale, Don Cortesi sfogliò i suoi tre famosi volumoni di psichiatria, che gli abbiamo visto sulla scrivania, e non dubitò di dichiarare che la bambina era "ai confini della patologia" cioè quasi pazza: per rendere credibile una negazione incredibile egli portava un argomento più incredibile ancora!

Tutti coloro che hanno conosciuta e vista crescere la bambina Roncalli la giudicano così: Mens sana in corpore sano. Deve perciò ritenersi superfluo l'intervento delle perizie psichiatriche volute dall'Autorità Diocesana, per quella mania, che gli uomini non usi alla scienza hanno, di chiamare in causa la scienza, anche là dove basta il buon senso e la semplice osservazione. Fu perciò chiamato Padre Gemelli, il quale, recatosi a fare una breve visita alla bambina, pensò - e fu meglio di inviare la Dott. Agata Sidlauskaitè per parecchi giorni ad esaminare la piccola. Conclusione: normalità perfetta.

Il Gemelli, inviando al Vescovo di Bergamo la relazione della Sidlauskaitè, la accompagnò con una sua propria relazione riassuntiva e conclusiva, in data 10 Luglio 1944, dove tra l'altro è detto:
" Innanzitutto, e da un punto di vista generale, l'Adelaide Roncalli è un soggetto normale, con note caratteristiche, che si possono sintetizzare così: carattere positivo e pratico; bontà d'animo; questi elementi fanno ritenere che, con una adeguata educazione ed istruzione, la Roncalli potrà dare buoni frutti.

Nel modo più assoluto si può affermare che a spiegare gli avvenimenti di Bonate non può da alcuno trarsi in causa anche un grado limitato di una ipotetica deficienza mentale della bambina; sia che si affermi che la deficienza mentale dia ragione di un'ipotetica azione suggestiva operata da persone o da cose, sia che si affermi che la bambina, perché incapace di un sufficiente grado di critica, abbia ceduto di fronte a qualche cosa che dal mondo, nel quale viveva, le è stato comunicato sotto qualsiasi forma (ad esempio, il racconto o la rappresentazione grafica di altre apparizioni). Viene ricordato che la bambina ha assistito ad una rappresentazione scenica delle apparizioni della Madonna di Fatima; però la rappresentazione scenica non ha esercitato sull'animo della bambina alcun effetto di carattere suggestivo tanto che essa criticamente e liberamente giudica le persone che parteciparono a tale rappresentazione, rilevando incongruenze e insufficienze, specialmente in confronto con le visioni che essa afferma di avere avuto.
E' da escludersi che si tratti di soggetto anormale in cui la menzogna dia ragione del racconto delle visioni avute. L'osservazione prolungata di quattro giorni avrebbe permesso, specialmente mediante i testi mentali, di mettere in luce una tale personalità nel quadro della quale sarebbe in modo evidente e pronto apparso il desiderio d'ingannare, o di presentare in maniera diversa dalla realtà la propria personalità. Lo si può escludere nel modo più assoluto, anche perché la bimba non ritorna mai spontaneamente sul racconto delle visioni; interrogata, abbassa la testa, si fa seria, tace; inoltre tutta la personalità si presenta allo psichiatra, come una personalità dominata dalla spontaneità, dalla semplicità, dalla immediatezza, ossia da caratteri che non possono essere imitati da una bambina.
E' pure da escludere una spiegazione fondata su una particolare ricchezza rappresentativa e sulla anormale fecondità di una fantasia creatrice.
Come ho più volte ricordato, il profilo psicologico della fanciulla dimostra su questo punto, se mai, piuttosto deficienza in confronto di altre funzioni psichiche Certamente la fantasia, l'immaginazione nell'Adelaide Roncalli non oltrepassano i limiti normali; anzi la vita rappresentativa non presenta quel carattere fantastico che ha nei fanciulli. Qualora non vi fossero altri argomenti, e ve ne sono numerosi, basterebbe a dimostrarlo l'inconfondibile carattere dei giuochi amati e preferiti dall'Adelaide Roncalli, con animo positivo, giuochi di movimento, eseguiti collettivamente.
Un'altra ipotesi può essere scartata e cioè che si tratti di un soggetto isterico. Lasciando da un canto ogni discussione sulla natura di questa forma morbosa, è però certo che l'isterica si rivela sopratutto con la creazione fantastica di un mondo irreale e la personalità si rileva specialmente mediante il desiderio di comparire, di essere apprezzata, lodata, ecc. Tutto questo si può escludere nel modo più assoluto nell'Adelaide Roncalli. Siamo di fronte a un tipo precocemente positivo, realistico, sintetico, ossia ciò che vi è di più opposto al tipo isterico".

