Autore:  E. Roncalli - L'Eco di Bergamo Data documento:  23/04/2008
Titolo:  Ghiaie di Bonate, un mistero lungo 60 anni

 Riportiamo gli articoli del giornalista Emanuele Roncalli pubblicati mercoledì 23 aprile 2008, a pag. 16 del giornale "L'Eco di Bergamo" (giornale controllato dalla Curia di Bergamo)

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GHIAIE DI BONATE, UN MISTERO LUNGO 60 ANNI

La cronistoria di un evento che ha segnato le lunghe giornate di una bimba di 7 anni nel maggio 1944. E di tre milioni di persone

Il decreto del vescovo Bernareggi sulle presunte apparizioni di Maria: «Non consta». Ma la devozione non s’è spenta.


Sessant'anni fa, il 30 aprile 1948, l’allora vescovo di Bergamo monsignor Adriano Bernareggi si pronunciava sulle presunte apparizioni della Madonna ad Adelaide Roncalli di 7 anni, alle Ghiaie di Bonate Sopra e con un decreto chiudeva, di fatto, il caso: «Non consta della realtà delle apparizioni e rivelazioni». Nonostante ciò il luogo alle Ghiaie è da sempre meta di numerose persone, che vi sostano in preghiera. Attorno al caso sono fioriti volumi, discussioni e ora anche un film, che ha il chiaro intento di riaprire il caso. Nel ’46 il settimanale Famiglia Cristiana dedicò alla storia un intero numero. Con questa pagina intendiamo ripercorrere storicamente quei fatti, sui quali alcuni ancora oggi si interrogano.

