OMBRE AL CONVEGNO DEL 2002 SU DON CORTESI L’AFFARE GHIAIE FU ARGOMENTO TABU’
Il 23 febbraio 2002, nella sala del Refettorio del monastero benedettino di San Paolo d’Argon (Bg) si è svolto un convegno sulla vita e le opere di don Luigi Cortesi «Monsignor Luigi Cortesi sacerdote, studioso, promotore di cultura» organizzato dalla Provincia di Bergamo e dal Comune di San Paolo d’Argon (Bg). Un coro di elogi con una grave omissione: nessuno, ovviamente, durante il convegno, ha parlato dei Fatti di Ghiaie di Bonate del 1944 e dell’opera demolitrice e denigratoria delle apparizioni della Madonna alla piccola Adelaide fatta da quel sacerdote.
Giuseppe Arnaboldi Riva, recatosi al convegno, alza la sua voce critica rispetto al coro di elogi dei diversi relatori.
Riportiamo il testo integrale della lettera che Riva ha inviato, subito dopo il convegno, ai giornali Bergamo Sette, Cronache dell’Isola, Giornale di Bergamo e alla rivista Senapa e al sito Internet Madonna delle ghiaie per la pubblicazione.
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Egregio Direttore, in merito al Convegno su Mons. Luigi Cortesi organizzato sabato 23 febbraio dalla Provincia di Bergamo presso il monastero benedettino di S. Paolo d’Argon, le chiedo di offrire uno spazio di libertà ad una voce critica rispetto al coro di elogi che hanno accomunato gli interventi dei diversi relatori. Perciò, anticipandole la prossima uscita di un mio libro sulla piccola veggente di Ghiaie Adelaide Roncalli e sulla vicenda delle apparizioni del 1944 segnate dalla dura opposizione di don Cortesi, certo che Ella condivida il principio secondo cui la democrazia per vivere ha bisogno di confronto e di pluralismo, grato fin d’ora per la sua disponibilità, le invio questo articolo perché sia pubblicato sulle pagine del suo giornale. Giuseppe Arnaboldi Riva
Mons. Cortesi e “Il problema delle apparizioni di Ghiaie”
Ho partecipato al Convegno su mons. Cortesi sperando che qualche relatore ricordasse gli unici libri scritti, di sua mano, dall’illustre prete bergamasco e in particolare il volume intitolato «Il problema delle apparizioni di Ghiaie» pubblicato nel 1945, per mezzo del quale, come «inquisitore», egli demolì la normalità della piccola Adelaide Roncalli, veggente delle apparizioni della Madonna e della Sacra Famiglia avvenute a Ghiaie di Bonate nel maggio del 1944. Anche perché se qualcuno volesse esaminare con sincerità il Cortesi filosofo-antropologo troverebbe soprattutto in questo scritto materiale prezioso di studio per comprendere a fondo la sua cultura, che permetterebbe altresì di cogliere una mentalità diffusa in quegli anni nel suo ambiente di vita.
Purtroppo però la mia speranza è andata delusa. Tuttavia, il silenzio totale su questo importante scritto, credo abbia comunque rivelato il grande imbarazzo, e per dirla più francamente, una mal celata paura della verità che circonda la figura di don Cortesi. La qual cosa conferma la regola secondo cui molto spesso la retorica dell’eccellenza nasconde la verità e insieme vuol celare la paura di incontrare l'opacità dell’uomo che farebbe precipitare dalle stelle il personaggio tanto falsamente innalzato. Pertanto, essendo fermamente convinto che la vera cultura di una persona e il suo vero sentire si mostrano negli atti concreti compiuti in momenti determinanti e decisivi della sua esistenza, vorrei porre senza preamboli alcune domande ai relatori del Convegno proprio sul giovane don Cortesi nella veste di inquisitore-antropologo che ha demolito ferocemente la normalità della piccola Adelaide dipingendola come una selvaggia, come un mostro ; domande non dettate dalla volontà di suscitare scandalo sulla persona di Cortesi, ma unicamente dal desiderio di servire la verità; la quale non può certo farsi strada se gli estimatori del prete bergamasco si ostinano, non solo ad opporre un rifiuto costante di ogni considerazione critica sulle sue scelte e i suoi atti giovanili, ma anzi, com'è accaduto finora, ad opprimere e perseguitare coloro che tentano di mostrare aspetti poco nobili di così illustre personaggio, superando la retorica celebrativa. La prima domanda che allora vorrei porre agli insigni relatori del Congresso non vuole perciò alimentare pettegolezzi o curiosità morbose ma, a partire da un episodio concreto, invitare gli estimatori di mons. Cortesi a considerare, non solo la sua fragilità umana, che finalmente potrebbe avvicinarlo alla nostra comprensione, ma anche la pericolosità di una mentalità e di una cultura della quale il prete bergamasco si è nutrito nei suoi anni giovanili.