Queste sono le conclusioni che il Padre Gemelli dovette necessariamente tirare dalle lunghe e pazienti osservazioni della Sidlauskaitè.
La più elementare prudenza avrebbe consigliato di riservare per la Commissione d'inchiesta, quando fosse nominata, la relazione Gemelli-SidIauskaitè. Ma il Vescovo di Bergamo si affrettò a consegnarla nelle mani di Don Cortesi, cioè di quello stesso, che non fu ritenuto idoneo a far parte della Commissione stessa.

Il Cortesi pubblicò nel suo terzo volume tutta intera la relazione Gemelli-Sidlauskaitè, ma a pag. 111 e seguenti tentò di distruggerne le conclusioni, facendo appello a quella posticcia scienza psichiatrica che aveva appiccicato nella sua mente, o meglio, nella sua memoria, dopo l'assidua lettura dei tre grossi tomi che aveva a portata di mano sulla sua scrivania.

La pubblicazione del terzo libro del Cortesi indusse il Padre Gemelli e la Dottoressa Sidlauskaitè a scrivere al Cortesi, ciascuno per proprio conto, in data 22 Novembre 1945, facendogli rilevare tutti gli errori e le incongruenze contenute in quel libro.
Il Cortesi rispose ad entrambi in data 25 Gennaio 1946, cioè dopo più di un mese, tempo strettamente necessario a raccogliere sulla carta una torrenziale logorrea, che sfociava nell'alterco.

Dalla risposta del Cortesi al Gemelli apprendiamo un particolare ripugnante:
"I miei rapporti con Adelaide furono abitualmente più familiari... Particolarmente intimi ed affettuosi li resi quando mi si impose l'ipotesi della menzogna".

Anche Jago rese particolarmente intimi ed affettuosi i suoi rapporti con Otello,quando gli maturò nella mente il terribile progetto di farlo diventare assassino!

La lettera termina con un gesto tragicomico:
"Dinanzi a travisamenti così inattesi della mia opera, un malinconico disdegno mi fa cadere la penna dalle mani. A che pro continuare la discussione? Mi parrebbe di recitare Omero a un albero di pin".

Ma dunque Don Cortesi conosce anche Omero?

0 quanta species!

Nella lettera del Cortesi alla Sidlauskaitè, se si eccetui una bestemmia - "E' colpa della Madonna, la quale doveva darci il preavviso e mi sarei trovato sul posto cinque minuti prima che scoppiasse il fenomeno" - tutto il resto è letteratura melliflua e melodrammatica:
"AI tempo, Agata. Non affermare, non negare, non oracoleggiare non parlare all'orecchio, non sfilacciarmi parole grosse, neanche in tedesco, non accusare nessuno, non dare consigli a nessuno... Basta, Agata, non ne posso più... Conduco la penna sulla carta, ma me la ficcherei nel cuore... Ond'è che la mia risposta è fiacca, malinconica. Non volermene male. Agata, non credere che io ti disprezzi...".

Nessun commento da parte mia, perché non sono un alienista.

