Autore:  Suor M. Brunato Data documento:  06/07/1947
Titolo:  La guarigione di Suor Maria Brunato

 RELAZIONE DI SUOR MARIA BRUNATO DA S. GIORGIO DI NOGARO (PROV. UD) GUARITA PER INTERCESSIONE DELLA MADONNA DELLE GHIAIE

La sottoscritta MARIA BRUNATO di Antonio e di Targato Erminia, nata il I° Aprile 1926 a S. Giorgio di Nogaro (Udine), domiciliata nella stessa borgata Via Migliotti n. 156, ora residente a Bergamo presso le Suore di Carità di Via 5. Bernardino n.32, dichiara:

Nella primavera del 1937 cominciai ad avvertire dolori nella regione lombare della colonna vertebrale: i miei genitori mi fecero visitare all'ospedale civile di Udine dal Prof. Pieri il quale mi fece fare l'ingessatura che tenni dall'Aprile al 23 Settembre dello stesso anno 1937, dopo di che mi fu tolta, avendomi trovata bene. Negli anni seguenti feci sempre la cura marina. Nel 1938 venni operata da appendicite con felice esito. Nella primavera del 1939 ripresero i dolori alla colonna vertebrale nella regione lombo-sacrale. Fui ripetutamente visitata ed esaminata ai raggi, ma non mi vennero trovate lesioni sebbene i dolori fossero insistenti e quasi senza intervallo.
Nel 1944, il Dott. Lembo Vittorio, trovandomi affetta da spondilite-dorso-lombare mi fece applicare un busto intero che dovevo portare per diciotto mesi, con un intervallo di quattro mesi. Nel mese di Maggio feci un controllo all’ospedale di Palmanova e la radioterapia mise in evidenza una lieve scoliosi destro concava con alterazioni dei corpi dischi (così mi sembra fosse la diagnosi).
Venni ingessata, ma i dolori aumentarono sempre e le condizioni generali andavano peggiorando. Non trovando ristoro neppure a letto, ero costretta a rimanere quasi sempre sulla sdraio. Anche durante la notte dovevo essere riposta dalla premura delle mie sorelle; almeno per qualche ora, sulla sdraio. A camminare non riuscivo se non per qualche minuto e con tanta fatica che andavo tutta in un sudore. Ai miei soliti dolori si aggiungevano spesso, già da qualche anno altri attacchi di intercolite che mi cagionavano una nausea invincibile cosicché, specialmente dopo l'ingessatura, non potevo nutrirmi se non di cose liquide che digerivo a stento. Ero ridotta ad una tale debolezza unita ad affanno di respiro, da non riuscire neppure a parlare. Rimaneva ormai ben poco da sperare per me, e i miei cari, non sapendo più a quale rimedio ricorrere, si rivolsero con tutta la loro fede alla Madonna. Proprio in quel tempo giunse anche a S. GIORGIO l'eco dei fatti di BONATE.

Il M. Rev.do Don Oreste Rosso, cappellano a Nogaro, vedendo che in paese vi era dell'entusiasmo e che già si parlava di portare a Bonate qualche ammalato, volle prima recarsi egli stesso sul luogo per vedere quanto ci fosse di vero circa le grazie prodigiose che si diceva venir compiute dalla Madonna a sollievo degli infermi.
Quando fu di ritorno il Rev.do incoraggiò i fiduciosi di ottenere la guarigione, a partire immediatamente prima che venissero sospesi i treni per le continue incursioni aeree. Altre persone che si erano pure recate a Bonate, ne parlavano con ammirazione, raccontando di aver visto guarigioni prodigiose. Fu così che anch'io mi decisi per la partenza con la mamma ed altre diciannove persone.
In famiglia ci eravamo preparati a quel viaggio straordinario con una fervorosa novena, accompagnata da tanti piccoli sacrifici. In tutte le mattine mi sforzavo di portarmi fino alla chiesa, fortuna, vicinissima per assistere alla S. Messa e fare la S. Comunione. Ricordo che la mia cara mamma in quei giorni non assaggiava quasi il cibo, accontentandosi di un pezzo di pane con un po' d'acqua; anche le mie sorelle univano al digiuno la penosa mortificazione di non bere affatto durante i faticosi lavori della campagna, malgrado i solleoni della stagione estiva....
La partenza venne decisa per il 6 luglio. Si prevedeva il viaggio pieno di pericoli per i continui bombardamenti sulle linee ferroviarie. Difatti in quello stesso 6 luglio, venne bombardata La tisana, grossa borgata a 18 km. circa da S. Giorgio, ed il suo ponte ferroviario. Non per questo desistemmo dal nostro proposito. Della nostra comitiva di 21 persone sei erano ammalate.
1) Un ragazzo di 19 anni, Barattin Silvano, paralizzato, portato a spalle dalla sorella la cui fede la faceva camminare scalza anche sulle macerie per ottenere la sospirata guarigione del fratello, come difatti avvenne, se non interamente, in buona parte.
2) Un altro ragazzo, Pantanali Silvano, pure diciannovenne, sordomuto dalla nascita.
3) Una giovane di 22 anni, Pitta Nonna, paralizzata a una gamba.
4) Una bambina di 7 anni, (di cui non ricordo il nome), pure paralizzata a una gamba. Dopo una ricerca ho saputo che si chiama Fiorin Nives.
5) La zia di questa, Nali Nella, sorda per otite doppia difficilmente operabile è guarita a Bonate da un orecchio e dall'altro per operazione la cui riuscita fu attribuita alla particolare intercessione di Maria.
6) Io, ammalata di spondilite.