Cosa ci faceva dunque il giovane professore del Seminario di Bergamo, don Cortesi, il 5 luglio 1944 nel Convento di Gandino accanto al professor Cazzamalli, esperto di occultismo, che egli stesso aveva condotto lì affinché questo medico, ambiguo, arrogante e senza scrupoli, compisse una visita completa sul corpo della piccola Adelaide di sette anni; visita medica che quel giorno, alla presenza del prete e di una suora Orsolina, si spinse fino all'esame del pube e delle pudende (o parti intime) della piccola veggente?
A questa domanda, i relatori del Convegno non avrebbero potuto certo rispondere, ovviamente, poiché, presumo non conoscessero il fatto, raccontato peraltro dallo stesso Cazzamalli con dovizia di particolari in un suo libro ben noto però in Curia a Bergamo. E capisco che tuttora tale domanda sembrerebbe a prima vista provocatoria. Tuttavia ai relatori del Convegno chiedo di non fuggire scandalizzati, ma di oltrepassare la vuota celebrazione sulla cultura di don Cortesi e armarsi di onestà intellettuale per affrontare con coraggio l'esame di questo episodio, a partire dal quale potrebbero addentrarsi nell'esame di un grande scontro culturale del quale don Cortesi fu un attore consapevole e di primo piano.
Potrebbero domandarsi, per esempio: come mai e con quale autorità don Cortesi condusse, senza alcuna autorizzazione vescovile e parentale, questo medico, esperto di fenomeni paranormali, nel convento di Gandino il giorno seguente l'uscita, da questo stesso luogo sacro, dell'assistente di padre Gemelli, dottoressa Sidlauskaité, incaricata dal Rettore dell'Università Cattolica, ed esperto della Diocesi di Bergamo, di eseguire un esame approfondito sulla psicologia di Adelaide? Forse che il lavoro di padre Gemelli e della sua assistente non bastava a don Cortesi? E perché? Chi era questo professor Cazzamalli le cui aberranti teorie erano state definite alcuni mesi prima dallo stesso padre Gemelli come "fantasticherie di un materialista"? Quale legame culturale univa dunque il prete bergamasco e il Cazzamalli, tanto più che le pericolose teorie di quest'ultimo saranno valorizzate da don Cortesi sulle stesse pagine dell'Enciclopedia Ecclesiastica Vallardi alla voce Metapsichica? Voleva forse don Cortesi provocare uno scontro fra Cazzamalli e padre Gemelli? Considerava forse la psicologia classica insufficiente per l'esame sulla piccola veggente? E perché? Condivideva egli le aberranti teorie occultiste del Cazzamalli, oppure, per combattere la dichiarazione di normalità di Adelaide scritta da padre Gemelli, il prete bergamasco ha intenzionalmente aperto una grave lacerazione con padre Gemelli e dentro la stessa Curia costringendo il Vescovo a contraddire il suo illustre esperto di Milano?
Si potrebbe continuare ancora a lungo con le domande, ma quello che vorrei proporre è soprattutto un itinerario di studi un po' diverso dalla retorica commemorativa sulla figura di don Cortesi, il quale, in questo episodio, perde comunque i connotati sublimi ed eccelsi con cui è stato sempre raffigurato per assumere invece il volto cupo di una cultura oppressiva, totalitaria e autoritaristica ; tanto che, poco dopo questo fatto increscioso, lo stesso prete bergamasco scriverà sulle pagine del suo libro, «Il problema delle apparizioni di Ghiaie», un giudizio terrificante sulla stessa persona della piccola Adelaide demolendo con ferocia la sua normalità. Dopo aver dubitato di padre Gemelli (che aveva dichiarato con nettezza la normalità di Adelaide), ingannato, secondo Cortesi, dalla furbissima Adelaide, così di lei scriveva il prete bergamasco: «In verità l'anima di Adelaide è un nodo di vipere, uno scrigno chiuso custodito da sette draghi» ; ovvero: Adelaide è un essere disgustoso e infernale, una indemoniata spaventosa, segnata e posseduta dal male. Possibile che un’espressione di tale gravità non abbia mai fatto pensare uomini di cultura bergamaschi tanto preparati e raffinati, abituati all'incontro con l'opacità della storia umana? Come mai, oltre ai testi frequentemente citati, gli insigni relatori hanno ignorato quest'opera ponderosa di don Cortesi dove la cultura antropologica del prete bergamasco è largamente esplicitata? Forse che non la conoscono?