S'impone però una riflessione: i melliflui discorsi del Cortesi, così caldi e travolgenti, con quella penna conficcata nel cuore, se poterono lasciare indifferente una dottoressa usa alla critica, quale incantamento non dovevano esercitare all'orecchio della piccola Adelaide! La dolce fiumana logorraica del giovane prete esercitava su di lei lo stesso fascino incantatore che il flauto degli indiani esercita sui serpenti...
E la bambina, presa nelle spire di quell'incantatore, finì per accontentar!o, finì per scrivere quello che le veniva dettato...
Solo dopo che il flauto incantatore fu allontanato, la bambina si riebbe, rabbrividì e accusò ...

San Pietro negò tre volte di avere conosciuto Gesù, per il timore di finire in prigione: nessuna meraviglia se una bambina nega le sue visioni, quando quella negazione può liberarla dalla prigionia delle Orsoline.

Dalle pagine 209 e seguenti del terzo volume del Cortesi apprendiamo che Adelaide scivolò nella prima negazione già nei primi istanti della sua prigionia, appena si distaccò piangendo dai familiari.

"Adelaide, insisti troppo... tu desideri andare a casa... Capisco: tutti i bambini desiderano essere al proprio paese, nella propria famiglia. Ma tu... tu devi educarti bene, devi fare le scuole, perché vuoi diventare suora, no?".

"Sì, ma potrei fare le scuole alle Ghiaie, e poi quando sarò grande andrò suora".

"Ma dove me le trovi le scuole medie alle Ghiaie?... Poiché devi diventare buona... per essere una buona suora... ".

Qui Adelaide si curva, si aggiusta le calze, le belle pantofoline: insomma, vuole nascondere il suo pianto silenzioso.

Don Cortesi le solleva il viso, le accarezza i capelli.

"Perché piangi?... suvvia, non devi piangere... Noi ti teniamo qui perché vuoi farti suora, suora Orsolina. L'hai detto tante volte".
Qui la bambina esplode:
"No, adesso non mi piace più".

Così finì per dire che la Madonna non le aveva detto di farsi suora.

E Don Cortesi premiò questa prima parziale negazione baciando sui capelli la disgraziata fanciulla. E poi osa dire di non aver mai baciato l'Adelaide!

A questa prima negazione (4 Febbraio 1945) ne seguirono altre (11 maggio, 20 Maggio, 26 Maggio, 31 Luglio, 13 Agosto 1945) tutte dominate dalla nostalgia della casa e tutte insinuate dalle domande del Cortesi, fino alla dichiarazione sotto dettatura del 15 Settembre, di cui abbiamo parlato nel precedente capitolo.

Chi da queste negazioni, così abilmente estorte, volesse dedurre che Adelaide non vide la Madonna commetterebbe lo stesso grossolano errore di chi, basandosi sulla triplice negazione di San Pietro, volesse sostenere che Simone figlio di Giona effettivamente non aveva mai conosciuto Gesù.
Quelle negazioni per qualsiasi tribunale civile non avrebbero alcun valore. Ma per le Autorità Diocesane di Bergamo ebbero un valore enorme, al punto da far sospendere ogni ulteriore indagine, ritenendo ormai chiusa in senso negativo tutta la questione delle apparizioni di Bonate. Non poteva essere altrimenti - dopo l'offesa fatta alla Madonna, invitandola a ritirarsi da quei paraggi, la Vergine Madre ti ritirò, e ritirò le sue grazie, lasciando gli uomini responsabili in balia delle sole loro deboli forze, in balia del Maligno!

Scrive il Cortesi a pagina 230 del terzo volume,
"Tutto è finito... Nelle cosidette apparizioni di Ghiaie non consta il carattere soprannaturale, anzi consta il carattere naturale: esse sono una creazione pseudologica fantastica della bambina A. R., esse si riducono totalmente senza residui, a menzogna consapevole".

E conclude :
"La povera bimba fu tradita dal cupo genio del male".