Oltre a questi, una buona signora, di cui non ricordo il nome,
si unì a noi per ottenere una grazia particolare e a Bonate fu esaudita.
Gli altri 14 erano parenti ed amici di noi ammalati o devoti della Madonna. Alle 3 del pomeriggio di quel giorno, 6 luglio, ero con gli altri alla stazione. Come avevo percorso la strada? Io, che mi reggevo a stento solo per pochi passi? Era stato richiesto il permesso per farmi trasportare in macchina, ma non avendolo ottenuto, sostenuta da una grande fede, decisi di andarvi a piedi. La Madonna già cominciava a farmi sentire la potenza della sua mediazione, infatti dal momento in cui mi misi in cammino mi sentii abbastanza in forza, quantunque non cessassero i dolori.
Giunti alla stazione ci venne detto che il treno non sarebbe partito se non due ore dopo per il disastro avvenuto a Latisana. Ritornai a casa per tornare alla stazione, sempre a piedi, verso le ore 7 pomeridiane; poco dopo partimmo. Percorso il tratto che ci separava da Latisana, dovemmo scendere dal treno perché il ponte era stato danneggiato.
Con pacchi, valige e fagotti, tutti i viaggiatori dovettero attraversare la cittadina a piedi, camminando sopra le macerie per raggiungere il tratto di strada ferrata illesa, dopo potemmo salire sul treno. Camminando sui calcinacci per le vie di S. Michele, l'ammalato Pantanali Silvano, cadde da un'altezza di quasi due metri; grazie alla Vergine ebbe solo una piccola ammaccatura. Anch'io percorsi il mio tratto di strada a piedi, senza troppo disagio, anzi aiutai pure a portare la valigia.
La mamma mi guardava trasognata, non sapendo credere ai propri occhi. La Madonna cominciava dunque a realizzare le sue speranze? Risaliti in treno cominciammo a pregare; il signor Fogagnolo, che dirigeva il nostro piccolo pellegrinaggio, mi invitò a intonare il Rosario.
Io che, prima, per la debolezza e l'affanno di respiro non resistevo a dire dieci Ave Maria di seguito, mi feci coraggio e cominciai la preghiera del Rosario. Sembrava che quanto più pregavo, tanto più mi venisse la voce, il respiro e la forza. Alle preci si alternavano i canti e le lodi di Maria, e così percorremmo tutto il tragitto di strada fino a Venezia dove rimanemmo tutta la notte in attesa di ripartire al mattino dopo per Brescia-Bergamo. Proprio in quella notte venne bombardata la stazione di Verona e la strada ferroviaria per circa 18 chilometri.
Ciò nonostante, in quella stessa mattina del sette luglio, dopo aver assistito alla Santa Messa e fatta la S. Comunione, alla chiesa dei Carmelitani Scalzi, riprendemmo il nostro viaggio, fiduciosi che la Madonna ci avrebbe aiutati ad arrivare fino a Bonate. Giunti a Verona, tra un allarme e l'altro, dovemmo scendere per l'interruzione della linea ferroviaria (Porta Vescovo).