Comunque sia, per riempire questa lacuna e offrire loro ulteriore materia su cui riflettere si riportano di seguito alcuni giudizi scritti pubblicamente da don Cortesi sulla piccola Adelaide Roncalli, giudizi che i relatori del convegno sono invitati a leggere personalmente nelle pagine de «Il problema delle apparizioni di Ghiaie» dedicate dal prete bergamasco al «biotipo di Adelaide».
«Testarda, in lei si rileva esibizionismo, vanità, ricerca dell'applauso, abilità di fingere, amore di realtà fantastiche, romanzesche, e di esperienze straordinarie..La mens di tipo sensoriale, non ingenua ma abilissima e furbissima, dimostra una certa sensibilità per il mondo sessuale...Adelaide si comporta da reginetta, da traforella, brama il frutto proibito, è disgustosamente conscia della sua astuzia...Occhio torvo e minaccioso, monella, folletto, forsennata, dalla risata insolente e soddisfatta, conosce e insegna la bugia, precoce malizietta, sfrutta tutte le occasioni per distrarsi...Brama approvazioni, è gonfia di boriuzza, si atteggia a diva, precocemente si accese in lei la vanità femminile, ama le acconciature singolari, ama chiedere gingilli d'ornamento, catenelle, braccialetti, orologi da polso, spilloni, medaglie, occhiali scuri, i vestiti belli e le scarpette belle, indumenti appariscenti e sgargianti...desidera sentirsi ammirata, scodinzola, sfringuella, cerca i primi posti, fa credere che ella gode di confidenze speciali, cerca ammiratori, gode di essere vezzeggiata...Spiritosa, loquace, sguaiata, si agita, si alza per sovrastare tutte, si mette a capofila, infatuata di sé, posa a fanciulla prodigio, la flora selvaggia della sua anima non accenna a costituirsi in giardino...La smania di distinguersi giace ancora nella sua anima, anche dopo tanti mesi di silenzio e di educazione intesa a rinverginare il suo spirito non tollera di essere intruppata come un anonimo irrilevante».
Certo, queste espressioni del prete bergamasco appaiono in contrasto col titolo del convegno che presenta mons. Cortesi come "educatore affascinante" e "promotore di cultura" innamorato del vero e del bello. Ma, allora, non è forse importante chiedersi a quale cultura appartengono tali giudizi feroci che hanno letteralmente distrutto la normalità e la persona della piccola Adelaide? O forse gli insigni relatori fra i quali il Rettore del Seminario di Bergamo mons. Carzaniga, che ha esaltato l'affabilità di don Cortesi, intendono sottoscrivere o ignorare queste gravissime espressioni scritte proprio in Seminario dallo stesso don Cortesi? A quale pseudo disciplina si riferisce l'esame fatto da don Cortesi del biotipo di Adelaide? Non è forse questo esame il frutto della peggiore cultura razzista, del così detto "razzismo italico" che ha avuto nel professor Nicola Pende, tanto stimato e seguito dal prete bergamasco, il principale esponente? Eppure, davvero, don Cortesi era uomo affabilissimo e lo fu anche con la stessa Adelaide che, conquistata e sedotta dai suoi modi gentili e affettuosi, un giorno gli confidò: «vorrei che tu fossi mio papà». Dotato di una cultura sterminata e capace di una dolcezza insuperabile, oratore affascinante, don Cortesi era senza dubbio un grande cultore della verità e della bellezza ; ma di quale verità e di quale bellezza? Di certo una verità e una bellezza astrale, appannaggio di pochi eletti, una bellezza nella quale non c'è mai stato posto per la selvatica Adelaide che il prete dipingeva come una «ninfetta oreade», un abitante del basso, espressione dell'opposto, della menzogna e del mostruoso: disgustato profondamente dalle radici famigliari della piccola Adelaide, la bimba gli appariva oltretutto repellente nella sua estrema miseria vedendola «saziare la golosità con le bucce galleggianti di cocomeri nella roggia e accontentarsi di rifinirle». Purtroppo però, proprio a causa del terribile ritratto tracciato da don Cortesi la piccola selvaggia, bugiarda e mostruosa Adelaide, impotente nella sua povertà, ma portatrice di un'altra ben più grande Verità e di un’altra più sublime Bellezza, è stata a lungo ingannata, reclusa a forza contro la sua volontà, atrocemente violentata nella dignità e nel pudore, selvaggiamente picchiata, sedotta nella psiche e costantemente terrorizzata, derubata della sua stessa vocazione religiosa e spogliata dell'abito consacrato della sposa di Dio.