Ma noi sappiamo ormai chi è questo "cupo genio del male" che da se stesso si è dato questo nome mefistofelico.

Tra gli Atti della Commissione d'inchiesta c'è il Diario dì Don Italo Duci, dove leggo in data 9 agosto 1946:
"Il Parroco oggi mi racconta che ieri Mons. Verzeroli ebbe a dire che se Don Cortesi rimane professore di filosofia rovina la Diocesi. Questo Monsignore deve
aver constatato che gli ultimi chierici giunti a Roma (e che hanno avuto Don Cortesi professore) in filosofia non sarebbero ben preparati. Credo anche abbia detto che siano imbevuti troppo di Cartesio".

In data 30 ottobre 1946:
"Lunedì ho sentito la notizia che Don Cortesi per ragioni economiche ha rinunciato alla cattedra di filosofia in Seminario. La notizia ha destato un po' meraviglia e da molti si pensa addirittura sia per la questione delle Ghiaie".

In data 26 marzo 1946:
"Oggi dopo quasi due mesi fu dal Parroco Don Cortesi. Disse al Parroco di non illudersi che la cosa abbia esito favorevole... Chiese inoltre al Parroco di condurre i suoi esploratori nel parco antistante alla cappella per delle esercitazioni. Il Parroco rimase perplesso credendo non conveniente tale cosa...".

Io francamente non riesco a capire che cosa rimanga da esplorare in Italia dopo che l'Istituto Geografico Militare ha terminato la Grande Carta Topografica d'Italia al centomila.,.

Ma quegli esploratori sono semplicemente l'indizio di un ritorno all'americanismo: chi ha in uggia il soprannaturale si volge volentieri al naturismo.

Alcuni dei miei lettori ricorderanno quanto dovette lottare Leone XIII per estirpare quell'americanismo che tendeva a far prevalere le "virtù attive" sulle "virtù passive", in altre parole l'attività di Marta sulla contemplazione di Maria. Quel grande Papa fece mettere all'indice la "Vita del Padre Hecker" fondatore dei Paulisti e in una lettera al Cardinale Gibbons condannò esplicitamente questo scivolamento verso il natarismo.

Oggi purtroppo l'idra naturista fa rinascere i suoi tentacoli in seno all'Azione Cattolica e perfino in certe Congregazioni Mariane, dove il concetto di Apostolato è travisato in senso americanista e naturista, nel senso del Padre Hecker: è un pericolo contro il quale bisogna difendersi.

In questa bella Italia, ormai esplorata palmo a palmo, pullulano innumeri schiere di esploratori guidati da innumeri Don Cortesi, e non si vede sorgere nessun nuovo San Francesco che venga a salvarci dal rinascente pericolo.

Sarà ancora l'eroismo delle "virtù passive" che ci salverà dai pericoli delle ostentate "virtù attive".

Ritornando al prete esploratore, sentiamo da lui stesso che cosa esplorava tra la folla dei pellegrini. Ecco: "seni femminili scoperti dalla pressione tangenziale (Storia dei fatti di Ghiaie, pag. 100)". E ancora: "Mi ricordo che per togliermi da un groviglio dovetti far leva colla mano sul petto di una ragazza: il grido che la poveretta emise mi turbina ancora nel cervello (ibidem, pag. 182).

E chiudiamo con una risata.
"Un tale caricò lo schioppo coi noccioli di ciliegia. Passa un lupo: spara, pumf! Ma il lupo ha preso appena un nocciolo nella schiena e scappa via. Un anno dopo ritorna ancora quel lupo. Indovina che cosa aveva sulla schiena. Indovina. Una pianta di ciliegia, colle ciliege mature (ibidem, pag. 156).
Con queste panzane Don Cortesi credeva di erudire e di educare la piccola Adelaide!
...

Domenico Argentieri

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Allegato   Data inserimento:  11/04/2006