Era mezzogiorno: tutti i mezzi di trasporto disponibili furono presi d'assalto dai numerosi viaggiatori per raggiungere Somma-Campagna, dove un altro treno avrebbe permesso di continuare il viaggio. Noi potemmo trovare da una Ditta, un carro (trasporto legna e carbone), solo verso le tre del pomeriggio. Nel frattempo fummo allietati dall'incontro con un reverendo Sacerdote, don Raffaele Liani, che era stato un tempo cappellano a San Giorgio, dove si trova pure attualmente da poco più di un anno. Don Raffaele ritornava proprio allora da Bonate, dove era stato testimonio di grazie straordinarie, e ne parlò con entusiasmo e ci incoraggiò a proseguire il viaggio, rianimando la nostra fede e tutte le nostre speranze.
A Somma-Campagna, verso le nove di sera, risalimmo sul treno che ci portò fino a Brescia, dove passammo la notte con frequenti allarmi, per cui ogni volta dovevamo allontanarci dalla stazione. Verso le quattro del mattino di sabato otto luglio, partimmo per Bergamo. Alle sette circa eravamo a Ponte S. Pietro. Ci siamo incamminati verso l'Asilo, dove le Suore di Maria Bambina, cordialmente ci hanno offerto la possibilità di un po' di ristoro e di pulizia. Un calesse trasportò noi sei ammalati che, dopo un viaggio così disastroso eravamo stanchissimi, fino alla chiesa parrocchiale, mentre gli altri 15 ci seguirono, per devozione a piedi scalzi fino a Bonate.
Ci confessammo e comunicammo e assistemmo alla S. Messa con insolito fervore. Senza prendere ancora cibo ci rimettemmo in cammino per raggiungere le Ghiaie, ma, malgrado il nostro desiderio di andarvi il più presto possibile, la stanchezza eccessiva ci obbligò a restare alquanto a metà strada per riprendere un po' di forze.
Io rimasi per un po' di tempo sdraiata per terra presa da un forte malore; i componenti del gruppo erano preoccupati e continuarono a pregare. Finalmente, ripreso il cammino, verso mezzogiorno eravamo alle Ghiaie. Non entrammo subito nel recinto, volendo aspettare di farlo nell'ora consueta delle apparizioni. Alle sei del pomeriggio ci trovavamo nel luogo benedetto... mi è impossibile ridire l'emozione provata. Avevamo continuato a pregare tutto quel pomeriggio, ma in quel momento la nostra preghiera divenne fervida e ardente come cominciassimo allora; e la risposta di Colei che è la Madre della Misericordia non si fece attendere.
Quando noi entrammo nel recinto già vi si trovava una ragazza ingessata ad una gamba; la vidi uscire e mentre la osservavo la udii dare un grido. Il gesso le si era spezzato ed essa si mise a correre gridando al miracolo. A quel primo fatto ne seguì un’altro non meno straordinario. Un ragazzo paralizzato, non della nostra compagnia, che si trovava allora nel recinto con noi, tutto su un momento si mise a camminare. Anche il nostro compagno Barattin Silvano, paralizzato, cominciò a muoversi e a drizzarsi. La guarigione di quest’ultimo non fu completa, ma il miglioramento fu tale da non accusare più dolori e i nodi alla schiena, al collo e alle gambe sono spariti. Evidentemente la Madonna, operava ed era lì presente con la sua materna bontà. Sentii io pure un brivido per le ossa, ma lo attribuii all'emozione per tante meraviglie di cui ero testimonio; mi sentivo tanto stanca ma non cessavo di pregare.
Che cosa chiedevo alla Madonna? Non tanto la guarigione per me quanto ch'Ella concedesse agli altri ciò che desideravano. Per conto mio ero totalmente abbandonata alla volontà di Dio... Fin da bambina nutrivo in cuore il desiderio di farmi religiosa. Se la Madonna mi vuole - pensavo - mi farà guarire, e allora sarò missionaria, altrimenti sono contenta di rimanere anche così.
Quando il ragazzo paralizzato che aveva acquistata prodigiosamente la favella, dopo aver detto per la terza volta: Madonna, fammi guarire e l'Ave Maria, allungò le braccia e le gambe fino allora rattrappite, io mi alzai per vederlo. Fu da quel momento che non avvertii più i miei soliti dolori. Ma non dissi nulla a nessuno. Solo quando mi chiedevano: e tu, come stai? Bene, rispondevo, ma senza aggiungere di più. Volevo essere ben sicura prima di affermare una cosa tanto straordinaria. Il cielo nuvoloso si sciolse in dirotta pioggia, ma noi non ci movemmo, volevamo pregare ancora, ringraziare la Madonna per quanto già aveva operato, impetrare nuove grazie. Ero bagnata come un pulcino, anche il gesso era madido, di acqua. Scendeva la notte... intanto il capo della compagnia ci aveva procurato l’alloggio presso alcune buone famiglie. Ci decidemmo a lasciare quel caro luogo... ma per andare di nuovo alla chiesa parrocchiale a ringraziare la Madonna.
Finalmente dopo esserci rifocillati nella vicina trattoria prendemmo riposo. E quella fu anche per me una notte di vero riposo quale non gustavo da anni. Mi alzai molto migliorata, in forze e senza dolori. Per meglio assicurarmene, provai a fare dei movimenti delle spalle e del torace, ma non sentivo più nulla. Provai ad urtare anche con la schiena contro il corsetto che, per dimagrimento mi era diventato largo e il risultato era sempre negativo, mentre anche prima di mettere il gesso, il solo contatto con le vesti mi causava dolore. Lo dissi alla mamma che ne fu felice.
Dopo aver soddisfatto alla nostra pietà in parrocchia, presi parte con molto appetito alla colazione, come non facevo da tanto tempo per i disturbi dell’enterocolite che mi cagionavano, come già dissi, una nausea continua e mi obbligavano, dopo l'ingessatura a nutrirmi di sole cose liquide. Da quel giorno l'appetito non venne mai meno così che in breve crebbi notevolmente di peso e di volume; dopo neppure un mese il busto mi era divenuto tanto stretto da non poterlo più tollerare.
A mezzogiorno ritornammo alle Ghiaie e non ci stancammo in tutto quel pomeriggio di alternare canti e preci ad onore di Maria. L'indomani, lunedì, io dovevo riprendere la via del ritorno, volevamo perciò moltiplicare i nostri amorosi ossequi alla Celeste benefattrice.
Io avevo una gioia in cuore da non saper descrivere. Anche se a me il busto non si era spezzato, mi sentivo tanto bene e con nuove forze e nuovo vigore da sembrarmi di essere un'altra. La vita religiosa, già da tempo vagheggiata, e che mi era apparsa fino allora come un sogno irrealizzabile, mi si presentava, d’un tratto non solo possibile, ma come chiara volontà di Dio, dato che Egli stesso, per mezzo della Sua Divina Madre, ne aveva tolto l'unico ostacolo.
All'ora delle apparizioni entrammo, come il giorno prima nel recinto e vi rimanemmo ancora a lungo. Una celeste attrattiva ci teneva avvinti, un’emozione ch'era un insieme di gioia e di speranza, di riconoscenza e d'amare verso la Madre Celeste inondava così dolcemente l'animo da non saperci rassegnare e dare l'ultimo addio a quel luogo benedetto.
Il mattino dopo per tempo, lasciammo Bonate. Un particolare degno di nota nel viaggio di ritorno, fu che potei io pure percorrere a piedi circa 18 km. che separano Somma-Campagna, dalla stazione Porta vescovo di Verona. Avevo una prova non dubbia della mia guarigione.
Il giorno 12 verso mezzogiorno, arrivammo a S. Giorgio, accolti da un indefinibile entusiasmo di tutta la popolazione. Dei sei malati, una era guarita e due straordinariamente migliorati. Il paese si sentiva debitore verso la Madonna, e voleva col suo entusiasmo dimostrare in qualche modo la sua riconoscenza.