Come spiegare allora tale duplicità? Da dove sgorgano quelle affermazioni feroci e vergognose che contrastano con l'affabilità del prete bergamasco? Qual’è la ragione di tale profonda scissione? Quale ne è la radice culturale? Per rispondere a queste domande, oltre a riconsiderare la figura dell'inquisitore-antropologo ben interpretata da don Cortesi, si invitano i relatori del convegno (che dovrebbero dapprima documentarsi, senza paura della verità, su quanto male è stato fatto alla piccola Adelaide) a leggere, ove non l'avessero fatto la voce «Intellettuali» dell'«Enciclopedia Ecclesiastica Vallardi» e riflettere bene sul sogno di don Cortesi, lo stesso sogno del tradizionalista e massone Joseph De Maistre, secondo il quale «solo pochi, guidati da un Architetto Invisibile, dopo molto sforzi, possono arrivare alla verità».
Per questo la Verità e la Bellezza di cui Adelaide era portatrice non interessavano a don Cortesi che vedeva in lei l’inferno mostruoso. Egli infatti rincorreva un’altra verità e un’altra bellezza, il fascino di un grande sogno intellettuale, di un grande ideale, riservato a pochi, a un'élite. Un sogno che, tuttavia, ha prodotto in lui una gravissima scissione, visibilissima a chiunque voglia seriamente approfondire la sua drammatica relazione con la piccola Adelaide. Don Cortesi infatti, descrivendo l'anima di Adelaide composta da due facce («una dominata dalla spontaneità, dalla semplicità e dall'immediatezza, l'altra, invece, terribilmente complessa e tortuosa») non parlava della bimba, ma confessava se stesso.
E' davvero un peccato che il povero don Cortesi sia eternamente condannato agli elogi umani. Vale molto di più se studiato con sincerità nella sua concreta esperienza. La sua personalità infatti apparirebbe certo molto più affascinante e ricca sol che si sappia riconoscere la sua vera radice culturale. Per questo credo che la domanda di fondo cui dovrebbero rispondere i relatori del Convegno è la seguente: perché don Cortesi, così forte, aveva tanta paura della piccola Adelaide («L'anima di Adelaide mi fa paura», confessava) tanto da non tollerare il pensiero che ella fosse normale e definirla come un essere infernale, un mostro, costretto perciò ad operare fuori da ogni legalità, esponendosi così a rischi gravissimi come testimonia l'episodio sopra ricordato, avvenuto il 5 luglio nel convento delle suore Orsoline di Gandino? Cosa temeva, dunque, in lei per osare così tanto?
E' davvero una sciagura edificare uomini illustri e compiere ogni sforzo perché una falsa idealità e un sogno fascinoso continuino a sopravvivere a tutti i costi. E' davvero una sciagura far di un uomo come don Cortesi una personalità eccezionale, un illuminato, puro come il sole, e non riconoscere il grave pericolo che corrono tutti coloro i quali, sopravvalutando l'intelletto, pensano di liberarsi tramite la conoscenza, costretti poi a temere che la Verità e la Bellezza si trovino proprio nel luogo che essi hanno disprezzato: nell'ignoranza, nella miseria, nell'abiezione e vengano concessi da Dio ai piccoli.
Vorranno infine gli illustri relatori del Convegno esaminare, oltre alle voci dell'Enciclopedia Ecclesiastica Vallardi da loro ricordate, anche la voce «Massoneria» scritta da don Cortesi? Nel vagliarla attentamente credo sia opportuno ricordare loro che non è lecito agitare la paura per invitare una forza velenosa come la Massoneria (questa sì vero e immondo nodo di vipere e scrigno di draghi!) costituita per distruggere la Chiesa, ad una possibile unione con la Chiesa, prospettando oltretutto in questa unione (venefica per la Chiesa) l’unica soluzione per la massoneria di sopravvivere.
Non era dunque Adelaide il «nodo di vipere». Ella è tuttora portatrice di un grande Tesoro. In ogni caso, se i relatori del Convegno e gli estimatori di don Cortesi fossero persone rette e innamorate sinceramente della Verità dovrebbero con me convenire che, prima di ogni studio o commemorazione, ad Adelaide Roncalli, dopo tanto tempo, occorre chiedere subito perdono.
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