Il Torchio, alle Ghiaie di Bonate, è un fazzoletto di campi, con un pugno di cascinali, a due passi da villette in costruzione, dall’asse interurbano e dal fiume Brembo. È in questa località che, dal 13 maggio al 31 luglio 1944, Adelaide Roncalli, una bimba di 7 anni, affermò che la Madonna le era apparsa per tredici volte e di queste per 8 volte con tutta la Sacra Famiglia.
Quelle presunte apparizioni vennero subito definite dalla gente «l’epilogo di Fatima», dove la Vergine era apparsa il 13 maggio 1917 durante la Prima Guerra mondiale. La Madonna – si disse – ha scelto ancora il 13 maggio per lanciare messaggi di pace in un mondo sconvolto dalla Seconda Guerra mondiale.
In poco tempo, una marea di persone – alcuni scrissero tre milioni di pellegrini –, a piedi, in treno, in bus o su mezzi di fortuna giunse alle Ghiaie, nonostante dal cielo piovessero bombe. Neanche due mesi dopo, il 6 luglio, si sarebbe avuta l’immane tragedia del bombardamento di Dalmine. È dunque in questo contesto – in mezzo alla catastrofe
del conflitto bellico, che portò solo lutti, drammi, fame – che i fatti delle Ghiaie vennero avvertiti dalla gente come un lampo di luce, l’accendersi di una fiamma di speranza. Che nemmeno oggi in alcuni si è spenta. Strazio e angoscia
dilaniavano allora lo stato d’animo dei bergamaschi, ma nel volto di quella bimba qualcuno sembrava volersi rispecchiare per ritrovare un po’ di serenità e di pace.
Adelaide Roncalli (nessuna parentela con Giovanni XXIII) abitava in un grande cascinale con il papà Enrico, operaio,la mamma Anna Gamba, casalinga, il fratello Luigi e le sorelle Caterina, Vittoria, Maria, Palmina, Annunziata e Romana (un’altra sorella, Federica, era morta in tenera età). Le biografie e le testimonianze dell’epoca tratteggiano Adelaide, all’età di 7 anni (proprio oggi ne compie 71), come una bambina qualunque, vivace, attenta a scuola. Ma nel pomeriggio del 13 maggio 1944 accadde «qualcosa» destinato a sconvolgere la sua esistenza: la prima presunta apparizione.
Adelaide con la sorella Palmina di 6 anni e alcune amiche si recò a raccogliere fiori di sambuco e margherite da mettere davanti alla Madonna «che c’è a metà scala per salire in camera in casa mia», come lei stessa lasciò scritto. E in questo prato, Adelaide fu vista con lo sguardo estatico: la sorella Palmina corse terrorizzata dalla madre, dicendole che Adelaide era morta in piedi.
Seguirono da quel giorno 13 presunte apparizioni, in due periodi distinti: dal 13 al 21 maggio e dal 28 al 31 maggio.
Adelaide racconterà di aver ricevuto svariati messaggi dalla Madonna che le avrebbe anche predetto: «Soffrirai molto,ma non piangere perché dopo verrai con me in Paradiso». «In questa valle di veri dolori sarai una piccola martire».
Da quei giorni, la vita della piccola Adelaide cambierà inesorabilmente. Migliaia di persone accorreranno attorno a
lei, ma seguiranno anche i processi, gli interrogatori, i dubbi, le dichiarazioni, le ritrattazioni, le riaffermazioni. Le indagini della commissione teologica istituita da monsignor Bernareggi, incaricata di valutare l’autenticità delle apparizioni, e formata da sacerdoti di Bergamo, Brescia, Milano, Lodi, che ha lavorato in stretto contatto con l’ex Sant’Uffizio, l’esame dei fatti, le ritrattazioni della bambina e i pareri di alcuni medici furono alla base del decreto pronunciato il 30 aprile 1948 dallo stesso Bernareggi. «Non consta», scrisse il vescovo di Bergamo, che proibì ogni forma di devozione alla Madonna, venerata come apparsa a Ghiaie di Bonate. Della vicenda si occupò anche don Luigi Cortesi che in un primo tempo scrisse alcuni opuscoli in favore dell’autenticità delle apparizioni, in seguito ne pubblicò altri in cui si disse decisamente contrario.
Fra la persone chiamate a indagare su Adelaide, ci fu anche padre Agostino Gemelli, fondatore della Cattolica, che espresse un parere positivo sulla personalità della bambina «dominata dalla spontaneità, dalla semplicità, dalla immediatezza», «un tipo precocemente positivo, realistico, sintetico».
A 15 anni Adelaide entrò tra le suore Sacramentine di Bergamo, ma poco dopo sarebbe uscita dal convento. Più avanti nel tempo si sposò e andò a vivere a Milano, lavorando come infermiera.
Attorno al caso furono promosse anche petizioni, ma i vari vescovi che si sono succeduti non hanno mai potuto riaprire il caso, in assenza di argomenti e fatti nuovi tali da cambiare le conclusioni della commissione, che aveva lavorato con serietà e obiettività. Anche due Papi si interessarono delle presunte apparizioni. Adelaide nel ’49 fu ricevuta da Pio XII, Giovanni XXIII, con atteggiamento ispirato alla prudenza, desiderò conoscere la vicenda.