I miei genitori, mi accompagnarono dal medico curante perché potesse constatare la guarigione, mi togliesse il corsetto gessato, ma egli mi disse molto freddamente che il miglioramento era da attribuirsi a suggestione, e mi congedò senza permettermi di eliminare il corsetto. Mi suggerì di presentarmi al Prof. Cavarzerani di Udine, ma anch’egli mi rimandò senza osservarmi e mi applicò un’altra fascia di gesso. Più tardi, per interessamento del mio Rev.do parroco, venni riportata a Udine dal prof. Pieri, il quale mi tolse il corsetto, mi visitò, mi fece la radiografia e mi dichiarò perfettamente guarita.
Fatta arrivare da Palmanova la radiografia del maggio precedente, per confrontarla, uno dei medici presenti mi disse: ringrazi la Madonna che le ha proprio ottenuto un miracolo.

Convinto?… Non lo so; però, so che la guarigione si mantiene tuttora, tanto che già da un anno mi trovo nel Noviziato missionario presso le Suore della B. Capitanio in via S. Bernardino, ove sto compiendo la mia preparazione per l’apostolato tra gli infedeli.
Dal 27 dicembre 1945, il mio corsetto di gesso, si trova tutt’ora nella stanza attigua alla Cappella a Ghiaie di Bonate, Bergamo. Sono sempre riconoscente alla Madonna, che ha pensato a me, con questa straordinaria grazia della guarigione.
Suor Maria Grazia Brunato
6 luglio 1947

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La documentazione completa è stata trasmessa a suo tempo alla Curia di Bergamo (lettera di conferma di Mons. Federico Berta del 23/10/1978)

Fonti:
Archivio privato

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Allegato   Data inserimento:  06/07/1947