Nella storia più vicina a noi, va registrato un altro passo compiuto da Adelaide, che più volte, immediatamente
dopo le presunte apparizioni, aveva ritrattato. Dopo anni di assoluto riserbo e silenzio, il 20 febbraio 1989 ha sottoscritto una dichiarazione: «Come già più volte ho fatto in occasioni precedenti, sono assolutamente convinta di aver avuto le Apparizioni della Madonna a Ghiaie di Bonate dal 13 al 31 Maggio 1944 quando avevo sette anni. Le vicende da me dolorosamente vissute da allora, le offro a Dio ed alla legittima Autorità della Chiesa, alla quale sola appartiene di riconoscere o no quanto in tranquilla coscienza e in sicuro possesso delle mie facoltà mentali ritengo essere verità».
Con questa «nuova» affermazione – 45 anni dopo i fatti - Adelaide conferma la sua prima versione. Ma il punto nodale della storia sta proprio in questa alternanza di conferme e smentite, dichiarazioni e ritrattazioni. È ragionevole pensare che il decreto di Bernareggi poggi, oltre che sull’esame della persona e sulla valutazione critica dei fatti, proprio sulle «sopravvenute e ripetute ritrattazioni della bambina», dice monsignor Marino Bertocchi che da anni segue da vicino il caso o – per dirla con le parole della gente – il «mistero». Monsignor Giuseppe Castelli, membro della Commissione teologica nominata dal vescovo Bernareggi, nella sua relazione annotò: «La ritrattazione della bambina che conferma di non aver visto la Madonna è indubbiamente una prova di valore capitale e decisivo. Le confessioni ripetute nell’Istituto delle Orsoline, la confessione confezionata alla sua stessa mamma e la relazione precisa che questa ne fece ai professori Meli e Sonzogni, la confessione fatta e replicata per tre o quattro sere alla cugina Nunziata, le confessioni fatte davanti al tribunale prima in confidenza a monsignor Merati solo e poi a tutti i membri uniti, tutto questo ha caratteri così risaltanti di verità che bastano d’avanzo a dissipare ogni ombra di dubbio. La bambina ha nettamente, ripetutamente, in diversi tempi e circostanze, davanti a diverse persone confessato di non aver visto la Madonna. E allora "causa finita est"».
Queste ritrattazioni, che secondo taluni sarebbero state frutto delle pressioni psicologiche subite dalla bambina, di fatto si ripetono nel tempo, né le nuove versioni – cioè le nuove conferme di aver visto la Madonna – aiutano a capire
anche a distanza di decenni il mistero delle Ghiaie. Le parole discordanti di Adelaide sono state terreno di scontro fra «sostenitori» e «oppositori» delle presunte apparizioni.
Si è fatto un uso strumentale di quelle frasi, per sostenere o per smentire una tesi? Forse. Questi contrasti, anche duri, hanno purtroppo spostato il tema centrale della vicenda – apparizioni sì, apparizioni no -, dirottandolo sul
«modus operandi» della commissione e soprattutto di don Luigi Cortesi, preso di mira anche in maniera calunniosa dai più accesi sostenitori delle apparizioni.
Da una parte coloro che affermano che non c’è stata alcuna «persecuzione» nei confronti della bambina e che anzi don Cortesi le voleva bene, dall’altra coloro che dichiarano l’opposto. Ciò non contribuisce a fare chiarezza. Sull’autorevolezza della Commissione teologica nominata da Bernareggi non ci sono mai state grandi riserve, se non rilievi su alcuni singoli membri. Per quanto riguarda il periodo nelle Orsoline va poi ricordato che la direttrice del collegio era Madre Dositea Bottani, della quale è in corso il processo di beatificazione.
Oggi la spiegazione delle negazioni di Adelaide, sottolineate anche dal «difensore» monsignor Bramini, rimane ardua.
Un giudizio favorevole della Commissione sarebbe stato quantomeno rischioso e traballante di fronte a versioni mai definitive e concordanti. Va però rilevata la saggezza di monsignor Bernareggi che accanto al «non consta» aggiunse parole altrettanto chiare: «Con questo non intendiamo escludere che la Madonna, fiduciosamente invocata da quanti in buona fede la ritenevano apparsa a Ghiaie, possa avere concesso grazie speciali e non ordinarie guarigioni, premiando in tal modo la devozione verso di Lei». Una devozione che non cessa da oltre sessant’anni.
Infine va precisato che il contrasto non è tra devoti alla Madonna e non devoti ma tra chi accetta la decisione della commissione avallata dall’autorità del vescovo Bernareggi e chi invece, per diversi motivi, non accetta queste conclusioni.
Emanuele Roncalli

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Monsignor Bertocchi: in quel luogo giorno e notte c’è gente che prega in rispettoso raccoglimento
Da Bernareggi un decreto prudente ed equilibrato
«Da allora già sono stati fatti passi avanti. Oggi forse si può desiderare qualcosa di più»
«Non penso a una riapertura della vicenda sulla quale la Chiesa si è già pronunciata, ma al riconoscimento delle Ghiaie come luogo di culto mariano»

«È sicuramente il fatto religioso del secolo scorso che ha coinvolto nella nostra diocesi il maggior numero di persone: sia chi sostiene le apparizioni, sia chi le nega ha scritto che circa tre milioni di persone sono passate alle Ghiaie nel 1944».
Monsignor Marino Bertocchi, parroco di Sotto il Monte Giovanni XXIII, sulle presunte apparizioni ha scritto una lunga serie di servizi apparsi in questi ultimi tre anni sulla rivista «Amici del beato Papa Giovanni». Lontano da voler suscitare immotivato clamore, è un lungo percorso a ritroso nel tempo con la riproposizione di molti fatti e dubbi, ma anche uno sguardo a possibili scenari futuri.

Sessant’anni fa il giudizio del vescovo Bernareggi non lasciava spazio a interpretazioni. A distanza di tanto tempo, secondo lei, quelle disposizioni come sono da intendersi?
«Prenderei in esame l’ultima parte del giudizio: la proibizione di ogni forma di devozione, a norma delle leggi canoniche. Anche le leggi canoniche sono soggette ad aggiornamento: dopo 35 anni dal decreto è stato emanato un nuovo codice di diritto canonico che prevede una trattazione specifica riservata ai santuari. Certamente il popolo di Dio ha manifestato ininterrottamente la sua devozione anche dopo quel giudizio».

Chi frequenta oggi le Ghiaie?
«Quel luogo non è meta di passeggiate, ma è sempre frequentato di giorno e spesso anche di notte da gente che prega ed è circondata da un clima di rispettoso raccoglimento».

Lei ritiene superata la disposizione del vescovo Bernareggi?
«Il vescovo Clemente Gaddi, il 18 marzo 1974, scrisse al parroco delle Ghiaie: "Sono proibite alla cappella
sia la celebrazione della Messa, sia ogni formale funzione liturgica. Però non posso proibire, né impedire che persone singole o gruppi di persone si rechino sul posto a pregare la Madonna". La gestione del culto è oggi affidata al parroco del luogo. Della strada dunque ne è stata fatta certamente e altri passi è logico aspettarseli, tenendo conto
di quanto è avvenuto in casi simili».

Lei afferma che tuttavia il giudizio di Bernareggi conserva intatto il suo valore.
«Certo, è un documento di grande equilibrio e di sensibilità pastorale. Il merito del giudizio non va attribuito esclusivamente a monsignor Bernareggi. L’allora vescovo non ha avuto fretta di concludere i lavori della commissione teologica, della quale aveva chiamato a far parte anche distinte personalità ecclesiastiche di altre
diocesi, fra le quali monsignor Angelo Bramini di Lodi».

Quest’ultimo sostenne l’autenticità dei fatti.
«Dopo tre relazioni si dimise, e convinto scrisse: "Come tutto fa prevedere, la commissione pronuncerà un giudizio negativo sui fatti di Ghiaie, auguro che il verdetto non venga solennemente smentito dal Cielo, con tutte le conseguenze che è facile immaginare". Non c’è stata smentita dal cielo, ma non c’è stato neppure il giudizio negativo che lui temeva, ma solo un giudizio sospensivo prudenziale: "Non consta"».

A proposito delle guarigioni «non ordinarie», perché il Sant’Uffizio non le prese in esame?
«Se non risultava comprovata la realtà delle asserite apparizioni, per il Sant’Uffizio l’esame di queste guarigioni
era "inutile". Però nel decreto si aggiunse la frase che non escludeva la concessione di grazie da parte della Madonna, premiando la devozione verso di lei».

E qual era il pensiero del vescovo Bernareggi a questo proposito?
«Suggerisco di rileggere quanto detto da don Giovanni Viganò, il quale ha scritto che avendo chiesto a monsignor Bernareggi se si poteva dire che alle Ghiaie fossero avvenute delle guarigioni speciali, ne ebbe risposta:
"Si potrebbe anche dire che sono avvenuti miracoli, ma se la bambina dice che non è vero, che cosa ne faccio? È come se avessi un bel quadro, ma mi manca il chiodo per appenderlo"».

Quali sono le parole della «veggente» che l’hanno colpita maggiormente?
«Il 13 maggio 1960, Adelaide scrisse una lettera a Papa Giovanni chiedendole "che si cominci ad avere un po’ di culto nel luogo benedetto". Oggi forse si può desiderare qualcosa di più».

Ovvero?
«Non sto parlando di una riapertura della vicenda sulla quale la Chiesa si è già pronunciata, ma di un riconoscimento delle Ghiaie come luogo di culto mariano, come del resto è già avvenuto in altre località come Schio, Tre Fontane, Montichiari».

E. R.


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